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Sarkozy. La lezione francese (Recensione)

di Stenio Solinas - 04/09/2007

Alain de Benoist ha definito il neopresidente di Francia “un Berlusconi con meno fascino”.

Questo aiuta a capire come sono messi loro. E anche come siamo messi noi...

Per quanto noi italiani

si sia abilissimi

nel copiare,

riprendere e adattare

mode straniere,

è difficile che

nel campo della

politica ci sia una una vera e propria volontà

e/o possibilità di fare proprio il modello

francese di Sarkozy. Troppe sono le differenze

di sistema istituzionale, di struttura sociale,

di tradizione statuale, di famiglie di pensiero,

di interessi in gioco, perché si possa

andare oltre generici e improvvisati parallelismi.

Inoltre, e non per fare dello sciovinismo,

per molti versi c’è stato nell’ultimo

decennio più una lezione italiana in terra di

Francia che viceversa, anche se i francesi

hanno fatto e fanno finta di niente e Sarkozy,

sotto il profilo dello stile e del comportamento

deve a Berlusconi più di quanto non

voglia o non possa ammettere. In un lungo

saggio sulle ultime elezioni d’oltralpe, uscito

sul mensile Diorama, Alain de Benoist ha

definito il neopresidente di Francia “un Berlusconi

con meno fascino”. Questo aiuta a

capire come stanno messi loro. E come stiamo

messi noi...

Secondo la simpatetica, un po’ troppo, biografia

scritta su di lui da Marina Valensise,

Sarkozy. La lezione francese (Mondadori,

247 pagine, 17 euri), al piccolo e nervoso

nuovo inquilino dell’Eliseo si deve una vera

e propria rivoluzione: ha ricomposto la

destra, ha sedotto parte della sinistra, ha

ridato fiducia alla passione politica dei suoi

connazionali. Come in tutte le descrizioni,

c’è del vero, ma accontentarsi di un’analisi

che in qualche modo conforta le conclusioni

di chi ne è l’autore, non è sempre il modo

migliore per capire e vale la pena di aggiungere

qualche altro elemento al quadro d’insieme.

Riguardo alla passione politica, per

esempio, non sarà male ricordare che un

ritorno massiccio alle urne già al primo turno,

dopo due settennati di Chirac e il suicidio

socialista delle ultime presidenziali, ha

più chiavi di lettura del solo fenomeno Sarkozy.

Ha a che fare con la “giovane” età dei

due contendenti, non outsider assoluti, ma

comunque elemento di novità rispetto

all’immobilismo precedente. Deve tener

conto di una “intelligenza di voto” superiore

al più recente passato, dove la sinistra era

rimasta da subito al palo e la destra estrema

si era configurata come spauracchio inutilizzabile.

Concerne un utilizzo della cosiddetta

antipolitica - viscerale, qualunquista, compassionevole,

retorica nel suo essere antisistema

- da parte della politica istituzionale in

quanto tale, con tutti e tre i candidati ufficiali,

(Sarkozy, Royal, Bayrou), più impegnati a

far dimenticare le loro origini ideologiche e i

loro partiti di appartenenza che non a rivendicare

l’essere parte integrante del sistema

stesso.

Sulla cosiddetta “seduzione a sinistra” bisognerà

poi dire che si trattava di una sinistra

fin troppo seducibile, sia per l’inconsistenza

del suo maggior candidato, sia perché quest’ultimo

nella battaglia mediatica della

“modernità” non è mai riuscito ad andare al

di là di una visione compassionevole della

vita, vecchia, angusta e paradossalmente reazionaria

(i tribunali del popolo, per fare un

solo, piccolo esempio). Quanto infine alla

ricomposizione della destra, il “merito” va in

fondo diviso a metà: l’impresentablità di Le

Pen condannava il Front National alla sterilità,

il suo considerarsi cane da guardia di una

destra tradizionale e profonda ne impediva la

trasformazione in qualcosa di diverso, capace

di superare una dicotomia più artificiale

che reale e di rappresentare la parte più

debole e meno tutelata della nazione.

Nel libro di Marina Valensise, un lungo capitolo

viene dedicato all’enfasi antisessantottina

del neopresidente, enfasi che ha provocato

prese di posizione e polemiche a non finire

e sulla quale l’autrice appare in perfetta

sintonia con il suo autore. Anche qui, qualche

domanda non retorica aiuta a schiarirsi le

idee. Nel quarantennio postSessantotto, un

trentennio circa ha visto la destra al potere.

