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Le fabbriche dell'orrore, una storia già raccontata

di Federico Rampini - 10/09/2007



I recenti allarmi sull´industria cinese accusata di sfornare prodotti tossici o contraffatti hanno un precedente illustre: le inchieste di Dickens e Sinclair sui misfatti dell´industria Usa tra Ottocento e primo Novecento. Ora un libro dello storico americano Stephen Mihm stabilisce il parallelo tra due forme di capitalismo adolescente, allo stesso tempo uguali e molto diverse
"La Cina - dice Mihm - siamo noi da giovani Se ce ne rendiamo conto, capiamo che il capitalismo mordi-e-fuggi non è un fenomeno cinese né un complotto per avvelenarci ma una fase dello sviluppo"

«Un fumo immenso dalle ciminiere oscura il cielo e sporca la terra… avvicinandosi alla città l´atmosfera cambia, diventa più cupa, l´erba dei campi sempre meno verde, il paesaggio è spoglio e squallido. E insieme col fumo sempre più spesso si comincia a sentire un odore strano, nauseabondo». Nella fabbrica «ci sono bambini piccoli, appena sopra i dieci anni, che arrivano a stento all´altezza della catena di montaggio. I genitori hanno mentito sulla loro età, per trovargli un posto pagato cento dollari all´anno». Nel reparto dove gli operai preparano il manzo in scatola «il pavimento è lurido, ma un vecchio deve raccogliere con la scopa tutti gli scarti. I rifiuti finiscono nel camion mescolati al resto della carne».
Sembrano descrizioni da un reportage sulle "fabbriche dell´orrore" che pullulano nella Cina di oggi: lo smog denso che avvolge le metropoli industriali e rende l´aria irrespirabile, lo sfruttamento del lavoro minorile, le condizioni igieniche disastrose. Un incubo che tormenta i consumatori occidentali, dopo la catena di scandali sui prodotti made in China contaminati e nocivi per la salute, scoperti nei nostri supermercati. Ma quelle citazioni iniziali non dipingono il gigante asiatico che ha invaso i nostri mercati nel Ventunesimo secolo. Sono brani tratti da un romanzo-denuncia che ha più di cent´anni: La Giungla dello scrittore americano Upton Sinclair, pubblicato nel 1906. Il luogo è Chicago, allora una città di frontiera lanciata in uno sviluppo economico tumultuoso. I protagonisti che si aggirano in quel paesaggio industriale sinistro sono poveri immigranti lituani, prima attratti dal "sogno americano", e ben presto stritolati negli ingranaggi di un capitalismo senza pietà.
Mezzo secolo prima di Sinclair, un altro scrittore celebre ha descritto la nascente potenza americana come una nazione senza regole. Il romanziere inglese Charles Dickens fa il suo primo viaggio negli Stati Uniti nel 1842. Nel diario dove raccoglie le sue impressioni annota una caratteristica del capitalismo americano: «È il dominio dei furbi che ingannano la fiducia degli altri; i truffatori e i disonesti la fanno franca e sono ai vertici della società». Lo colpisce anche la «diffusione di malattie che potrebbero essere prevenute con semplici precauzioni igieniche… come le fognature». Nel centro di New York, sulla Broadway, vede passeggiare indisturbati i maiali randagi «che sono i veri spazzini della città». Soprattutto Dickens è sconvolto dal dilagare della contraffazione. Ne è vittima lui per primo. Tutti i suoi romanzi di successo, come Oliver Twist e Il circolo Pickwick, vengono copiati e diffusi sul mercato locale senza pagargli i diritti d´autore. Le sue proteste sono inutili: lo stesso diario di viaggio in cui denuncia l´industria del falso (America) esce in versione-pirata appena quattro giorni dopo la pubblicazione in Inghilterra. A New York se ne vendono centomila copie illegali in un mese.
