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Notizie dal mondo 1/15 dicembre 2005

di Rivista Indipendenza - 18/12/2005

Fonte: rivistaindipendenza.org

Polonia. 1 dicembre. Gli USA intendono costruire in Polonia rampe missilistiche nel contesto della cosiddetta Ballistic Missile Defence (BMD, lo “scudo anti missile”) per poter attaccare qualsiasi nemico e neutralizzare ogni possibile risposta. Lo denuncia il partito comunista polacco che ritiene «ridicola» la tesi di un attacco missilistico improvviso da parte di paesi come Iran, Siria e Corea del Nord, e paventano un’innalzamento delle tensioni con tutti gli Stati vicini, specialmente con la Russia. «In caso di conflitto militare degli USA con un’altra potenza, le installazioni in territorio polacco diventeranno un obiettivo. La partecipazione al progetto BMD significherà che sono state installate basi militari USA e che sono stati realizzati accordi unilaterali che limitano la sovranità polacca», denuncia il comitato centrale del partito comunista di Polonia in un comunicato del 22 novembre scorso.

 

Israele / Iraq. 1 dicembre. Secondo il giornale israeliano Yediot Aharonot, compagnie private sioniste hanno inviato specialisti nel nord Iraq per addestrare i servizi di sicurezza dei kurdi filo USA. Nell’ultimo anno e mezzo era stato predisposto allo scopo un campo segreto di addestramento (progetto di molti milioni di dollari concordato col governo regionale kurdo). Il giornale, che non ha rivelato le proprie fonti, pubblica foto di uomini mascherati identificati come israeliani, che, in una località segreta, addestrano kurdi all’uso delle armi e a preparare un attacco ad una pista di atterraggio.

 

Azerbaigian. 1 dicembre. Baku, Mosca e Teheran intendono rafforzare e sincronizzare le loro connessioni di energia elettrica. Nei prossimi due anni si prevede la costruzione di due linee ad alta tensione tra Derbent (Russia) – Iasma (Azerbaigian) ed Imisli (Azerbaigian) – Parsabad (Iran). Queste linee dovrebbero permettere di aumentare la capacità di trasporto delle linee energetiche Russia – Azerbaigian ed Azerbaigian – Iran a 500 mW a breve termine (2007-2008) ed a 1000 mW a lungo termine. Il costo totale dei lavori ammonta a 75 milioni di dollari. L’85% di questa somma sarà coperto dalla banca iraniana per le esportazioni, il 15% restante dall’impresa energetica Azerenergi. Un primo accordo sulla connessione delle reti energetiche di Azerbaigian, Russia ed Iran era stato siglato a Teheran nel dicembre 2004.

 

Azerbaigian / Iran. 1 dicembre. Teheran intende rafforzare i legami con gli Stati confinanti, in particolare con l’Azerbaigian. Lo ha detto il ministro degli Esteri iraniano Manouchehr Mottaki in visita a Baku. Mottaki ha sottolineato i progressi realizzati in negoziati bilaterali su questioni di reciproco interesse sul Mar Caspio e ricordato i legami religiosi tra i due paesi ed il ruolo dell’Iran nella fornitura di gas naturale nella repubblica autonoma di Nakhichevan, enclave appartenente all’Azerbaigian ma collocata in mezzo tra la rivale Armenia ed appunto l’Iran.

 

Azerbaigian. 1 dicembre. L’enciclopedia elettronica Wikipedia ricorda che Nakhichevan è una parola armena che significa letteralmente “l’alloggio della prima discesa” (da Nakh, “primo”, ichnel, “scendere” ed otevan, “alloggio”), intendendo il luogo dove Noè dormì, nella prima notte dopo la sua discesa dall’Ararat. Il Nakhichevan dichiarò unilateralmente l’indipendenza dall’URSS nel 1990, ma in seguito divenne parte dell’Azerbaigian. Durante la guerra armeno-azera per il Nagorno-Karabakh (enclave armena in territorio azero), il Nakhichevan rimase fermamente sotto controllo di Baku. Oggi esiste –ed è riconosciuto internazionalmente– come parte dell’Azerbaigian, anche se gode di ampia autonomia sui suoi affari interni ed ha un parlamento ed un presidente localmente eletti.

 

Russia. 1 dicembre. La Russia apre il capitale della Gazprom agli stranieri. La camera bassa del parlamento di Mosca ha accolto il 25 novembre le modifiche ad una legge che vietava investimenti stranieri nella società energetica controllata dallo Stato. Gli emendamenti passati alla Duma, con 338 voti favorevoli e 91 voti contrari, permetteranno a società estere di acquistare fino al 49% delle azioni di Gazprom, il più grosso produttore energetico mondiale. Il Parlamento russo dovrà comunque approvare in seconda lettura le modifiche alla legge. Il colosso dell’energia nel 2005 prevede di aumentare a 547 miliardi di metri cubici la produzione di gas, quasi 1/5 di quella mondiale, e pari all’86% della produzione nazionale. Le riserve di Gazprom ammontano invece a 30 mila miliardi di metri cubici. Cifre esorbitanti, che in seguito alla liberalizzazione delle quote dell’azienda renderanno il gruppo di Mosca appetibile agli investitori stranieri.

 

Russia / Turchia / Italia. 1 dicembre. Inaugurato ufficialmente il 17 novembre il gasdotto sottomarino Blue Stream fra Turchia e Russia, che ha coinvolto anche l’Italia tramite una joint venture (accordo tra imprese) del 1997 fra il gigante del gas russo Gazprom e l’italiana ENI (controllata per il 40% circa da fondi d’investimento in gran parte statunitensi). Il presidente russo Vladimir Putin ha auspicato che al Blue Stream facciano seguito nuove condutture Russo-Turche del gas e del petrolio. Il gasdotto russo-turco è un ulteriore capitolo di una complessa guerra geoeconomica per il controllo e trasporto delle risorse energetiche dell’Asia centrale innescata dalle strategie imperialiste degli Stati Uniti, che vorrebbero tra l’altro tagliare fuori la Russia dal circuito di distribuzione di petrolio e gas. L’attuazione del gasdotto mostra invece che la Russia riesce con successo ad utilizzare le proprie ampie riserve ampie di petrolio e gas per consolidare il proprio peso geopolitico nell’area.

