Diana Spencer, già divinizzata dalle masse, è ora sacralizzata anche dai suoi figli. La cerimonia organizzata dai principi William e Harry per ricordare pubblicamente la madre morta dieci anni fa è un evento del tutto speciale. Innanzitutto, è la prima volta nel mondo contemporaneo che membri di una famiglia a capo dello Stato (ad eccezione dei dittatori), condividono in una cerimonia religiosa col popolo, ed in questo caso col mondo intero, la commemorazione di un loro lutto.
Consapevoli o no, essi hanno così portato nell’ambito del sacro (rafforzato dal fatto che il Re d’Inghilterra è anche capo della Chiesa anglicana), la figura e il ricordo della loro madre, Diana, già divenuta oggetto di culto popolare.
Come ha detto una grande esperta di comunicazione, la giornalista Tina Brown, ex direttrice di Vanity Fair, e autrice di un libro su Diana, «a far sì che il mondo non la scordi mai sarà suo figlio. Che, una volta Re, assicurerà all’adorata mamma un posto speciale nell’Olimpo dei grandi».
Ma sull’Olimpo ci stavano gli dei. Quella che è stata celebrata nella Cappella delle guardie di Londra, rompendo l’intimità di un lutto familiare, benché regale, è stata dunque la sacralizzazione di una figura pubblica, contemporaneamente principessa, star mediatica, e guru di un suo popolo adorante, appunto “il popolo di Diana”. Infatti, già in vita, e subito con la sua morte misteriosa e drammatica, Diana Spencer aveva avuto la capacità di entrare fra le figure divinizzate dalla cultura di massa, assieme a Elvis Presley (per il quale, come per lei, alcuni discepoli sostengono che non sia mai morto), o Marilyn Monroe.
Siamo quindi di fronte ad un fenomeno modernissimo, la sacralizzazione dei divi dello star system, tra i quali è entrata per la prima volta la principessa della più potente monarchia occidentale.
In questo evento però, è presente anche un fenomeno molto antico, anzi arcaico. E’infatti nell’epoca premoderna che il popolo veniva coinvolto nella celebrazione religiosa di figure del potere regale. Ciò accadeva, ad esempio, per i faraoni di Egitto, una monarchia di ispirazione matriarcale, ed in genere nelle monarchie orientali, dove la regalità era connotata fortemente di aspetti religiosi. Nella più sobria età classica, fu invece nella decadenza romana che il culto sacrale della madre divinizzata dell’imperatore divenne frequente, coinvolgendo il popolo in celebrazioni prima impensabili.
L’Archetipo dell’inconscio collettivo attivato in queste celebrazioni già di massa era quello della Grande Madre, potente allora nel mondo mediterraneo e nel subcontinente indiano, e onorato per la sua relazione con la vita e il piacere.
Questo fatto, che finora le madri di Re celebrate con manifestazioni religiose fossero emanazioni del culto della Grande Madre, ci può aiutare a capire alcune tendenze della cultura contemporanea, che sono anche presenti, oggi, nella popolarità globale di Diana Spencer.
«Lei amava la vita e gli svaghi», ha detto della madre il principe Harry nella cerimonia di commemorazione. Aggiungendo: «Ci ha reso felici, ed ha reso felici tante altre persone». L’amore per la vita e lo svago, così come il portare la felicità, magari a prezzo di trasgressioni, sono appunto caratteristiche della Grande Madre e del suo culto. Che si contrappone a quello di divinità più tarde, con contenuti più educativi, come appunto Apollo, o Minerva Atena (fondatrice del Tribunale), che caratterizzarono il culmine della civiltà greco-romana.
Il culto della Grande Madre Diana è lì: tra postmodernità e arcaismo, potenza imperiale e decadenza.

da “Il Mattino di Napoli”