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Nagorno Karabagh: tra realtà e disinformazione

di Luca Bionda* - 03/09/2007


Il 30 luglio 2007 è comparso sul sito “altrenotizie.org” uno dei pochi articoli in lingua italiana in qualche modo legato alle recenti consulte elettorali nel Nagorno Karabagh, autodichiarata repubblica autonoma del Caucaso meridionale, abitata da popolazioni di lingua e cultura armena entro un territorio per anni sotto l’autorità politica dell’Azerbaijan [1]; l’articolo in questione è “Un falco armeno (e filoamericano) sul Nagorno Karabagh” di Carlo Benedetti [2].
Pur apprezzando l’attenzione dedicata ad un territorio tanto bello e geopoliticamente importante quanto snobbato dai media italiani, è doveroso evidenziare alcuni riferimenti geopolitici inesatti o quantomeno imprecisi derivanti, a mio parere, da una visione non troppo nitida dello scenario caucasico.
L’autore dell’articolo commette a mio parere alcuni errori di valutazione giungendo, a metà articolo, a confondere il passato referendum sulla Costituzione dell’Artsakh del 2006 con le recenti elezioni presidenziali svoltesi il 19 luglio 2007.
Il “falco armeno (e filoamericano)” del titolo è il nuovo presidente del Nagorno Karabagh, Bako Sahakyan [3].
Nell’introdurre lo scenario geopolitico di riferimento il Benedetti osserva la presenza di un “Azerbaijan legato al mondo turco ma pur sempre ancorato alla politica estera espressa da Mosca”. In realtà ampliando il raggio di indagine appare evidente che l’Armenia da tempo costituisce il migliore alleato di Mosca nel Caucaso: ne sono testimonianza i frequenti incontri ufficiali tra il presidente dell’Armenia Robert Kocharjan ed il suo omologo Vladimir Putin, gli scambi commerciali tra i due paesi, non ultime le forniture energetiche e militari russe all’Armenia [4].
L’attuale isolamento commerciale armeno, attenuato proprio dai buoni rapporti con Russia ed Iran, è in gran parte da attribuirsi alle difficili (o impossibili) relazioni diplomatiche con la Turchia e l’Azerbaijan. Un ruolo piuttosto ambivalente è invece giocato ancora una volta dalla Georgia [5], passaggio obbligato per gli scambi commerciali tra Russia e Armenia.
Da tempo però la Georgia pare unicamente interessata a collaborare con la NATO ed i suoi affiliati (Turchia inclusa) per contrastare il sostegno russo ai governi indipendentisti di Abkhazia e Ossezia del Sud [6].
Non si deve dimenticare poi la partecipazione dell’Azerbaijan al GUAM, alleanza strategica tendenzialmente ostile alla Russia e di cui fanno parte anche Georgia, Ucraina e Moldova. Il GUAM comprende infatti i principali paesi che da alcuni anni godono del sostegno economico, militare e politico della NATO e degli Stati Uniti, in funzione principalmente antirussa.
Considerare l’Azerbaijan “ancorato” alla politica estera di Mosca significa trascurare evidentemente parte della questione energetica legata a strutture cardine dell’economia caucasica ed internazionale come ad esempio l’oleodotto BTC [7] o il gasdotto BTE [8], i quali riforniscono molti paesi candidati all’ingresso nella NATO o che già vi fanno parte; il percorso di tali fonti di approvvigionamento, di vitale importanza per l’economia, taglia fuori completamente il territorio armeno e quello dell’Artsakh.
A metà articolo Benedetti definisce testualmente il Karabagh una “regione incapace di risalire la china dell'estrema povertà in cui è piombata con il conflitto dei primi anni novanta, malgrado gli aiuti finanziari della diaspora armena”: si tratta in effetti di affermazioni molto comuni in cui si incappa spesso consultando anche le fonti bibliografiche più superficiali della rete. In realtà basta percorrere la strada che dalla capitale armena attraverso Goris porta a Stepanakert per inquadrare al meglio la problematica della povertà; i villaggi che si incontrano non incarnano certamente l’immagine dell’opulenza economica, ma fondamentalmente non sono diversi da molte altre zone montane nel mondo: le difficoltà principali nei villaggi sono spesso legate alle condizioni sanitarie ed alle difficoltà di collegamento con le aree urbane, ma restano in gran parte piccole comunità rurali che vivono spesso autonomamente di agricoltura ed allevamento del bestiame.