 

Russia / Turchia / USA. 1 dicembre. La conduttura sottomarina Blue Stream segue la costruzione dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (BTC), sostenuto con forza dagli Stati Uniti nonostante gli alti costi e la tortuosità del tracciato, e completata all’inizio del 2005. Molti analisti hanno definito il BTC un progetto “anti-Russo”, dato che le risorse del Mar Caspio verrebbero così trasportate dall’Azerbaigian (Baku) fino alla Turchia (Ceyhan, porto turco sul Mediterraneo, tra l’altro non distante da Israele) attraverso la Georgia (Tbilisi) ed evitando il territorio russo. Un progetto che fa della Turchia una strategica testa di ponte per l’esportazione delle risorse energetiche verso gli Stati dell’Europa occidentale. La proposta di Putin di costruire una seconda conduttura nel Mar Nero per trasportare petrolio e gas, che secondo alcuni analisti aprirebbe la strada per una conduttura di connessione Samsun-Ceyhan tra il Blue Stream ed il BTC, da un lato continua a fare il gioco delle ambizioni delle oligarchie turche, dall’altro aumenta l’influenza geopolitica ed il ruolo di fornitore energetico della Russia nei confronti non solo della Turchia, ma anche dell’Unione Europea.

 

Russia / USA. 1 dicembre. Con pragmatismo la Russia prova dunque a rilanciare il suo ruolo di fornitore energetico per consolidare la sua influenza nell’area, messa in pericolo dai progetti alternativi made in USA di distribuzione delle risorse energetiche, dagli insediamenti di basi militari USA nel Mar Nero (Romania e Bulgaria) e più in generale dal rafforzamento dei legami politici e militari degli USA con Georgia, Ucraina e Moldavia. Diventando un importante fornitore di energia degli Stati Europei (vedasi il progetto di gasdotto transbaltico russo-tedesco) e rafforzando i propri legami con Ankara, Mosca prova ad accrescere la propria influenza nello spazio “europeo” diplomatico e geoeconomico, oltre che ricavare vitali introiti valutari.

 

Russia / Ucraina. 1 dicembre. Gas: nuovo braccio di ferro tra Mosca e Kiev, con possibili ripercussioni nella fornitura di gas russo per Italia, Germania e altri Stati europei. Con l’assenso del presidente Vladimir Putin, la Gazprom, potente compagnia monopolista del gas russo, vuole elevare dal prossimo gennaio il prezzo all’Ucraina a 160 dollari per ogni mille metri cubi: tariffa in linea con i prezzi del mercato mondiale, ma tre volte maggiore rispetto agli attuali, frutto dei consistenti sconti concessi da Mosca alle repubbliche ex-sovietiche, e che ora Gazprom vorrebbe revocare anche ad altri Stati, con l’eccezione significativa della Bielorussia. Per tutta risposta, il governo ucraino afferma che i nuovi prezzi vanno concordati assieme ad una revisione dei “diritti di transito” pagati dalla Russia per portare il gas in Europa occidentale tramite le condutture ucraine, anch’esse eredità dei tempi sovietici. Kiev acquista da Gazprom l’80% del suo fabbisogno di gas; per l’Ucraina passa invece gran parte del gas russo diretto verso gli Stati dell’Unione Europea. Se la disputa non trova risoluzione, si paventa un blocco dei gasdotti. Da parte russa si sostiene che la tariffa di 160 dollari chiesta all’Ucraina è un «prezzo di compromesso», e si minaccia anche un ulteriore aumento per il 2006 se Kiev dovesse continuare a resistere. Aleksandr Ruazanov, vice-amministatore delegato di Gazprom, avverte Kiev: «il fallimento è certo se non ci sarà un cambiamento di approccio da parte dell’Ucraina. Se non firmano il contratto, le conseguenze potrebbero essere catastrofiche».

 

Ucraina / Unione Europea. 1 dicembre. Gli accordi economici vanno di pari passo con quelli militari. Ciò vale anche per Kiev, che nell’ottenere lo status di «economia di mercato» dall’Unione Europea, ha siglato, nel corso del 9° vertice UE-Ucraina, degli accordi concernenti anche la partecipazione dell’Ucraina alle «operazioni di gestione della crisi» dell’Unione Europea. L’Ucraina già prende parte alle operazioni UE di “stabilizzazione” in Bosnia e Macedonia.

 

Ucraina / Unione Europea / Moldavia. 1 dicembre. Tra l’altro il summit è stato tenuto lo stesso giorno in cui prende il via una missione UE per monitorare la frontiera Ucraina con la Moldavia. Più di 100 ufficiali saranno schierati nell’area, che include il territorio della Transnistria (situata nella parte orientale della Moldavia), autoproclamatasi repubblica indipendente, e che di recente «ha dato inizio al conio di una propria moneta», come comunicato dalla agenzia russa RIA-Novosti. La Transnistria, russofona, vede pure la presenza di 1.400 soldati russi, e Mosca ne appoggia le aspirazioni indipendentiste per mantenere influenza in questa striscia di terra adiacente all’Ucraina. Kiev, da parte sua, appoggia invece lo sforzo moldavo di impedire la secessione transnistriana, e promette ai governanti di Chisinau il proprio aiuto per favorire l’integrazione moldava nella UE.

