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L'11 settembre, "Zero" e la verità scomparsa

di Andrea Marcon - 10/09/2007

     

 

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Nei giorni scorsi è apparso in libreria “Zero” (autori, tra gli altri, Giulietto Chiesa, Franco Cardini e Gore Vidal), libro che mette in discussione la tesi ufficiale dell’11 settembre. Non è mia intenzione entrare nel merito della questione e neppure commentare l’atteggiamento del Corriere della Sera, che ha assimilato il metodo degli autori del libro a quello dei negazionisti dell’Olocausto, rivelando ancora una volta la pochezza e la faziosità di quello che dovrebbe essere il primo quotidiano italiano.
La mia vuole essere invece una riflessione sulle reazioni a queste teorie cosiddette complottiste. Stiamo parlando, per chi non lo sapesse, di accuse non solo di inefficienza di fronte all’attentato, ma anche di volontarie omissioni che lo avrebbero agevolato, se non di complicità dirette nella sua organizzazione. In ballo ci sono la Cia, il Mossad, alti funzionati statali, oscuri poteri finanziari e, ovviamente, il Presidente degli Stati Uniti d’America. Insomma, per gravità delle accuse e rilevanza dei presunti colpevoli, si tratta - o meglio, dovrebbe trattarsi - di autentica dinamite. Anche l’autorevolezza di coloro che si sono occupati dell’argomento e pure l’eco mediatica che hanno ottenuto (si ricordi tra tutti il film Farenheit 9/11 di Michael Moore) è di primissimo piano. Eppure non succede nulla. In altri tempi sarebbe bastato molto meno per far scoppiare una rivoluzione; oggi invece Bush & C. non solo non si dimettono ma si rifiutano anche di prendere in considerazione accuse che pure sono circostanziate e assolutamente attendibili. Mediaticamente il tema non è censurato e neppure trascurato (Mentana vi dedicò una puntata di Matrix), ma scorre lo stesso via come se fosse acqua fresca. Qualcuno arriverà a dire che questa è la grandezza della moderna democrazia, la dimostrazione che esiste libertà di pensiero e quindi di informazione anche su temi così scottanti e potenzialmente esplosivi.
A me invece tutto ciò fa addirittura venire la nostalgia per i tempi della censura. Sarei tentato dal preferire un Bush che assolda dei sicari per far eliminare i Chiesa e i Moore impedendogli di scrivere, parlare e filmare. Meglio un nemico chiaro, preciso e riconosciuto a questa melassa vischiosa e sfuggente. Oggi non c’è bisogno di far tacere nessuno, ogni voce – anche quella  più fortemente critica e potenzialmente eversiva – è resa innocua nel momento stesso in cui entra nel calderone mediatico. Tutto diventa opinabile, discutibile, per ogni versione dei fatti ne esiste una contraria. Si permette tutto per non concedere niente. Qualcuno sostiene sia un democratico metodo dialettico volto a far emergere la verità. I fatti dimostrano che la verità, in questo modo, non esiste più. E’ molto peggio che oscurata, è privata della sua essenza: nel momento in cui non ne esiste più una sola ma molte e tutte sullo stesso piano, interscambiabili come le marche dei pannolini, non è più verità.
A noi non resta che metterci in coda per assistere allo spettacolo e schierarci a favore di una tesi o di un’altra come se fosse un gioco. Massa di pecore lobotomizzate alle quali ormai è possibile far digerire tutto e il contrario di tutto: ciò che dovrebbe spingerci all’immediata presa della Bastiglia, è diventato al massimo materia di talk show.