Oggi il pubblico occidentale è sgomento di fronte alle rivelazioni che arrivano dalla Cina: la salute del consumatore, la sicurezza dei prodotti, il rispetto del copyright, ogni valore viene calpestato in nome del profitto. Reagire è legittimo ma stupirsi è ingenuo. Solo un´amnesia storica può farci credere che le "fabbriche dell´orrore" siano una novità. A rinfrescarci la memoria ci prova uno storico americano, Stephen Mihm, docente all´università della Georgia. In questi giorni la Harvard University Press pubblica il suo saggio A Nation of Counterfeiters. La patria della contraffazione a cui allude il titolo non è la Cina, è l´America. Quello che sta accadendo oggi dall´altra parte del mondo non è un fenomeno inedito, sostiene il professor Mihm. «Un secolo e mezzo fa un´altra nazione in rapido sviluppo aveva la reputazione di sacrificare le regole alla rincorsa del profitto, e quella nazione emergente era l´America».
Dalle edizioni-pirata dei dvd di Hollywood e dei libri di Harry Potter fino agli scandali recenti dei cibi adulterati e dei medicinali tossici, osservare la Cina del Ventunesimo secolo secondo lo storico è come vedere nello specchietto retrovisore l´economia americana dell´Ottocento. Lo stesso dinamismo spregiudicato e spesso disonesto. «La Cina - dichiara Mihm - per certi aspetti è la versione giovane di noi stessi. Se ce ne rendiamo conto, allora capiamo che il capitalismo mordi-e-fuggi non è un tratto del carattere nazionale cinese, né tantomeno un complotto per avvelenare noi, ma è una fase dello sviluppo. Lo chiamerei il capitalismo-adolescente: scoppia di energia, è esuberante, dinamico. E come tutti gli adolescenti ha anche comportamenti folli, irresponsabili, pericolosi».
Riscoprendo cos´era davvero l´America dell´Ottocento impressionano le analogie con la Cina dei nostri giorni. Non è esatto sostenere che gli Stati Uniti allora fossero la terra del liberismo sfrenato, del laissez-faire. Sulla carta c´erano tante regole (così come abbonda di regole la Repubblica popolare, che ha ereditato l´armamentario del dirigismo comunista). Ma erano state scritte per una realtà ormai superata, non erano adeguate alla impetuosa modernizzazione che stava avvenendo. Le istituzioni che avrebbero dovuto disciplinare il mercato erano inefficienti, o più deboli degli interessi privati. La corruzione regnava. In un passaggio illuminante della Giungla Sinclair descrive con perfidia l´ispettore sanitario: pagato per sorvegliare lo stabilimento dove i maiali vengono macellati e trasformati in prosciutti, spesso costui finge di non vedere le nefandezze che avvengono in fabbrica. «Questo funzionario statale non aveva l´aria di uno che si ammazza di lavoro; non sembrava molto preoccupato che qualche maiale potesse sfuggire ai suoi controlli. Bastava rivolgergli la parola e lui era felice di spiegarti il pericolo mortale per chi mangia carne di maiali malati di tubercolosi; e mentre lui ti parlava dozzine di carcasse gli passavano dietro aggirando l´ispezione… Nel reparto per la produzione delle salsicce uomini e donne lavoravano in mezzo a un fetore vomitevole, i visitatori fuggivano per non soffocare». Sinclair non lavorava di fantasia. Prima di scrivere quel romanzo si era documentato accuratamente, con mesi di inchieste nelle tre maggiori aziende alimentari di Chicago, i famigerati "meatpackers" (produttori di carne in scatola) Armour, Swift e Morris. Come racconta in uno dei brani più disgustosi, nelle salsicce e nei prosciutti finivano non solo le carni scadenti o infette, ma perfino arti umani o interi cadaveri delle vittime di incidenti sul lavoro.
Nell´industria americana i vizi abominevoli non erano limitati alla produzione di carne in scatola che Sinclair prese di mira nel suo romanzo-verità. Mihm ricorda che il primo studio sistematico sulla qualità dei prodotti alimentari, realizzato a Boston nel 1859, rivelò una situazione terrificante: caramelle all´arsenico, birra con stricnina, sottaceti imbevuti di solfato di rame, farina e zucchero "allungati" con gesso e polvere di marmo, latte contaminato da mucche al pascolo nelle discariche di rifiuti. Proprio come accade oggi ai cinesi, le principali vittime erano i consumatori americani, ma gli scandali scoppiarono all´estero. Nel 1879 le autorità tedesche accusarono l´America di esportare maiali malati di colera e salsicce piene di vermi. Nel 1880 fu l´Inghilterra a bloccare partite di margarina importata dagli Stati Uniti, adulterata con interiora di bestiame putrefatte. I paesi europei più evoluti nella tutela della salute pubblica cominciarono a boicottare il "made in Usa" e a stendere un cordone sanitario attorno ai prodotti alimentari sospetti.