 

Ucraina / Unione Europea. 1 dicembre. La concessione dello status di “economia di mercato” all’Ucraina, che permetterà agli esportatori ucraini di evitare misure anti-dumping in Europa (in particolare sull’acciaio, una delle principali esportazioni ucraine), è considerato una tappa importante di preludio all’ingresso di Kiev nell’Unione Europea. Durante la conferenza, i leader dell’Unione Europea (il primo ministro della Gran Bretagna Tony Blair, presidente di turno dell’UE, il presidente della Commissione europea Barroso e il segretario generale del Consiglio dell’Unione Europea Javier Solana) hanno dichiarato che l’UE aiuterà Kiev ad entrare nella WTO, studiando altresì la possibilità di istituire zone per il libero commercio bilaterale. Tali atti di sostegno di Bruxelles alle oligarchie ucraine sono ovviamente connessi alla “rivoluzione arancione” filo statunitense di un anno fa, e dimostrano ulteriormente come la politica estera dell’Unione sia in pratica un’estensione di quella statunitense. Secondo vari analisti, l’Unione Europea utilizza questo riconoscimento per attirare e sostenere Kiev ad avvicinarsi all’UE, avanzando verso gli obiettivi di integrazione politica, militare ed economica, come mostrano, sotto quest’ultimo aspetto, le riforme del sistema di proprietà, le normative commerciali e le politiche economiche adottate, la riduzione dei margini d’intervento nell’economia da parte dello Stato. Geopoliticamente parlando, l’obiettivo è di allontanare l’Ucraina dalla Russia, così come auspicato da alte personalità USA, primo fra tutti il politologo ed ex consigliere del presidente USA Carter, Zbigniew Brzezinski. Bruxelles non aveva infatti concesso questo status all’ex presidente ucraino Leonid Kuchma: quando questi decise di riavvicinarsi alla Russia, i negoziati, iniziati nel 1997, furono sospesi.

 

Siria. 1 dicembre. «Quel che ci colpisce di più, e che ci rattrista, è che nei confronti della Siria non ci sia alcuna disponibilità a risolvere i problemi sul tappeto con il negoziato. Dagli USA e dall’ONU arrivano solamente ordini impossibili da rispettare senza perdere la nostra sovranità e la nostra dignità e che il presidente Bashar Assad non può sottoscrivere senza suicidarsi e senza suicidare il paese». Queste le parole di Nabil Allau, direttore del teatro dell’Opera di Damasco, intervistato da Stefano Chiarini, su il Manifesto, lo scorso 25 novembre. Nabil Allau, fautore di un’apertura economica e politica della Siria, con un’esperienza di anni di studio in Francia e in Italia, esprime così la sua amarezza verso il sistema internazionale che sembra voler provocare «caos» nel paese e che «non conosce nulla di questo paese, della sua storia, di quel che sta avvenendo oggi, e ci accusa di essere un pericolo per il mondo. Ma com’è possibile se riusciamo a mala pena ad andare avanti? Semmai sono loro a costituire un pericolo per noi e per tutto il Medioriente arabo».  

 

Siria. 1 dicembre. In merito all’uccisione dell’ex primo ministro libanese Rafiq Hariri, Nabil Allau si dichiara profondamente scandalizzato dal rapporto Mehlis e dalla totale mancanza di prove contro il governo siriano. In Siria è opinione diffusa che gli autori «potrebbero essere stati dei personaggi con passaporto libanese addestrati all’estero dalla CIA e dal Mossad, gli unici capaci di una tale precisione e gli unici che avrebbero potuto guadagnare da quel delitto». Dopo essersi chiesto perché mai nessuno voglia un’inchiesta internazionale su quella che lui chiama l’uccisione di Yasser Arafat, Allau non comprende «perché la commissione non voglia aprire un dialogo con il presidente per arrivare alla verità dal momento che Bashar Assad si è impegnato a perseguire chiunque, anche nelle alte sfere, dovesse risultare coinvolto nel complotto (…) Accuse così gravi devono essere corroborate da prove solide. C’è troppo marcio in questa storia. Altro che ricerca della verità, qui siamo alla sua definitiva sepoltura. Ma una cosa è sicura: noi siriani non siamo disposti a farci seppellire con lei (...) La Siria, per il presidente e per tutti noi, viene prima di qualsiasi altra cosa».

 

USA / Portorico. 1 dicembre. «L’FBI è la forza poliziesca dell’Impero più forte che ci sia. Una forza che si atteggia da onnipotente, che agisce apertamente negli USA come all’estero; nelle sue colonie e neocolonie, nelle nazioni neoliberalizzate e ricolonizzate. Agisce in modo occulto in tutto il mondo, ed ora, nell’era della globalizzazione neoliberale e della guerra infinita di Bush, più che mai». Questo l’attacco di un articolo del sito Rebeliòn dedicato all’assassinio del patriota portoricano Filiberto Ojeda in occasione della commemorazione del “Grito de Lares”, data emblematica della resistenza anticoloniale dell’isola. Filiberto Ojeda era leader dell’organizzazione politico-militare di Porto Rico “Los Macheteroa”. Rebeliòn ricorda il suo passato di sassofonista e la sua voglia di giustizia e liberazione, che si concretò nella formazione dell’Esercito Rivoluzionario Boricua, conosciuto col nome di “Los Macheteros”, diretto contro il colonialismo USA. «Azioni eroiche nel centro dell’impero e nelle condizioni più avverse che un rivoluzionario moderno abbia dovuto affrontare: prigioni, torture. Quindici anni ininterrotti di dura e difficile clandestinità, finita solo per una servile delazione. Circondato da centinaia di agenti dell’FBI, è stato eliminato da alcuni dei suoi cecchini. L’accanimento contro il valore. Vendetta e odio per il suo esempio di dignità. Ma è stato eliminato davvero? No, per niente. Filiberto vive. Adesso Filiberto cresce e si moltiplica. Perché Porto Rico non sarà mai più lo stesso dopo questo assassinio caduto proprio nell’anniversario del “Grito de Lares”. Nessuno si sente intimorito, se quello era l’obiettivo. I portoricani hanno seguito il suo esempio e gli hanno reso un tributo di folla, ed ora sono in fase di disobbedienza civile, generando altri macheteros ogni giorno, ad ogni passo».