Da secoli poi i villaggi contadini sono inconsapevoli artefici del meraviglioso paesaggio rurale di Armenia e Karabagh, oggi con migliori prospettive di valorizzazione turistica: Yerevan promuove tali risorse già da tempo e Stepanakert si augura di poter fare altrettanto, compatibilmente con la risoluzione dei problemi legati al proprio status politico.
La diaspora armena nel mondo ha comunque contribuito in modo determinante alla crescita economica del Karabagh ed alla ricostruzione; basti pensare che all’inizio degli anni ’90 molte città erano state praticamente distrutte mentre oggi riconoscere i segni della guerra a Stepanakert è perfino difficile. Molti alberghi, chiese, musei e siti turistici sono stati costruiti o ristrutturati grazie all’impegno economico della diaspora armena da tutto il mondo (Argentina, Australia, Stati Uniti, Francia tra i principali) nelle città di Shushi e Stepanakert, credo che simili esempi si trovino anche in altre località come Martuni, Martakert o Hadrout. Lo stesso collegamento stradale tra Stepanakert e Yerevan è stato in parte ristrutturato con donazioni della diaspora, mentre altre infrastrutture come la “direttrice Nord-Sud” sono in fase di realizzazione grazie agli stessi benefattori.
È facile notare quindi come alcune fonti di informazione datate [9] o poco attendibili possano portare ad una errata interpretazione di realtà che di certo non sono quotidianamente sotto i riflettori della stampa internazionale.
A dimostrazione di quanto detto sin qui, nell’articolo di Benedetti il nuovo presidente del Karabagh è dipinto come una sorta di Ariel Sharon in versione caucasica, “uomo pronto a tutto, senza scrupoli e soprattutto impegnato sul fronte della lotta alla comunità azera [...] nemico dell’Islam e del rapporto con la Turchia e amico degli americani”.
Richiamando alla mente le ragioni che hanno portato la Russia ad appoggiare alcune realtà indipendentiste nell’ex-URSS tra cui lo stesso Artsakh, ragioni ispirate da principi geopolitici multipolaristi e di contrasto all’espansione americana nel Caucaso [10], possiamo perlomeno dubitare che la figura politica di Sahakyan possa corrispondere a quella descritta da Benedetti.
In caso contrario dovremmo domandarci per quale ragione l’Armenia, anche influenzata dalla diaspora degli Stati Uniti ma politicamente orientata verso Mosca, dovrebbe sostenere un governo in Artsakh marcatamente filoamericano e quindi ostile a Russia ed Iran?
Personalmente non sono in possesso della “biografia militare” di Sahakyan citata da Benedetti, ma non credo proprio che esista un documento in cui si descrive il neopresidente del Karabagh come “nemico dell’Islam”. Benedetti ci spiega che si tratta di un uomo “pronto a tutto” (?) ed “amico degli americani”, ma senza dare spiegazioni o ulteriori approfondimenti circa queste dichiarazioni.
Di fronte a tali rivelazioni, viene ancora da chiedersi se siano stati a conoscenza di un simile curriculum i deputati russi della Duma che hanno attivamente partecipato come osservatori internazionali alle attività di monitoraggio elettorale del 19 luglio scorso, dando oltretutto un giudizio in gran parte positivo sulla regolarità della consulta [11].
Osservando il programma elettorale presentato da Sahakyan [12], troviamo alcune note biografiche: nato nel 1960, termina le scuole superiori nel 1977 e passa i successivi tre anni nell’esercito sovietico; si laurea in Legge all’Università Statale dell’Artsakh e negli anni che seguono lavora come tecnico e trasportatore nel settore industriale a Stepanakert. Partecipa dal 1988 all’attivismo indipendentista del Karabagh, nel 1990 si unisce ai reparti di difesa del Karabagh, segnando l’inizio della carriera politico militare.
Dal 1992 al 1997 ricopre vari ruoli nell’Esercito per la Difesa del Karabagh tra cui spicca quello di “delegato per le relazioni estere”. Dal 1997 al 1999 è assistente presso il Ministero degli Interni e della Sicurezza Nazionale della Repubblica di Armenia.