«Nella Cina di oggi - sostiene Mihm - la facilità con cui proliferano l´industria della pirateria e gli imprenditori senza scrupoli si spiega con gli stessi mali che perseguitavano gli Stati Uniti centocinquant´anni fa: una legislazione inadeguata, superata dalla rapida evoluzione dell´economia; la scarsa motivazione dello Stato nel combattere le frodi; e una percezione sociale inadeguata della distanza tra l´arricchimento onesto e quello disonesto». Resta una differenza: gli Stati Uniti erano già allora una democrazia, la Repubblica popolare fondata dalla rivoluzione comunista del 1949 è un regime autoritario. Che non sia una distinzione da poco lo dimostra la vicenda di Upton Sinclair. La Giungla ebbe un immenso successo popolare prima come feuilleton a puntate su una rivista socialista, poi come libro vendette centinaia di migliaia di copie. Secondo la studiosa di storia letteraria Cynthia Brantley Johnson «nessun romanzo americano del Novecento provocò una tale indignazione, e nell´ultimo secolo solo il romanzo anti-schiavista La capanna dello zio Tom ha avuto un´influenza paragonabile a La Giungla». Non sembrano affermazioni esagerate. Tra gli ammiratori di Upton Sinclair c´era il presidente Theodore Roosevelt. All´estero la sua fama era tale che Gandhi gli scrisse lettere dal carcere. Il successo di quel libro incoraggiò una nuova tendenza nella stampa americana, il giornalismo d´inchiesta, i cosiddetti muckraker (letteralmente "rastrellatori di letame"), i reporter specializzati nel denunciare la corruzione. Nel 1906 l´impatto della Giungla contribuì a far passare al Congresso di Washington il Pure Food and Drug Act, la prima legislazione generale contro l´adulterazione dei cibi. Nel 1908 il Congresso metteva al bando il lavoro minorile.
Esiste un autore cinese contemporaneo che si può considerare l´erede di Upton Sinclair. È lo scrittore Zhou Qing, che in un romanzo del 2004 ha rivelato le vergogne dell´industria alimentare del suo paese. Ha descritto operai che versano insetticidi nei barattoli di conserve alimentari per uccidere gli scarafaggi; supermercati che aggiungono la candeggina sulle torte di panna perché siano più bianche; fabbriche di bibite che riciclano le bottiglie scadute cambiando semplicemente l´etichetta con la data di produzione. Ma la sua storia è stata letta da pochi intimi. La censura del regime controlla i mass media e vieta di diffondere "allarmismo" tra la popolazione. L´ignoranza dei consumatori resta abissale.
In mancanza di libertà politica e di una società civile agguerrita in Cina, la pressione internazionale può essere utile. Lo storico Mihm ricorda che un secolo fa l´embargo decretato da varie nazioni europee sulla carne americana ebbe l´effetto di un elettroshock. Privata di sbocchi sui mercati esteri, l´industria americana dovette correre ai ripari. I controlli sui metodi di produzione e sulla qualità si fecero più severi. «Avvenne un cambiamento fondamentale: gli imprenditori più avanzati capirono che conquistarsi la fiducia del mercato era la migliore garanzia per fare profitti».
Dickens ebbe solo una rivincita postuma. La prima legge internazionale sul diritto d´autore fu adottata dagli Stati Uniti nel 1891, vent´anni dopo la sua morte. Non per effetto delle sue denunce ma perché nel frattempo era fiorita la letteratura americana e con essa un business editoriale che aveva interessi da tutelare.
Sinclair da parte sua rimase deluso dall´impatto della Giungla. Lui aveva sperato che quel libro servisse la causa del movimento operaio. Sognava una rivoluzione di sinistra contro il capitalismo americano. L´opinione pubblica invece si mobilitò contro le "fabbriche dell´orrore" soprattutto perché gli alimenti prodotti in quelle condizioni erano un attentato alla salute. Colui che sperava di essere un profeta del socialismo fu involontariamente il precursore del consumerismo. Sul finire della sua vita Sinclair commentò: «Avevo puntato al cuore dei miei lettori, invece li ho colpiti allo stomaco».