 

Euskal Herria. 2 dicembre. Batasuna annuncia che i prigionieri parteciperanno al processo Bide Eginez, nonostante Madrid e Parigi abbiano disatteso la richiesta di Batasuna di facilitare la partecipazione dei prigionieri baschi. La rappresentante della formazione abertzale (patriottica), Jone Goirizelaia, proprio nella capitale spagnola ha tenuto una conferenza stampa, nel corso della quale ha dichiarato di essersi incontrata con Anabel Egues, una delle sue interlocutrici con il Collettivo dei Prigionieri Politici Baschi (EPPK) per comunicarle le caratteristiche del processo che fisserà la linea politica di Batasuna e ricevere assicurazioni che i prigionieri porteranno il loro contributo. Queste posizioni saranno poi rese pubbliche, insieme a tutte le altre, nel mese di gennaio, quando è previsto che culmini il processo Bide Eginez. Goirizelaia ha ribadito che «come parte di Euskal Herria quali sono, i prigionieri devono essere partecipi di qualunque processo che abbia luogo e, soprattutto, di qualunque processo della sinistra abertzale». Ha aggiunto che  questa implicazione si considera necessaria anche «come militanti, per collaborare alla linea politica e rafforzare Batasuna perché continui ad essere il motore di questo processo». Un altro membro dell’esecutivo di Batasuna, Pernando Barrena, presente in conferenza stampa, ha detto che i prigionieri politici «contribuiscono a questo processo essendo parte della sinistra abertzale e della nostra scommessa politica» e ha sottolineato che questa conferenza stampa è stata indetta per chiarire che se «da Madrid qualcuno pensa che Bide Eginez si stia realizzando in clandestinità, non è così».


Unione Europea / Euskal Herria. 2 dicembre. «Il conflitto basco riguarda Spagna e Francia, non l’Europa». Lo ha detto ieri il coordinatore sul tema “Terrorismo” dell’Unione Europea, Gijs de Vries, dopo essersi incontrato con il ministro spagnolo dell’Interno, José Antonio Alonso. Alonso, ha aggiunto che «tutte le istituzioni dell’Unione Europea hanno mostrato piena fiducia nelle istituzioni democratiche e politiche di Spagna nel trattare questa questione nel modo migliore». Il presidente del Parlamento Europeo, Josep Borrell, poi, ha risposto ieri con un «rotondo no» alla domanda se l’Eurocamera possa agire come mediatore in un ipotetico processo di pace.

 

Russia. 2 dicembre. Putin pensa ad una riproposizione ridotta del Patto di Varsavia. Da qui il vertice che mercoledì il presidente russo, Vladimir Putin, ha tenuto con rappresentanti di altri cinque paesi dell’ex URSS entrati nel Trattato sulla sicurezza collettiva che ha al suo centro Mosca. Nel corso del vertice è stata raggiunta un’intesa sul coordinamento della sicurezza comune. Putin, ai rappresentanti militari di Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kirghizistan e Tagikistan, ha proposto armi e addestramento da Mosca a prezzi scontati in cambio di un rafforzamento della cooperazione tra forze armate, soprattutto in chiave anti-terrorista. Nell’incontro, i paesi aderenti al trattato si sono accordati per un coordinamento in materia di sicurezza chimica, nucleare e biologica: «La dimensione anti-terroristica è chiara», ha sottolineato il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, precisando la disponibilità a cooperare con paesi come gli Stati Uniti e anche con la NATO: ma «su base trasparente e comprensibile, non in base al principio del gioco a somma zero».

 

Ucraina. 2 dicembre. La spinta centrifuga avviata dalle “rivoluzioni colorate” ha trovato il suo portabandiera nell’Ucraina del presidente Viktor Yushenko, che ieri ha incassato dall’UE la qualifica di «economia di mercato» e che ospita nella capitale Kiev un forum dedicato a una futura alleanza di democrazie alternativa alla CSI, la debole Comunità di stati indipendenti nata dalle ceneri dell’Unione Sovietica.

 

Kirghizistan. 2 dicembre. Bishkek «è passato effettivamente dalla dipendenza russa a quella verso le organizzazioni internazionali. Oggi il Kirghizistan è un paese molto indebitato, la cui politica economica dipende interamente dalla Banca mondiale e dal FMI. Da un punto di vista della sicurezza e della difesa, la presenza di basi militari russa ed USA porta anche a chiedersi in che cosa lo Stato kirghizo eserciti ancora la sua sovranità». Così Boris Petric, ricercatore del CNRS ed esperto dell’Asia centrale, intervistato da caucaz.com. Nell’intervista, Petric si sofferma sulle evoluzioni dell’ultimo decennio nella repubblica centroasiatica, ragionando in particolare sul ruolo pervasivo delle “organizzazioni non governative” (ONG), in prevalenza finanziate dagli Stati Uniti. Implosa l’Unione Sovietica, afferma Petric, il paese è stato abbandonato dalla Russia di Eltsin. Povero di risorse proprie, Bishkek apre allora le porte del paese «alle organizzazioni internazionali, alle cancellerie diplomatiche e ad alcune grandi ONG come Counterpart Consortium. Una situazione nuova che il deposto presidente Askar Akaiev definiva allora la politica del “e, e”, che consiste nel collaborare allo stesso tempo con la Russia, la Cina, gli Stati Uniti, eccetera».

 

Kirghizistan. 2 dicembre. L’apertura del paese alle istituzioni finanziarie internazionali egemonizzate dagli USA sarà traumatizzante per i cittadini kirghizi, che nel 1995-1996 conosceranno una terapia choc neoliberista a base di riduzione di spese sociali, privatizzazioni e disimpegno del ruolo dello Stato nell’economia, eccetera. In tale contesto si muovono le ONG con lo scopo di formare e finanziare una borghesia compradora di supporto a tali politiche. «Le ONG presenti in Kirghizistan sono 8mila. Formalmente sono tutte kirghize, ma in realtà sono il risultato di finanziamenti esterni. Se un domani questi finanziamenti dovessero interrompersi, un centinaio di ONG soltanto potrebbero proseguire le loro attività nel paese», rileva Petric. Gli stessi capi delle ONG affermano che queste sono «un mezzo per captare risorse, materiali o immateriali: risorse finanziarie, ma anche idee, come la promozione della democrazia, che permettono di viaggiare e partecipare a seminari, e dunque di acquisire uno statuto sociale».