Sahakyan tornerà più tardi alle attività politiche in Karabagh per ricoprire il ruolo di Ministro degli Interni fino al 2001, quando assumerà la direzione dei servizi di sicurezza.
Apparentemente quindi un percorso politico normale iniziato, come spesso accade nell’ex Unione Sovietica, con la carriera militare.
Benedetti conclude l’articolo tornando su Mosca e la questione dell’Ossezia del Sud, travisando a mio avviso la politica di Putin nel Caucaso; difficile condividere infatti la sua tesi secondo cui il Cremlino “da un lato vuol favorire la permanenza del Nagorno Karabagh nell’orbita azera, dall’altro vuole favorire l’Ossezia nel suo distacco dalla Georgia”. Come abbiamo già avuto modo di vedere, la Russia persegue infatti l’obiettivo di mantenere sostanzialmente buoni rapporti con tutti i paesi vicini, privilegiando gli alleati più fedeli come l’Armenia; tale proposito non può più essere applicato nei rapporti diplomatici con l’attuale governo georgiano il quale, a dispetto dei crescenti attriti sociali interni, preferisce cercare l’appoggio americano per una impossibile riconquista dell’Abkhazia piuttosto che il dialogo con i paesi vicini [13].
La Russia è consapevole del proprio ruolo di mediatore per le controversie legate ai conflitti congelati; il ruolo della diplomazia russa nel Caucaso, contrariamente a quello degli statunitensi, è supportato da profondi legami storici, politici ed economici.
Nel caso delle repubbliche di Abkhazia ed Ossezia del Sud l’appoggio russo avviene principalmente in funzione anti-NATO, finalizzata ad ostacolare l’attuale dirigenza politica georgiana manovrata completamente dagli Stati Uniti.
È infine poco probabile che sulla questione dello scudo anti-missile americano il presidente Putin abbia proposto di installare le apparecchiature in Azerbaijan per ostacolare il percorso politico del Karabagh; premesso che la Russia dispone da tempo di basi militari in tutto il Caucaso [14], credo che la proposta russa costituisca un’arma per controllare tutta l’area orientale (comprese quindi le attività americane in Caucaso e le truppe NATO coinvolte nei conflitti mediorientali), lanciando al tempo stesso un segnale alla politica estera ed energetica di Ilham Aliev.
I giacimenti del Mar Caspio, di cui l’Azerbaijan gestisce una porzione non indifferente, costituiscono infatti una delle maggiori riserve energetiche mondiali e coinvolgono diversi gruppi e società internazionali nelle operazioni di ricerca, estrazione, lavorazione e trasporto. Molti (troppi per Mosca?) gli interessi inglesi ed americani in Azerbaijan.
Difficile comunque pensare che la Russia abbandoni prontamente il campo diplomatico per impegnarsi militarmente nelle regioni del Caucaso esterne ai propri confini, soprattutto di fronte alle notizie di questi giorni che parlano di nuovi episodi di violenza in Dagestan ed Ingušezia.
Putin sa bene di dover garantire stabilità in una regione dove l’ingerenza atlantica punta da sempre a esasperare lo scontro di civiltà ed aprire nuovi fronti di instabilità lungo i confini sud-occidentali della Russia. Il futuro di Mosca passa quindi anche per le montagne del Caucaso.

Note:
1) Il Nagorno Karabagh (o Artsakh) costituiva già all’interno della Repubblica Socialista Sovietica di Azerbaijan una oblast’ (regione) autonoma. Il crollo dell’Unione Sovietica e l’indipendenza dell’Azerbaijan accentuerà poi in modo determinante i contrasti con gli abitanti di etnia armena.
2) http://altrenotizie.org/alt/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=19697
3) Il titolo si presta già ad alcune precisazioni, giacché Sahakyan è di etnia armena ma, come gran parte degli abitanti del Karabagh, è nato a Stepanakert. Per gli abitanti del Karabagh Sahakyan è quindi karabaghiano, mentre a Baku lo riterrebbero un cittadino azero di etnia armena, non riconoscendo lo stato di indipendenza decretato dal Karabagh nel 1991. Sul presunto atteggiamento filoamericano di Sahakyan ci soffermeremo invece più avanti.