Lo stesso Sarkozy ha partecipato alla campagna

presidenziale dalla posizione privilegiata

di ministro degli Interni, il duplice mandato

di Mitterrand si situa fra un Pompidou-

Giscard e un doppio Chirac... Ritenere lo

“spirito del’68” il responsabile dei mali del

Paese, può essere un abile artificio retorico,

purché si sia consapevoli di quello che si

tratta. In caso contrario, vuol dire non rendersi

conto delle carenze e della pochezza

che ha contrassegnato la propria parte politico-

ideologica, e quindi condannarsi a ripetere

gli stessi errori.

Sia detto per inciso, mutatis mutandis è

quanto avviene nel panorama italiano, dove

un quindicennio di bipolarismo e due governi

di centro-destra non hanno mai significato

per quest’ultima un’analisi delle proprie

mancanze, ma sempre uno scaricare sul centro-

sinistra le responsabilità del malgoverno

del Paese...

Al di là di simpatie e di antipatie, i primi

passi di Sarkozy presidente, prescindendo da

qualche scivolone sul piano del buon gusto e

della tenuta nervosa, sembrano essere positivi.

Una scelta ministeriale che scompagina

le tradizionali famiglie di pensiero politico,

un servirsi di tecnici, anche internazionali,

di valore indipendentemente dalla loro provenienza,

un successo di immagine nella

vicenda libico-romena delle infermiere detenute

a Tripoli che abbina decisionismo,

mediatizzazione della politica (il ruolo glamour

di Cecilia Sarkozy) e interesse nazionale

(commesse economiche e affari con

Gheddafi).

Vantandosi di essere un pragmatico, è probabile

persino che Sarkozy annacqui quel suo

“americanismo” che in passato gli era anche

e soprattutto servito per distinguersi dall’odiato

rivale de Villepin e da uno Chirac che

si ostinava a impersonare una politica gollista

essendo di de Gaulle soltanto una caricatura.

Il suo problema sta in quelle considerazioni

che Mitterrand fece al termine della sua

leadership, quando osservò che dopo di lui

non ci sarebbero più stati presidenti della

Repubblica in Francia, ma “soltanto” tecnocrati“.

La globalizzazione da un lato, l’Unione

europea dall’altro congiurano contro gli

Stati nazionali, e la cosiddetta “eccezione”

francese non ne è indenne. Se e quanto Sarkozy

cercherà di ricomporla e/o di tenerla in

vita, lo si vedrà nel prossimo futuro. D’altra

parte - e non è un caso - l’intera campagna

presidenziale ha visto i candidati affrontarsi

soltanto sul campo della politica interna, e

anche questo è significativo quanto alle difficoltà

e debolezze che entrambi avevano sul

versante internazionale.

Nota Marina Valensise che il bilancio di Sarkozy

come ministro degli Interni non è stato

del tutto soddisfacente, al di là dell’attivismo

e del presenzialismo dimostrati. Qui si

introduce un altro elemento del già citato

pragmatismo sarkozyano, ovvero una notevole

capacità dialettica, con forte impatto

mediatico, a cui non corrisponde però una

reale efficacia pratica. Erede in questo della

migliore tradizione repubblicana, Sarkozy è

un oratore dalla retorica seducente, ma come

si è già visto in passato in terra di Francia,

non sempre alla seduzione ha fatto seguito

una soddisfacente copulazione...

Per quanto l’autrice faccia precedere il suo

saggio da un’introduzione in cui espone tutte

le perplessità riguardo a un’eventuale Sarkozy

italiano, è evidente che, fosse per lei,

pure nella sua impossibilità andrebbe

comunque inventato. A destra non è un

atteggiamento nuovo, dalla Thatcher a Reagan

passando per Aznar, lo stesso Chirac,

addirittura (ma sì, c’è stato anche questo) Le

Pen... È una pratica, per la verità, esistente

anche a sinistra: il socialismo scandinavo,

quello dal volto umano, la terza via, Clinton,

Blair, Zapatero... Dal punto di vista anagrafico,

Gianfranco Fin da un lato e Walter Veltroni

dall’altro, sono gli unici che in qualche

modo possono essergli accostati, ma le

somiglianze finiscono qui. A prescindere da

tutto il resto, al primo manca un elemento

proprio della psicologia sarkozyana: “In

politica non devi chiedere, devi prendere”. E

quanto al secondo, se ha introiettato benissimo

quell’altra massima sarkozyana che recita

“non puoi capire la gente se non hai i

gusti della gente”, gli manca la drammaticità,

lo scegliere anche a costo di deludere.

Fini aspetta sempre che qualcuno gli ceda

un premierato, Veltroni se lo prenderebbe

pure, ma senza contestazioni.