 

Kirghizistan. 2 dicembre. In riferimento alla funzione delle ONG e al loro ruolo nelle strategie statunitensi, Petric fa l’esempio di Edil Baisalov, il capo di Coalizia, largamente mediatizzata in occasione delle ultime elezioni. È una rete di 170 ONG locali in Kirghisistan, creata nel 1999. Fa capo ad una ONG ‘nazionale’, che a sua volta dipende da un finanziatore esterno: la fondazione del Partito Democratico USA, la National Democratic Institute (NDI) presieduta da Madeleine Albright, ex segretario di Stato USA. Presenti nel paese sono pure Freedom House, diretta da James Woolsey, ex capo della CIA, e l’Open Society Institute, diretta dal finanziere USA di origine ungherese George Soros, dedite al finanziamento di radio e giornali, ma anche operanti nel campo dell’istruzione, sanità, ecologia, eccetera. «Coalizia fa parte di una vasta rete est europea, ENEMO, che è finanziata da varie organizzazioni, principalmente USA, come la fondazione Soros e la fondazione Eurasia. Anche se gli europei vi partecipano finanziariamente, la vera potenza finanziaria risiede oltre Atlantico. E benché non si possa ridurre il fenomeno ONG ad un fenomeno americano (Petric nota che ve ne sono anche di saudite per la promozione dell’islam o di coreane, eccetera, ndr), occorre sapere che quando un’organizzazione francese si stabilisce con 20mila euro, un’iniziativa simile USA dispone di un bilancio di 20 milioni di dollari». Le funzioni svolte da Coalizia conoscono due fasi. «Se la prima fase di riforme dal 1994 al 2000 è consistita nel creare ONG in modo massiccio, la seconda fase si è focalizzata sull’attuazione di ciò che gli anglosassoni chiamano la “costruzione di una coalizione”. Dopo avere indebolito lo Stato, l’idea di base è di consegnare gli aiuti e riformare il paese non più a partire dalle istituzioni statali, ma dalle ONG locali. Di qui la necessità di strutturare questo tessuto di ONG». In riferimento alla figura di Baisalov, il ricercatore ricorda «che questi è stato intervistato da tutti i mass media internazionali, ricevuto alla Casa Bianca ed ha pure testimoniato dinanzi al senato USA», e che «i capi delle organizzazioni giovanili Otpor in Serbia, Kmara in Georgia o Pora in Ucraina sono stati decorati dagli Stati Uniti (…) in occasione del vertice russo-americano di Bratislava del febbraio scorso».

 

Kirghizistan. 2 dicembre. Per le riforme intraprese e la presenza di organizzazioni internazionali, Bishkek è considerato modello ed “isola di democrazia” nell’Asia centrale. La realtà è però ben diversa per Petric. «Lo scopo di Coalizia è di controllare il processo elettorale, cioè supervisionare le elezioni e realizzare statistiche: dei compiti normalmente assunti dallo Stato. Coalizia si incarica così di legittimare o no un processo elettorale, ed organizzare conferenze stampa per diffondere eventuali contestazioni. In occasione delle presidenziali del luglio scorso, i rappresentanti di organizzazioni internazionali hanno presentato questo paese come un modello di successo in materia di transizione democratica. Ma il Kirghisistan ne è ancora molto distante». Nello spiegare questo punto, Petric effettua clamorose dichiarazioni: «Il giorno dell’elezione, molti kirghizi hanno rifiutato di votare, indisponendo allo stesso tempo le autorità locali e la Comunità internazionale. Eppure il tasso di partecipazione è risultato stranamente elevato (80%) (…) e gli osservatori internazionali hanno affermato che l’elezione si era svolta nelle norme... (…) Il sistema dell’informazione ha riportato che tutto si è svolto adeguatamente, nonostante “alcune riempiture di scrutinio”. In realtà le frodi sono state massicce». Insomma, a decidere della correttezza o meno delle elezioni è semplicemente l’adeguatezza o meno alle strategie geopolitiche di Washington. Ad onor del vero, però, la defenestrazione di Akaev ed il sostegno al neopresidente Bakiev non sembra aver mutato, come auspicato da Washington, la direzione della politica kirghiza, che rimane improntata all’insegna dei buoni rapporti con Russia e Cina. Il Kirghizistan, ricordiamolo, aderisce all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) e all’Organizzazione per il Trattato per la Sicurezza Collettiva (CSTO), l’una di carattere più politico-economico e l’altra di carattere militare, imperniate rispettivamente sulla centralità di Cina e Russia.

 

Israele / Palestina. 2 dicembre. Israele costruisce il Muro per creare colonie. La denuncia, contenuta in una relazione presentata ieri in conferenza stampa, è di B’Tselem, organizzazione ebraica per i diritti umani. Il tracciato del Muro in costruzione in Cisgiordania è stato stabilito deliberatamente per creare nuove colonie ebraiche –sostiene B’Tselem–, non per le ragioni di sicurezza cui allude il governo. «Una delle principali ragioni che ha motivato la scelta del tracciato della barriera in vari punti era situare dal lato israeliano settori previsti per l’espansione delle colonie», afferma B’Tselem. Intanto le autorità israeliane hanno arrestato ieri un giornalista di Al Jazeera, Auad Rayub, nella sua casa di Doura, vicino Hebron. Walid al-Amari, direttore di Al Jazeera per i territori palestinesi occupati, ha detto che gli è stato solo comunicato che l’arresto è dipeso da ragioni «di sicurezza».