4) Occorre tenere presente che tutte le repubbliche caucasiche ad oggi risultano marcatamente influenzate dalla politica estera della Russia; tale aspetto deve essere sempre considerato nel caso di rapporti amichevoli (Armenia), mediamente positivi (Azerbaijan) oppure ostili (Georgia).
5) La Georgia a mio parere costituisce, per complessità dello scenario ed interessi internazionali, il nodo centrale della geopolitica nel Caucaso; tale aspetto è dimostrato peraltro dalle risorse diplomatiche e strategico-militari che Russia e Stati Uniti investono nella regione: l’attuale governo Saakhashvili, dai tratti più antirussi che patriottici, ha trovato nella NATO il principale motore economico e militare della sua ascesa. Giunto al potere con la cosiddetta Rivoluzione delle rose, orchestrata e condotta con enormi risorse finanziarie americane, Saakhashvili non ha ancora portato a termine le promesse riforme in materia sociale e di rinascita economico-infrastrutturale; a tale quadro si aggiungono altri fattori destabilizzanti, come le folli spese militari o i numerosi fronti interni di guerra (Abkhazia ed Ossezia Meridionale) ed instabilità (Adžaria).
6) Accuse nei confronti di Mosca riguardo alla violazione dello spazio aereo georgiano si susseguono da tempo; le ultime notizie hanno riguardato il presunto abbattimento di un aereo russo da parte georgiana sulle montagne dell’Abkhazia ed il lancio di un ordigno aereo russo (fatto brillare prontamente, senza troppe indagini...) sul villaggio di Tsitelubani, nei pressi di Gori (GE).
7) Baku (AZ) – Tbilisi (GE) – Ceyhan (TK), tracciato sull’asse politico Azerbaijan – (Georgia) - Turchia.
8) Baku (AZ) – Tbilisi (GE) – Erzurum (TK), tracciato sull’asse politico Azerbaijan – (Georgia) - Turchia.
9) Si consideri ad esempio che dalla fine del conflitto del Karabagh su larga scala, la popolazione locale solamente negli ultimi cinque-dieci anni ha potuto apprezzare un reale miglioramento delle condizioni di vita, frutto della stabilizzazione economica e degli effetti a medio termine della ricostruzione. Buona parte degli articoli sul Karabagh disponibili in rete risalirebbero invece agli anni ’90.
10) Si parla di “espansione americana” nel senso letterale del termine: dopo anni di orrendi crimini in Iraq ed Afghanistan sono in pochi a credere che le istallazioni strategico-militari americane, associate all’addestramento di truppe o alla creazione di molte ONG dagli scopi culturali ed umanitari non ben definiti possano perseguire reali scopi di mediazione e pacificazione, in Caucaso come nel resto del mondo.
11) Alle operazioni di monitoraggio hanno contribuito personaggi politici russi appartenenti a gruppi dell’area patriottica, nazionalista o eurasiatista. Secondo quanto riportato dai comunicati e dalle agenzie stampa durante le elezioni non vi sarebbero state irregolarità tali da inficiarne i risultati finali.
12) Bako S. Sahakyan, “Together for the sake of Artsakh”, 2007 (materiale elettorale).
13) L’attuale condizione della Georgia, inserita dagli Stati Uniti nell’elenco delle “nuove democrazie” meritevoli di supporto economico e militare, rispecchia soprattutto la fedeltà del governo georgiano agli ordini imposti dalla NATO e dagli Stati Uniti. Solo così può essere spiegata la politica estera di Tbilisi di impegno militare nelle varie “missioni di pace” (es: Iraq), in gran parte non condivisa o contrastata da una popolazione georgiana in costante impoverimento.
14) Basi militari e contingenti russi impegnati come “peacekeepers” in Caucaso si trovano in Georgia (Akhalkalaki e Batumi, in Adžaria), Ossezia Meridionale (Tskhinvali), Armenia (Gyumri ed Erebuni), Abkhazia (Sukhum) ed Azerbaijan (Gabala, sito proposto da Putin per il contestato scudo strategico).

* Luca Bionda, collaboratore della rivista "Eurasia", ha partecipato come osservatore internazionale alle elezioni presidenziali dell'Artsakh svoltesi il 19 luglio 2007.