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Il Libano canta vittoria, ma non è troppo presto?

di Robert Fisk - 07/09/2007



La vittoria dell'esercito libanese nel campo profughi di Nahr el-Bared – l'uccisione di quasi 100 ribelli stile al-Qa'ida al prezzo della vita di 163 soldati e di 42 civili libanesi – sta venendo salutata nel Paese con "proclami" e "grida" degni del più grande poeta che il Libano abbia avuto, Khalil Gibran.

Sono tre giorni che i giornali dedicano la prima pagina alle foto dei soldati libanesi a cavalcioni dei loro veicoli vetusti made in Usa per il trasporto delle truppe, mentre fanno il segno della vittoria, sparano in aria, e cedono alla tradizionale ricompensa dei guerrieri: riso e acqua di rose.

Shaker Absi, leader di Fatah al-Islam, che aveva giurato di combattere fino alla morte per la "Palestina", giace in un obitorio di Tripoli, identificato dalla moglie e dalla figlia.

Ma Gibran, il cui “Giardino del profeta” venne pubblicato nel 1934, ammoniva che dovremmo "Provare pena per il Paese che... non si compiace se non tra le sue rovine... la cui arte è l'arte di rattoppare e di scimmiottare..." E, dopo 106 giorni di combattimenti, le rovine di Nahr el-Bared sono un mare di muri e catapecchie crollate che assomigliano a Dresda, di trappole esplosive e di bombe inesplose.

Il governo libanese ha promesso di ricostruire tutto. I palestinesi, dicono, sono i fratelli dei libanesi – e quale altro governo arabo sarebbe così generoso dopo la carneficina degli ultimi quattro mesi? Ma tutti si chiedono dove inizierà la prossima battaglia.

Dall'aprile di quest'anno, l'esercito libanese ha perso solo cinque uomini in meno del totale dei 163 britannici morti in Iraq dall'invasione del 2003; si tratta di un impressionante, drammatico, solenne bilancio di vittime, e non farà che sottolineare il ruolo unico dell'esercito nella vita politica di questo Paese dolorosamente spaccato.

Con la maggioranza parlamentare e la sua opposizione per lo più musulmana sciita che ancora non riescono a trovare un accordo su un candidato alla presidenza, il Paese ha di fronte la prospettiva che emergano due governi e due potenziali presidenti – uno dei quali, l'ex generale Michel Aoun, è stato il messianico "Primo Ministro" del Libano l'ultima volta che il Paese ha avuto due amministrazioni, durante la guerra civile.
 
Il Generale Michel Sulieman, il capo dell'esercito libanese, ne viene fuori con una reputazione assai rafforzata; ha amici a Damasco, amici a Washington, amici persino in Libano, e potrebbe essere l'ultimo "salvatore" per proteggere un piccolo stato creato così a cuor leggero dalle autorità del mandato francese dopo la Prima guerra mondiale.

Ma Ghassan Tueni, il decano dei direttori di giornali libanesi, il cui figlio è stato assassinato lo scorso anno – dai siriani, continuano a essere convinti i suoi sostenitori – ha ammonito in un editoriale che è una pietra miliare due settimane fa che il Libano non dovrebbe essere governato dai generali. Ha ragione, naturalmente; ma i Paesi del Medio Oriente hanno l'abitudine di rivolgersi ai comandanti dei loro eserciti per la salvezza. I regimi militari inoltre tendono a essere appoggiati da Washington, che è stata fra i primi a offrire armi – vecchie e per la maggior parte obsolete – all'esercito libanese nella sua ultima battaglia.

Il Primo Ministro libanese, Fuad Siniora, ha lodato il suo esercito e ha sostenuto che la sua vittoria a Nahr el-Bared è stata "la più grande vittoria del Paese contro il terrorismo".

Molti libanesi, tuttavia, ritengono che il più recente atto di terrorismo siano stati i 34 giorni di bombardamenti del Libano da parte di Israele lo scorso anno, che sono costati la vita di oltre 1.000 civili, e sono seguiti alla cattura di due soldati israeliani sul confine da parte di Hizbollah, e all'uccisione successiva di altri sette il 12 luglio. E lo stesso Paese che allora ha fornito agli israeliani le armi con cui distruggere tanta parte del Libano – gli Stati Uniti – ha fornito armi perché l’esercito libanese attaccasse Fatah al-Islam.

I sopravvissuti di questo gruppo una settimana fa avevano ammonito che alcuni dei loro erano fuggiti had escaped da Nahr el-Bared e che c’erano "giorni neri" in vista per il governo Siniora. Per il momento, la Siria e i suoi amici in Libano che vogliono distruggere il governo Siniora hanno profuso elogi sull'esercito libanese. Ma vedremo nel prossimo futuro se questi "giorni neri" risulteranno reali.

The Independent, 6 settembre 2007

(Traduzione di Ornella Sangiovanni)