 

Iraq. 2 dicembre. La guerriglia in Iraq è più forte che mai e potrebbe rafforzarsi ancora molto. È quanto avverte uno studio del Washington Institute for Near East Policy secondo il quale da qui ai prossimi sei-nove mesi la sfida alla presenza militare statunitense toccherà il suo apice. «Ritengo che l’esito di questo periodo di apice determinerà il successo o l’insuccesso dell’impegno americano», ha affermato Jeffrey White, curatore dello studio insieme a Michael Eisenstadt.
Nel rapporto, redatto dai due ex analisti del Pentagono, si afferma che
«malgrado siano stati uccisi migliaia di guerriglieri e arrestati decine di migliaia di iracheni, i dati a disposizione mostrano che la guerriglia è più robusta e letale che mai». E potrebbe diventarlo ancora di più: gli analisti rilevano infatti che finora la guerriglia è riuscita ad arruolare solo una minima parte degli elementi della minoranza sunnita con un minimo di addestramento militare. «Dovesse riuscire a sfruttare tutto il potenziale di malcontento», ha aggiunto, «potrebbe accrescere in grande misura le sue capacità militari». Il pessimismo di questo studio, che parla di una lotta «prolungata e costosa destinata a essere costellata di altri rovesci», stride con l’asserzione contenuta nella “Strategia nazionale per la vittoria in Iraq” appena annunciata dal presidente George W. Bush, secondo cui le forze USA avrebbero ottenuto «progressi significativi» nel contenimento della guerriglia.

 

Iraq. 2 dicembre. Gli USA dichiarano che a Falluja un’autobomba della Resistenza scoppiata presso una cementeria ha provocato l’uccisione di 10 marines ed il ferimento di altri 11 feriti. L’agenzia di stampa irachena Mafkarat al-Islam comunica che i marines hanno interrogato dei testimoni dello scoppio, avvenuto al momento del passaggio di una colonna di parecchi Humvees e trasporti-truppa Zeal e di fanteria appiedata. Le vittime USA sarebbero state almeno il doppio di quanto dichiarato dal comando USA: gli elicotteri hanno prelevato vittime per più di un’ora. Uno dei dirigenti  della cementeria ha detto che il comportamento dei militari statunitensi dopo lo scoppio non aveva precedenti. Altri testimoni si sono dichiarati sorpresi della particolare attenzione data a questa esplosione, poiché ne avvengono di simili ogni settimana in tutto l’Iraq con numero di vittime uguale o superiore.

 

Iraq. 2 dicembre. Iniziata a Ramadi un’operazione denominata “Punta di lancia”. Lo comunica, a Baghdad, il comando USA. Il corrispondente locale del Mafkarat al-Islam informa che l’ingresso dei contingenti è avvenuto senza incontrare opposizione, e che da subito sono state effettuate irruzioni, perquisizioni e arresti casa per casa, nel corso dei quali sono stati arrestati persino bambini. Il Dottor Hamd al-’Isawi, del Ramadi Hospital, ha detto che finora i marines hanno ammazzato o ferito più di 17 cittadini, e che stavano arrestando gente a caso e “istericamente”. Famiglie con donne e bambini stazionano alle fermate degli autobus, nella speranza di scappare da Ramadi. Molti che non hanno parenti o amici nelle città vicine e che non hanno soldi per un alloggio, si accampano all’esterno di scuole o di fabbricati governativi abbandonati, o semplicemente all’aperto, per mettersi al riparo dalle irruzioni USA.

 

USA. 2 dicembre. Fosforo bianco; bombe a frammentazione “taglia margherite”, proibite dalle leggi internazionali sulla guerra, che esplodono originando tante piccole bombe che vanno ad esplodere individualmente, causando lesioni spaventose, amputazioni di membra; bombe ad uranio depleto e bombe termobariche, che carbonizzano i corpi provocando mutilazioni tremende e facendo a pezzi teste, cervella, intestini, eccetera; bombe a grappolo; bombe al napalm, che schiacciano e bruciano ogni essere vivente che si trova nel raggio dell’esplosione e provocano gravissime lesioni interne per lo scoppio ad alta pressione, profonde ustioni, senza però lasciare tracce di schegge: sono queste alcune delle armi di distruzione di massa usate dagli Stati Uniti contro i civili in Iraq. Dirk Adriaensens (www.globalresearch.ca), coordinatore nella commissione dell’Esecutivo del Brussells Tribunal, ritiene che ci sarebbero tutti gli estremi per incriminare gli USA per crimini di guerra e contro l’umanità. Prove di tali crimini sono stati forniti dalle ONG belghe Soccorso Medico per il Terzo Mondo e SOS Iraq, che avevano a Baghdad un gruppo sanitario con due medici, il Dr. Geert Van Moorter e la Dr.ssa Colette Moulaert, rimasti  in Iraq durante i bombardamenti e la successiva occupazione. Un loro documento del 3 aprile 2003 ha descritto l’uso di tante terrificanti armi usate dalle forze armate USA. Documento poi inviato a Dai Williams, esperto di armamenti, affinché analizzasse le descrizioni fornite dai due medici. Nel link sopra riportato è possibile scaricare l’articolo (in inglese) nonché altri video comprovanti l’uso e una loro descrizione di tali armi di distruzione di massa da parte USA. 

 

USA. 2 dicembre. «La documentazione accusatoria delle atrocità di Saddam Hussein impallidisce di fronte alla storia, venendo eclissata dal massacro industrializzato che le Forze USA hanno messo a punto finanziandolo con miliardi di dollari (...) Dopo la Seconda guerra mondiale, vi era stato sufficiente orrore da creare adesioni alle Convenzioni di Ginevra. Ma l’industria degli armamenti e l’esercito USA hanno mostrato sempre disprezzo per il diritto internazionale umanitario, anche dopo la seconda guerra mondiale. Se questa guerra mette in evidenza qualcosa, questo è la necessità per il mondo di cominciare a mettere sotto controllo la barbarie del complesso industriale bellico degli Stati Uniti». Così Dai Williams nell’articolo succitato. In merito al Napalm, Williams ricorda che gli Stati Uniti è il solo Stato al mondo che ancora lo utilizza.

