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Antifascismo e lavavetri (dal prevenire per non reprimere, al reprimere per prevenire)

di Carlo Gambescia - 06/09/2007

 

Nella sua intervista a Repubblica, Amato insinua l'idea che la microcriminalità debba essere combattuta per evitare reazioni, dal basso, di tipo razzista-fascista. Rovesciando così, tra l'altro, una celebre regola sociologica di stampo illuminista: dal prevenire per non reprimere, al reprimere per prevenire. Ma questa è un’altra storia...
Inoltre Amato parla, e con grande compiacimento, della nostra società come di una magnifica “società degli individui”, giudicando inutile persino qualsiasi ipotesi di identità comune forte tra gli italiani. Insomma, che non sia puramente “costituzionale".
Due brevi riflessioni.
In primo luogo, la “società degli individui”, così apprezzata da Amato, è una società che esiste solo in teoria e nella mente degli economisti. Da sempre l’ “individuo” vive immerso in una rete di gruppi e relazioni: familiari, amicali, lavorative, eccetera. Di conseguenza porre l’accento sull’individuo significa “solleticare” ideologicamente l’ego dei singoli, o se si preferisce, farne una specie di consumatore, anche di diritti e doveri… Il che però implica l’idea - ecco la controindicazione - che il ruolo dello stato sia esclusivamente quello di proteggere e garantire i “diritti e doveri” individuali. Senza alcuna necessità di ricorrere a una condivisione di valori comuni, sia storici che culturali, che preceda lo scambio protezione-obbedienza (o meglio tra diritti e doveri).
Tuttavia resta un fatto: le società, come qualsiasi gruppo umano, senza valori comuni, non possono reggere a lungo e finiscono, prima o poi, per frammentarsi in gruppi e sottogruppi. Perché il bisogno di identità, torna a manifestarsi in forma patologica, come conflitto tra subculture. Pertanto, anche mettere in prigione tutti i lavavetri d’Italia, potrebbe non servire a nulla, perché non può mutare una situazione segnata da una crescente disorganizzazione sociale, dovuta alla completa assenza di un “idem sentire”. Il che è ben spiegato, ad esempio, dalla persistenza di movimenti politici separatisti e di gruppi criminali di tipo territoriale. Il vero problema italiano non è l’ordine pubblico ma la disorganizzazione sociale, che ne è la causa, e che è frutto di una mancata condivisione di valori comuni, storici e culturali, capaci di andare ben oltre la frattura del 1943-1945.
Il secondo luogo, questa mancanza di valori comuni, viene surrogata da Amato, con il consueto appello antifascista, usato addirittura per combattere i lavavetri... Appello, che in pratica, costituisce da almeno sessant’anni, l’unico vero principio di legittimità sul quale si regge il nostro sistema sociale. Il punto è che l’appello antifascista continua a non essere condiviso e sentito da tutti gli italiani: invece di unire, divide. Di qui la sua debolezza sotto l’aspetto dell’ ”idem sentire”.
Del resto, i “fascismi”, come pure il comunismo, continuano ad essere particolarmente temuti dalla cultura socialista-liberale, incarnata appunto da politici come Amato. Per quale ragione? Perché si tratta di movimenti politici contrari all’economia di mercato, o per essere più netti, a quella capitalistica. In certo senso, per la cultura riformista alla Amato, la "società degli individui" e la società di mercato sono la stessa cosa. Il lavavetri - ecco il ragionamento “riformista” - rappresenterebbe un pericolo perché solo con la sua presenza rischia di innescare un reazione di tipo fascista, che in prospettiva, può condurre alla nascita di una società totalitaria, dove la prima libertà negata, potrebbe essere proprio quella economica.
Concludendo, per Amato, il vero antifascista non può non essere anche contro i lavavetri.