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Dalla cultura dell’annuncio alla manifestazione del 20 ottobre. Qualche riflessione

di Carlo Gambescia - 05/09/2007

 

Le grandi discussioni di questi giorni intorno alla tolleranza zero, alla meritocrazia, eccetera, confermano che la cultura dell’annuncio è ormai una componente stabile del sistema politico-comunicativo italiano. Tutti ricorderanno le “Tre I” di Berlusconi, come i grandi progetti sul famigerato “Ponte sullo Stretto”: grandi discorsi e nulla più. E sarà quello che accadrà alle riforme “annunciate” da Amato e Fioroni.
Il vero punto della questione è che oggi nella politica italiana non conta quel che effettivamente si fa, ma quel che si annuncia o si promette di fare. La battaglia politica - se proprio la si vuole chiamare così - verte sull’annuncio di un certo progetto, che poi, regolarmente non viene realizzato. E la cultura dell’annuncio, oggi enormemente favorita dalle tecniche della pubblipolitica e dal servilismo politico dei media, serve a coprire l’inerzia di una classe politica, ma anche di una macchina statale che ormai vive in funzione di se stessa.
Governare oggi in Italia significa “vivere alla giornata”, sperando nella miracolosa ripresa dell’economia mondiale e nel famigerato individualismo italiano. La cultura dell’annuncio è una specie di via italiana alla pubblipolitica, in cui si mescolano insieme modernissime tecniche pubblicitarie e antichi vizi italici…
Su questo immobilismo politico vanno a innestarsi le prese di posizione dell' estrema destra liberista e della sinistra radicale e statalista. Il loro ruolo, nella “rappresentazione” pubblipolitica, è quello di favorire oggettivamente il ricompattamento del fronte autodefinitosi riformista, legato appunto alla cultura dell’annuncio. Insomma, l’estremismo parolaio, liberista e rifondazionista, favorisce, suo malgrado, l’immobilismo e la moltiplicazione degli “annunci”, da parte, diciamo così, di una palude centrista che raccoglie i rottami riformisti, provenienti da destra e sinistra.
Un paio di esempi.
Le liberalizzazioni fortemente auspicate dalla destra liberista si sono risolte in un nulla di fatto. Ma anche il veto della sinistra radicale al lavoro precario non ha prodotto finora nessun risultato. In buona sostanza, la politica dell’attuale governo è pressoché identica a quella dei governi precedenti. Compresi i contraddittori annunci sulle liberalizzazioni e sulla necessità di sopprimere il lavoro precario. Il che è provato anche dal fatto che Berlusconi e Prodi (il primo all’opposizione, il secondo al governo) continuano tuttora a difendere, al tempo stesso, la cosiddetta Legge Biagi e la necessità di superare il lavoro precario.
Ora, in questi giorni si discute tanto della manifestazione, indetta dalla sinistra radicale (ma di governo) del 20 ottobre. In realtà è pura cultura dell’annuncio. Una vera sinistra di opposizione dovrebbe far cadere subito Prodi e preparasi a una “lunga marcia” nel sociale, puntando a conquistare la maggioranza poltiica, per poi governare da sola, senza dover subire il ricatto della palude centrista e riformista: costi quel che costi.
Insomma serve una sinistra dei fatti (dura opposizione nel Paese) e non delle parole (“intanto manifestiamo, poi si vedrà…”)
Si dirà, gli Stati Uniti e certa Europa “riformista” non lo consentiranno mai. Certo, il rischio sussiste. Ma quali sono le alternative? La cultura dell’annuncio e il dialogo con Mastella e De Mita. ..