 

Iraq. 3 dicembre. «Le cifre non quadrano», sostengono gli analisti. Carlos Varea, coordinatore della Campagna Statale contro l’Occupazione e per la Sovranità dell’Iraq, sostiene che i numeri delle campagne militari statunitensi non tornano. Ricorda che il gruppo di analisi dell’Istituzione Brookings of Iraq Index Project sostiene che le forze USA avrebbero ucciso in agosto, settembre e novembre di quest’anno una media di circa 3mila «combattenti», cioè un totale di 9mila. «Se si ricorda la stima ufficiale del Pentagono che la resistenza irachena potrebbe essere integrata da circa 20mila effettivi, vorrebbe dire che gli Stati Uniti ne hanno ucciso quasi la metà. Quel che è certo è che le cifre non quadrano. La realtà quotidiana conferma che la resistenza è imbattuta. O il numero degli iracheni coinvolti in azioni armate è di gran lunga superiore, oppure la sua capacità di reclutare, il suo appoggio popolare, è notevole».

 

Iraq. 3 dicembre. Dieci marines uccisi a Falluja. Lo comunica il Comando USA. Mentre la guerra all’Iraq s’avvicina al giorno mille, gli Stati Uniti stanno facendo i conti con l’impatto di possibili defezioni nei prossimi mesi di alleati presenti in Iraq con contingenti militari, che s’apprestano a ritirare, in tutto o in parte, entro dicembre o all’inizio del 2006, le loro truppe. La letalità della guerra, che ha finora causato circa 2.125 perdite militari USA e quasi 200 alleate (26 le italiane), è uno dei fattori della spinta al ritiro, nonostante la Strategia per la Vittoria pubblicata mercoledì dall’Amministrazione statunitense punti sui progressi fatti, sia sul piano della sicurezza che della democratizzazione e della ricostruzione. Bulgaria ed Ucraina hanno già deciso e annunciato di volere riportare a casa, entro dicembre, i loro uomini che sono 1.250 complessivamente (rispettivamente 380, che verranno via a metà mese, e 876, che partiranno a fine anno). Altri Paesi della coalizione, come Gran Bretagna, Australia, Polonia, Giappone e Corea del Sud, oltre che l’Italia, stanno valutando se, come e quando ridurre i loro contingenti, o darne per conclusa la missione. A Washington, in particolare al Pentagono, ci si interroga sull’impatto delle mosse degli alleati, che potrebbero, in un’ipotesi neppure estrema, dimezzare la presenza militare alleata in Iraq di qui alla metà del 2006. Attualmente, gli Stati Uniti hanno nel Paese quasi 160 mila uomini e i loro alleati poco più di 20mila provenienti da 27 Paesi –oltre 8mila le truppe britanniche, 2.800 quelle italiane, che costituiscono, oggi, il quarto contingente. In totale, 38 Paesi hanno militarmente partecipato all’invasione o alla «stabilizzazione» dell’Iraq. Per il Financial Times, Washington, con negoziati condotti dal Dipartimento di Stato, sta cercando di trasformare le presenze militari dei Paesi che vogliono ritirarsi, in tutto o in parte, in presenze di altro tipo: missioni civili finalizzate, ad esempio, alla ricostruzione. Ma la linea della Casa Bianca e del Pentagono è che la riduzione dell’apparato militare resta subordinata ai progressi delle forze di sicurezza irachene nella capacità di garantire da sole la stabilità del paese.

 

USA / Iraq. 3 dicembre. Gli Stati Uniti hanno ammesso di aver pagato media iracheni perché pubblicassero articoli filo-statunitensi. Il Centro per l’Informazione Stampa delle forze USA a Baghdad giustifica la pratica come parte di «operazioni di informazione» necessarie a contrastare l’estesa «propaganda» degli insorti. Il comunicato non chiarisce se siano stati pagati giornalisti iracheni per inserire informazioni pilotate.

 

Iraq. 3 dicembre. L’agenzia di stampa irachena Quds Press  ha appreso da testimoni oculari che i marines hanno fermato ad un posto di blocco ad Haditah una macchina con a bordo una famiglia composta da padre, madre, e cinque bambini, l’hanno fatta scendere, e poi hanno ammazzato prima i bambini e poi i genitori. I testimoni, inorriditi, hanno detto alla Quds Press che non hanno idea del perché di questo crimine. L’agenzia fa rilevare che questo è il terzo crimine del genere commesso dai marines in quindici giorni in questa città, ormai da settimane sottoposta ad una pesante offensiva delle truppe USA e di quelle irachene fantoccio, offensiva che ha cacciato di casa centinaia di famiglie ed ha provocato incalcolabili danni a case, uffici e pubbliche istituzioni.

 

Iraq. 3 dicembre. Il generale di brigata Midhat Mahmud –portavoce dell’esercito iracheno fantoccio– ha comunicato nel corso di una conferenza stampa a Baghdad che nei prossimi giorni potrebbe essere effettuata un’altra operazione militare contro i locali combattenti della Resistenza “ancora attivi” nella già martoriata città di Falluja. Il generale ha detto che a Falluja gli attacchi della Resistenza sono tornati ad essere di intensità uguale a quelli condotti prima delle offensive USA. Ha poi aggiunto che, secondo le informazioni ricevute, gli attacchi vengono effettuati da gente del posto, e perciò occorrerà setacciare case e negozi e controllare l’identità di tutti i residenti.

 

Russia / Iran. 3 dicembre. La Russia venderà armi all’Iran per circa mille milioni di dollari. Mosca ­venderà a Teheran il grosso delle forniture militari tra il 2006 ed il 2008, secondo i documenti sottoscritti. Si tratta di una trentina di sistemi di difesa antiaerea Thor-M1. L’amministrazione Bush si è affrettata a dichiarare che sta già investigando in merito.

 

Iraq. 4 dicembre. Rilasciata a Qa’im una donna di 27 anni, Sihr Sahlih ‘Ayyaddah al-Maqhlawi, tenuta in carcere dalle forze USA per tre settimane con l’accusa di aver progettato un’operazione della Resistenza. I suoi parenti hanno confermato che nelle carceri ci sono dozzine di donne i cui nomi non sono stati mai aggiunti alle liste tenute dalla Croce Rossa e dalla Mezzaluna Rossa ed i cui arresti non sono stati comunicati. Hanno anche detto che sono tutte irachene sunnite e che stanno in carcere da almeno due anni, ma le famiglie non hanno voluto dire se siano state sottoposte a torture o altro.

