Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Radical chic. Il fascino irresistibile dei rivoluzionari da salotto

Radical chic. Il fascino irresistibile dei rivoluzionari da salotto

di Marco Managò - 07/09/2007



Tom Wolfe, in un celebre scritto del 1970, riproposto da Alberto Castelvecchi editore in una recente pubblicazione, ironizza efficacemente sulle feste mondane degli anni ’60 negli Usa, ove si concentrava la protesta popolare, delle classi più disagiate. Attraverso uno stile particolare, con un linguaggio molto diretto e spesso colorito, senza preamboli o premesse e, a volte, con un arbitrio di conoscenza altrui data per assodata, l’autore coglie la contingente predisposizione delle ricche famiglie del jet-set ad accogliere i neri, gli hippy e gli altri gruppi sul piede di guerra delle rivendicazioni sociali. Una moda quasi, un brivido da far scorrere sulla propria pelle di miracolati dalla fortuna e dal censo, un’emozione da offrire ai propri invitati come una sorta di novità, di anticonformistica sortita dalla tediosa banalità quotidiana.
Gli invitati, dal canto loro, profittavano a dovere dell’opportunità concessa, del poter avanzare le pretese e raccogliere fondi per la causa. Confusi a dovere tra i ricconi dei party, vestiti a modo, come afferma Wolfe a proposito delle attiviste <<le>>

La preoccupazione principale degli invitanti, come nella celebre “riunione” (così preferivano definirla) organizzata dai coniugi Lenny e Felicia Bernstein per incontrare le Black Panthers, era quella di reclutare domestici bianchi. Sarebbe stato, infatti, imbarazzante invitare una tale organizzazione di tutela delle problematiche della gente di colore e poi presentare loro una servitù ben vestita ma dalla cute scura. Molte famiglie benestanti, in prossimità dei loro party erano preoccupati dal trovare domestici ad hoc (bianchi) per la sera stessa, quando, come sottolinea l’autore, era forse più logico rinunciarci del tutto. Forse sarebbe stato troppo, chiedere una rinuncia a un ceto sociale mentalmente dipendente da tale comodità. Avere un domestico, e spesso anche il sostituto, era lo spartiacque tra la vera ricchezza e quella ricercata con affanno dai borghesi emergenti e desiderosi di visibilità, a forza e con sacrificio economico gettatisi nel jet-set.
E così scorre la protesta, in casa Bernstein, tra i rivoluzionari dediti a esporre le proprie cause, immersi dallo sfarzo circostante, dai vestiti alla moda, dalle ridicole ricercatezze alimentari, tutto a confermare ancor di più il profondo significato del titolo e del sottotitolo del presente volume.

Le accuse delle Pantere nere sono ben chiare e si riferiscono a episodi di repressione e di violenza senza freno, operati da un sistema diretto dai bianchi, con il monopolio delle attività di polizia e di quelle giudiziarie. Le Pantere, inoltre, tendono a chiarificare le origini del conflitto, a presentarlo per quello che è: uno scontro di classe, anziché un’avversione razzista, come i bianchi vogliono far credere.
Nel testo è riportato per due volte il termine “fascismo”, inteso dai leader neri come frutto e causa dell’oppressione; strano, in quanto tali problematiche si verificano proprio nel paese più democratico, quello che ha vinto i totalitarismi...

Le donazioni elargite dai presenti, anche con promesse di futuri oboli, sono destinate a conferire ampio spettro al movimento nero, a farlo uscire dall’alone di criminalità nel quale è stato gettato, ad andare oltre le uniche offerte ricevute, quelle dei negozianti di cuore, utili solo in parte ad assicurare l’alimentazione dei piccoli scolari neri.
Negli Usa, complici gli spazi a disposizione, i capitali e le nuove frontiere della tecnologia, diverse specie di arrampicatori sociali hanno avuto la meglio in una sorta di ruota delle opportunità e delle affermazioni; in tale scenario, molteplici sono state le forme di visibilità sociale, alimentate spesso dai media in forte sviluppo. Una di queste forme di visibilità, o per essere più espliciti, di pubblicità, è stata, dagli anni ‘60, l’aiuto ai poveri, la beneficenza, l’impegno sociale “a favore di”. Matrone e imprenditori sviluppavano nuove forme di solidarietà sociale, dalle beneficenze ai poveri all’improvviso rispetto per gli animali da pelliccia, solo pochi mesi prima strumento di ostentazione. Wolfe, con ironia, le definisce come “stramaledette oscillazioni di gusto”.
Il gusto dell’esotico e del primitivo era alla base della curiosità delle grandi donne borghesi pronte a organizzare party di solidarietà. Proprio a proposito di Black Panthers, di pellerossa e di raccoglitori d’uva, l’autore, individua, però, un’altra interessante particolarità che li rendeva appetibili, oltre al gusto dell’esotico. E scrive <<Quantomeno>>.

