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Il libro della settimana: Andrea Marcigliano, Ritorno ad Atene

di Carlo Gambescia - 07/09/2007

Il libro della settimana: Andrea Marcigliano, Ritorno ad Atene, Edizioni Settimo Sigillo 2007, pp. 112, euro 13,00

La collana “Anamerica” delle Edizioni Settimo Sigillo, (una collana di studio e critica dell’americanismo, finora sono usciti 5 volumi), non poteva non ospitare un lavoro sui communitarians americani. Del resto il volume di Andrea Marcigliano (Ritorno ad Atene. I communitarians americani tra filosofia e ideologia, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2007, pp. 112, euro 13,00 – http://www.libreriaeuropa.it/ ) colma una lacuna.
Infatti, tra la fine degli anni Ottanta e la seconda metà degli Novanta del secolo scorso, sulla scia del clamore editoriale americano, uscirono traduzioni in lingua italiana dei principali testi in argomento, seguite da raccolte più o meno tendenziose (escludendo l’eccellente antologia, a cura di Amitai Etzioni, I nuovi comunitari, Arianna Editrice 1998 - http://www.ariannaeditrice.it/ ). Ma non seguì nessun tentativo di seria interpretazione e contestualizzazione del fenomeno. Come sempre, però, lo studio in argomento, più interessante, venne d’oltralpe, ad opera del geniale Alain de Benoist (I comunitaristi americani , “Trasgressioni”, n. 19, 1994, pp. 3-29 - http://www.diorama.%20it/ ).
Di qui la giusta necessità, a distanza di più di dieci anni, di colmare un vuoto ma anche di fare il punto. Proprio nel momento in cui i communitarians sembrano “passati di moda”, i clamori cessati, e il fulcro della discussione spostatosi dall’idea di comunità a quella di impero, americano s’intende: o se si preferisce dalla filosofia politica alla geopolitica. In questo senso, il testo di Marcigliano, bravissimo studioso di questioni americane, ha valore, oltre che interpretativo, di bilancio consuntivo su un movimento di idee, che tutto sommato, non è mai giunto a influire sulla politica americana. Senza del resto essersi mai posto, direttamente, tale obiettivo, come scoprirà il lettore.
Due, tra i tanti, gli spunti principali.
In primo luogo, Marcigliano chiarisce, una volte per tutte, il carattere americano del fenomeno communitarian. E soprattutto la sua natura sociologica, oltre che filosofica e ideologica. Il comunitarismo americano, in particolare quello di Taylor (che tra l’altro è canadese), Walzer Etzioni, Sandel, Bellah, Putnam (particolarmente brillante l’analisi che Marcigliano fa di quest’ultimo), va contestualizzato all’interno del liberalismo statunitense. Perciò il comunitarismo di questi autori è sostanzialmente estraneo a qualsiasi influsso di tipo organicistico e statalistico, se non totalitario, di derivazione europea (da Tönnies a Hegel, tanto per fare due nomi rappresentativi, per non parlare di Heidegger…). E questo spiega, perché alcuni di loro abbiano scelto di definirsi neocomunitari. Per il communitarian, “nuovo” e “americano”, viene sempre prima l’individuo del gruppo sociale, economico, culturale e politico. E in ogni caso, il rapporto tra individuo e gruppo - ecco la valenza sociologica - è sempre di tipo funzionale-relazionale: la comunità non è una struttura olistica a sé stante, ma un sistema di relazioni individuali, che si basa su valori, consapevolmente accettati (di qui la maggiore importanza che viene comunque dalla razionalità della scelta, rispetto a qualsiasi richiamo, diciamo così, “sangue e suolo”). Una relazionalità, attenzione, che risponde sempre alle esigenze funzionali di una moderna società capitalistica. In questo quadro, Alasdair MacIntyre (il quale però è di origine scozzese), è il più intellettualmente europeo di tutti. Nel senso, che oltre a richiamarsi più nettamente ad Aristotele e Tommaso D’Aquino (ma non nel senso neotomistico della scuola filosofica italiana, come chiarisce Marcigliano), punta su un’idea forte di virtù, da porre alla base di ogni vero agire comunitario. E non sulla comunità come supplemento di dolcezza ai severi meccanismi che regolano la società capitalistica. Una prassi solidaristica, che tuttavia MacIntyre stesso, finisce per reputare, soprattutto oggi, irrealizzabile, se non in gruppi ristrettissimi…
In secondo luogo, il “Ritorno ad Atene” del titolo, indica quanto il mito dominante dell’immaginario neocomunitarista sia quello di una Repubblica Stellata democratica e dedita al pacifico commercio, aperta alla partecipazione politica e alla vita comunitaria. Un mito che si ispira a un’Atene storica, mai esistita, se non nella fervida immaginazione communitarian. Un sogno al quale oggi viene invece opposta l’idea - e sarà la storia a stabilire se più realistica dell’altra - di una Repubblica, militarmente forte e solida, tanto da superare la potenza imperiale romana. Si tratta di un’idea molto apprezzata, ad esempio, da intellettuali neoconservatori, come Robert Kagan. Il che dovrebbe far riflettere su quanta distanza vi sia, in termini di cultura politica, tra i neocomunitaristi e quei circoli intellettuali,gravitanti intorno al presidente George W. Bush. Benché alcuni antichisti ritengano, e non del tutto a torto, che anche Atene fosse democratica e imperialista al tempo stesso.
In conclusione, la credenza in un’ Atene immaginaria e la contrarietà a ogni forma di organicismo “puro”, non implicano che le critiche dei neocomunitaristi a un liberalismo, oggi sospeso tra welfare state, mercato più o meno addomesticato, e stato minimo o nullo, non colgano nel segno, e spesso in modo originale. Il vero punto della questione, per chi teme derive individualistiche, oggi come venti anni fa quando i communitarians erano sulla cresta dell’onda, è quello di non chiedere troppo a un pensiero che ha più punti in comune, pur avversandolo, con il liberalismo di un Rawls, che con il comunitarismo della tradizione europea. Ciò, però, non significa che non sia importante inquadrarlo seriamente, anche in termini consuntivi. E così capire finalmente quel che oggi vi sia di vivo nel pensiero communitarian.
Ma anche nella stessa società americana...