Si sta recuperando il dialetto. E’ un processo lento, e non riguarda tutti. Molti, vittime contemporaneamente della scuola fotocopie&progetti, e delle centoparole televisive, del dialetto hanno solo caricature di accenti, e l’italiano non l’hanno mai imparato. Molti altri però (racconta un’indagine Istat del 2006), lo stanno riutilizzando. Nel modo più sano, e cioè non come forma esclusiva, ma in forma mista, alternato all’italiano. Per dire cose, o esprimere concetti, che l’italiano non offre, o perlomeno non con la stessa pregnanza.
Così l’uso misto, di italiano e dialetto insieme, è passato dal 24,9% del 1988 al 32,5% del 2006. Un 7% in più che conferma che la tendenza non va verso la sparizione dei dialetti, ma verso il loro mantenimento “specializzato”, in funzione supplente della lingua ufficiale.
Perché questa tendenza è importante? Perché, come ci ricorda perfettamente don Giussani ne Il rischio educativo, l’educazione, per compiersi, richiede una “fedeltà alla Tradizione”, il supporto di usi, costumi, credenze e sensibilità costituite nel tempo, che rappresentano per certi versi le radici che mantengono la linfa della vicenda educativa.
Questa fedeltà alla tradizione, per vivere ha bisogno, anche, di linguaggi. Ed in un Paese ad unificazione recente e burocratica, come l’Italia, e ricco di linguaggi locali antichi e ricchi, parlati e spesso anche scritti (i dialetti appunto), è difficile (e culturalmente distruttivo) trasmettere la tradizione di un popolo, e la sua forza, buttandone via il modo espressivo più antico e più legato alla vita quotidiana, e quindi ai suoi rimandi trascendenti: il dialetto.
GesùMaria è un’interiezione-invocazione, declinata in forme ortografiche e fonetiche diverse in tutti i dialetti, che rimanda ad un campo di riferimento preciso, quello della tradizione cattolica, identificato come protettivo e salvifico. Il suo abbandono crea un vuoto, che la lingua ufficiale riempie con l’offerta di parole in genere del gergo sessuale, prive di significato evocativo, e che finiscono con l’essere ossessivamente ripetute (e sempre più di frequente anche scritte in libri e giornali), nel tentativo impossibile di sostituire quella spinta affettiva che la rinuncia al linguaggio della tradizione ha negato.
Da questo punto di vista il ritorno del dialetto, in modo non meccanicistico ma come risposta ad esigenze espressive legate al recupero della tradizione, è il volto profano (ma non solo) del processo che il Motu proprio di Benedetto XVI ha realizzato con l’autorizzazione alla Messa in latino. Anche qui l’enorme ricchezza contenuta e offerta dalla Tradizione, ed in qualche modo accantonata imponendo come unica lingua della celebrazione eucaristica quella di oggi, viene recuperata e messa a disposizione del domani. Che non nasce da un oggi isolato nel tempo, ma da un processo ben più antico, e tuttora presente (come ben sa, oltre alla fisica moderna, anche la psicologia del profondo).
Non a caso del resto, in tutto il mondo i popoli più vitali ritrovano le loro tradizioni, per poter partecipare alla globalizzazione in modo vitale, senza cancellare la propria storia ed identità.

da “Tempi”, 6 settembre 2007, www.tempi.it