In un party precedente a quello dei Bernstein, un rappresentante aveva dichiarato quanto fosse rivoluzionario il programma, tale da rovesciare il sistema. Le contraddizioni tipiche delle matrone radical chic, lontane, nella realtà, anni luce dal capire le problematiche della povera gente, sono racchiuse efficacemente in queste parole di Wolfe attribuite a una delle ricche donne presenti <<ma>>

In casa Bernstein le Black Panthers ribadivano l’esigenza rivoluzionaria di sovvertire le istituzioni, coscienti dell’impossibilità di mutare la situazione dall’interno, in dubbio anche se sostenere l’eventuale politico sensibile alle rimostranze. Anche il rapporto con la comunità nera integrata non era così semplice né fondato, necessariamente, sulla solidarietà reciproca; segno ulteriore di problematiche non razziali ma di lotta di classe.
Una frecciata polemica è rivolta, dai rimostranti, anche alla chiesa degli Usa, da sempre in combutta col potere per acquisire somme nella tratta degli schiavi neri e titubante nell’abbracciare la causa delle Pantere proprio per ritorsioni politiche.

La concentrazione della ricchezza nelle mani di una percentuale esigua della popolazione è la sperequazione più palese e inaccettabile, da qui la protesta e la convinzione della sua legittimità, suffragata anche dalle rivendicazioni della piccola borghesia bianca. L’addebito costante di ogni violenza, come frutto delle minacce delle Pantere nere, è il modo attraverso il quale la comunità bianca distoglie l’attenzione e non si cura di assumere i colored o, in caso di incapacità totale, di assegnargli i mezzi di produzione.

L’ipocrisia regnante non impedisce ai leader neri, pur in una situazione meno disagiata rispetto agli altri, di battersi e trovare le motivazioni giuste, anche se tra i segni del potere e del lusso in casa Bernstein, tra mobili di estremo pregio, cortesie, smancerie e dialettica raffinata tra ricchi e poveri. Un contrasto, questo, esaltato dalla stampa britannica nei giorni successivi.

Molti giornali sottolineavano, con sarcasmo, la mondanità dell’evento; tralasciando qualsiasi eventuale nobile causa, si esprimeva sfiducia per il reale accorarsi dei ricchi intellettuali. Bernstein e consorte hanno replicato duramente ma la loro eco non è stata la stessa.
L’avversione mediatica produceva i suoi effetti, tanto che per i successivi party ci si preoccupava di isolare quella stampa che, gradualmente, contribuiva a sfaldare la moda di quegli strani incontri.

La seconda parte del volume è dedicata all’arte del mau-mauizzare, una sorta di prova di terrore a cui venivano sottoposti i burocrati bianchi al fine di far rilasciare sovvenzioni e legittimazioni. I movimenti di rivendicazione dei neri, abili a impaurire i burocrati, avevano affinato la tecnica e sapevano sfruttare il timore dell’uomo bianco molto più di quanto avrebbero potuto cinesi ed altre etnie nei loro vani tentativi.
Può sembrare molto singolare come pratica, ma si svolgeva proprio così, con i burocrati posti quasi ad attendere i manifestanti e questi, spinti dalle esigenze, pronti a “sollecitare”; spesso non si controllava neanche l’effettiva valenza e affidabilità degli individui che avrebbero beneficiato.

Il mau-mauizzare si estese a tutte le istituzioni possibili e le opportunità di successo spinsero molti a provarci, a improvvisarsi violenti.
Wolfe definisce come “parapalle” colui che rappresenta le istituzioni e, avvolto nei meccanismi della burocrazia, rappresenta il parafulmine e il salvagente per i propri capi nonché la valvola di sfogo per i mau-mauizzatori. Il parapalle, abile invenzione dei burocrati, non perdeva la propria dignità al momento del mau-mauismo bensì da quando aveva deciso di svolgere tale attività lavorativa.

Il terrorizzare, individualmente e non più collettivamente, l’uomo bianco, rappresenta per il nero non soltanto la possibilità concreta di ottenere spazi ma anche quella di una rilevante rivalsa sociale, dopo secoli di rassegnazione e soggezione. Finalmente l’uomo bianco è terrorizzato e non gode più di quella immunità che si trascina da decenni.
Il carattere selvaggio che l’uomo nero incarnava per il bianco si traduceva, tuttavia, in un confronto, una sorta di ludica contrapposizione quasi mai riconducibile a forme di violenza fisica.

Le precarie condizioni di vita nei ghetti avevano prodotto una serie numerosa di organizzazioni pronte a mau-mauizzare; in esse spiccava, spesso, la figura del “magnaccia”, di colui, ossia, dedito ad attività poco lecite e poco lavorative, circondatosi di un aspetto forzatamente da bullo pur di avere il rispetto della comunità nera e del bianco da terrorizzare.
Un qualsiasi tipo che bighellonava agli angoli della strada, attraverso un po’ di mau-mauismo, rischiava di divenire celebre e acquistare prestigio agli occhi degli altri, salvo confermare quel suo impegno tanto sbandierato.
La burocrazia necessaria al funzionamento dei programmi di sostegno alla popolazione di colore era di per sé una fonte di guadagno, forse la principale; un’occasione in cui era labile il confine col finanziamento di organizzazioni illegittime.

Sagace e pungente, Wolfe, in questo libro, ridicolizza le contraddizioni dei rivoluzionari newyorchesi e dei loro ricchi benefattori, al centro di una moda “chic” di inviti a tema. Un libro molto attuale e del tutto attinente anche ai presunti ribelli e rivoluzionari italici da salotto, ben al di sopra della manovalanza giovanile di cui si sono serviti.