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Tra 50 anni la fame non sarà più del Sud del mondo

di redazionale - 06/09/2007

In un mondo in cui una parte dei suoi abitanti si ammala e muore di obesità e l’altra si ammala e muore di fame, è stato lanciato un allarme cibo a livello mondiale. Tra le principali cause di questo oscuro futuro i cambiamenti climatici e l’aumento di popolazione. Lo hanno detto una gruppo di ricercatori delle Nazioni Unite riuniti in un Forum in Islanda.

Il ritmo di aumento della popolazione del pianeta è enorme. Tra il 1980 e il 2000 è aumentata da 4,4 miliardi di individui a 6,1. Per il 2050 si prevede il raggiungimento 9 miliardi di persone. Secondo gli studiosi per tenere il passo di questo andamento l’aumento di produzione di cibo, nei prossimi 50 anni, dovrebbe essere pari a quello che si è verificato negli ultimi 10mila anni!

Inoltre, in molti paesi i cambiamenti climatici hanno amplificato gli effetti devastanti dell’utilizzo di pratiche agricole inappropriate e della deforestazione. Il risultato è che i terreni fertili cominciano a scarseggiare. Gran parte dell’erosione del suolo è causata dall’acqua, seguono le inondazioni, l’irrigazione e i venti. Ma anche le pratiche agricole, come l’aratura, danneggiano il terreno. “In alcuni casi – ha detto Andrei Campbell, consulente ambientale australiano – lo sfruttamento del suolo deriva da bisogni dell’uomo in altri casi risponde a logiche di mercato. Così avviene che esistono terre che, ad esempio, sono state messe al pascolo senza che ce ne fosse alcun reale bisogno”.

Dito puntato anche contro i biocarburanti. La minaccia per la fine del cibo nel mondo è aumentata dalla grande necessità mondiale di energia che ha portato molti paesi a scegliere di piantare piante per produrre biocarburanti invece di coltivazioni destinate all’alimentazione. L’articolo di The Guardian porta come esempio l’India dove il mercato automobilistico sta molto puntando su queste auto a carburanti eco. Ricordiamo invece il Brasile, dove il presidente Lula qualche giorno fa ha proclamato a gran voce l’invincibilità competitiva nel settore dei biocarburanti del paese.

Fonte:
Ecoblog
The Guardian