 

USA / Iraq. 4 dicembre. Il Pentagono si appresta a chiedere al Congresso fondi supplementari fino a 35 miliardi di dollari, per le operazioni in Iraq e Afghanistan. Lo scrive oggi il Boston Globe, secondo il quale i 35 miliardi andranno ad aggiungersi ai 50 già stanziati dal Congresso per il budget 2006. Complessivamente, secondo i calcoli del quotidiano, dall’11 Settembre gli Stati Uniti hanno speso in operazioni militari circa 357 miliardi di dollari.

 

Iran / USA. 4 dicembre. L’Iran non ha in agenda l’apertura di trattative con gli USA, né per quanto riguarda l’Iraq né in merito al suo programma nucleare. L’ambasciatore USA a Baghdad, Zalmay Khalilzad, aveva detto che il Dipartimento di Stato lo aveva autorizzato ad avviare contatti diretti con Teheran sulla situazione in Iraq. «La situazione in Iraq riguarda il popolo di quel paese», ha detto il portavoce del ministero degli Esteri iraniano.

 

Iran. 4 novembre. Il capo dell’agenzia ONU per l’energia atomica (AIEA), Mohamed El Baradei, ha suggerito un diretto coinvolgimento di Washington nei negoziati per risolvere la questione del programma nucleare di Teheran e l’Occidente. Pronta la replica del portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Hamid Reza Asefi: «non c’è bisogno di tali negoziati perché riteniamo che una delle ragioni che hanno ulteriormente complicato la vicenda sia l’intervento USA». Nuovi colloqui sulla questione partiranno tra Iran e Unione europea nelle prossime settimane, anche se una data non è stata ancora fissata. L’Unione Europea vuole che l’Iran accetti la proposta secondo cui il processo di arricchimento dell’uranio sia condotto in collaborazione con la Russia. Ma le autorità iraniane hanno già detto che non accetteranno alcun accordo che impedisca di portare a termine l’intero procedimento nucleare sul territorio iraniano.

 

Israele. 4 dicembre. Prima conferenza stampa congiunta tra Ariel Sharon, ex primo ministro del Likud, e Shimon Peres, ex laburista. Lasciati i rispettivi partiti storici, corrono uniti nella nuova formazione Kadima (“Avanti”), fondata da Sharon, verso le legislative anticipate di marzo. Sharon si dice certo della vittoria e ha garantito che una volta raggiunto questo obiettivo, Peres potrà scegliere l’incarico che preferirà. L’ex leader laburista ha acconsentito a formare un governo di “unità nazionale” con Sharon a sostegno del piano di evacuazione delle colonie dalla Striscia di Gaza (e contemporaneo aumento di quelle presenti a Gerusalemme ed in Cisgiordania, oltre che assenso alla costruzione del “Muro dell’Apartheid” entro i confini della Cisgiordania).

 

Unione Europea. 5 dicembre. Tony Blair, primo ministro britannico ed attuale presidente di turno dell’Unione Europea, presenta una proposta sul budget 2007-2013 dell’Unione Europea. Nei giorni scorsi, il premier ha incontrato i capi di Stato dei nuovi Stati membri per annunciare uno dei punti contenuti nella bozza, punto che prevede la riduzione del 10% degli aiuti da destinare ai paesi che hanno aderito all’Unione nel 2004 e una riduzione ai fondi destinati allo sviluppo rurale. La proposta è molto controversa e servirebbe a preservare, almeno in parte, il cosiddetto “sconto” di cui Londra gode dal 1984 e che oggi si aggira intorno ai 5 miliardi e mezzo di euro. La bozza del budget prevede ancora di lasciare invariati i finanziamenti all’agricoltura di cui usufruisce soprattutto la Francia. Sotto la presidenza lussemburghese lo scontro tra Londra e Parigi, che rivendicavano e difendevano i rispettivi privilegi, ha di fatto bloccato l’accordo sul bilancio europeo. La condizione posta dall’Italia per accettare l’accordo è che non venga ridotto lo stanziamento europeo per le politiche di coesione e che sia ripartito equamente il costo dell’allargamento fra tutti gli Stati membri in rapporto al PIL. Il presidente della Commissione europea Barroso chiede invece una manovra che possa andare incontro alle aspirazioni dei nuovi Stati membri.

 

Polonia. 5 dicembre. L’Europa non deve accontentarsi di un accordo qualunque sul bilancio europeo: con queste parole, rilasciate ad Euronews, Kazimierz Marcinkiewicz, primo ministro polacco del partito dei fratelli Kaczinsky Legge e Giustizia (Pis), a guida di un governo di minoranza, mette in guardia Tony Blair dal ridurre i fondi europei a Varsavia nell’approvazione del bilancio europeo 2007-2013. «L’Unione Europea oggi vive una specie di crisi. E questa crisi si aggraverà se nel vertice di metà dicembre non si troverà un compromesso sul budget 2007-2013. Ma nello stesso tempo non dobbiamo dimenticare che all’Unione Europea serve un buon budget, ed è interesse anche della Polonia che l’Unione Europea abbia un buon budget. Quindi se a dicembre dovesse essere possibile solo un accordo per un cattivo budget, sarebbe meglio aspettare finché non saranno maturi i tempi per un accordo migliore», lasciando così intendere che Varsavia è pronta a mettere un veto se la proposta di accordo non sarà soddisfacente.

 

USA / Germania. 5 dicembre. Ritornando sul caso degli aerei della CIA con presunti “terroristi” a bordo, il quotidiano statunitense Washington Post riferisce di un “errore” della CIA che ha portato al sequestro del cittadino tedesco Khaled Al Masri. Un sequestro di cui l’ex ministro dell’interno del precedente governo SPD-Verdi, Otto Schily (SPD) venne informato nel maggio 2004 e pregato di mantenere il più assoluto silenzio. Nel febbraio 2005 il programma “Frontal 21” della stazione televisiva statale ZDF riferiva che Masri era stato scambiato per un altro “presunto terrorista”. Masri è stato, secondo dichiarazioni di funzi