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Note a margine del pensiero di Slavoj Zizek

di Mauro Tozzato - 11/09/2007

 

 

Ho trovato particolarmente interessante l’articolo di Slavoj Zizek che è stato inserito nel blog. Mi sono parse molto interessanti anche le osservazioni di Gianni Petrosillo in proposito. Vorrei provare ad aggiungere qualcosa. In riferimento ad un libro di Thomas Frank, Zizek scrive <<che la rivolta populista conservatrice>> negli USA presenta come <<paradosso fondamentale del suo edificio ideologico […]il gap, la mancanza di qualunque collegamento cognitivo, tra gli interessi economici e quelli “morali”>>. Afferma Zizek che <<l’opposizione di classe su base economica>>, prevalentemente operai e contadini poveri, è trasposta nella contrapposizione tra lavoratori cristiani e “veri americani”  e liberali decadenti che <<guidano automobili straniere , difendono l’aborto e l’omosessualità, si fanno beffe del sacrificio patriottico e di uno stile di vita semplice e “provinciale”>>. Il nemico è quindi il liberal che <<attraverso gli interventi federali (dagli scuola-bus fino a ordinare che vengano insegnate l’evoluzionismo darwiniano e le pratiche sessuali perverse), vuole minare uno stile di vita autenticamente americano.>> Questa ideologia conservatrice è inoltre antistatalista:<<Agli occhi dei populisti evangelici americani, lo stato è una potenza aliena e, insieme all’ONU, è un agente dell’Anticristo: toglie la libertà al cristiano credente, sollevandolo dalla responsabilità morale dell’autodeterminazione, e così mina la moralità individualistica che fa di ciascuno di noi l’architetto della propria salvazione.>> Quindi la richiesta è quella di meno tasse, meno intervento statale; una scelta di radicale individualismo, come rileva Zizek, che però toglie anche i freni allo strapotere delle “grandi corporations” che pure vengono concepite dalla<<stragrande maggioranza delle persone>> come il <<grande potere anonimo che, senza alcun controllo pubblico democratico, regola la loro vita>>.  La “rivolta” conservatrice sarebbe dunque tollerata dalle classi dominanti proprio perchè le classi inferiori con il loro atteggiamento si darebbero, letteralmente, “la zappa sui piedi” dal punto di vista dei loro interessi economici: <<meno tasse e deregulation significa più libertà per le grandi società che stanno tagliando fuori dal mercato gli agricoltori impoveriti; meno interventi statali significa meno aiuti federali  ai piccoli agricoltori;ecc.>>. Ma ecco alcune frasi che problematizzano diversamente il discorso:<<Come combinare questo [l’antistatalismo degli evangelici americani n.d.r.]con l’inaudita esplosione degli apparati statali durante l’amministrazione Bush?  […]
Negli Stati uniti di oggi, i ruoli tradizionali dei democratici e dei repubblicani sono quasi invertiti: i repubblicani spendono soldi statali, generando così un debito pubblico record, costruendo de facto un forte stato federale, e perseguono una politica di interventismo globale, mentre i democratici perseguono una severa politica fiscale che, durante l'amministrazione Clinton, ha abolito il debito pubblico. Anche nella delicata sfera della politica socio-economica, i democratici (lo stesso vale per Blair in Gran Bretagna) di regola attuano l'agenda neoliberista che prevede l'abolizione del welfare state, la riduzione delle tasse, le privatizzazioni, mentre Bush ha proposto una misura radicale che consiste nel legalizzare lo status dei milioni di lavoratori clandestini messicani e ha reso l'assistenza sanitaria molto più accessibile ai pensionati. Il caso estremo è quello dei gruppi survivalisti nell'Ovest degli Usa: anche se il loro messaggio ideologico è quello del razzismo religioso, il loro intero modo di organizzazione (piccoli gruppi illegali che combattono contro l'Fbi e altre agenzie federali) li rende un doppio inquietante delle Pantere Nere degli anni `60.>> La battaglia culturale conservatrice si manifesta attraverso un sistema di riferimenti simbolici che possono risultare in contraddizione con gli interessi economici dei gruppi sociali che la portano avanti. In parte è effettivamente così: i dominanti manifestano la loro egemonia culturale anche nelle insufficienze e contraddizioni che contraddistinguono le ideologie dei dominati; bisogna però distinguere tra le varie categorie di agenti, politici, economici e culturali che si rapportano ai gruppi sociali stratificati dei decisori e non –decisori. L’amministrazione Bush infatti è costretta a farsi carico anche delle problematiche di cui non paiono consapevoli i gruppi sociali che rappresentano la base sociale del suo consenso cosicché la bassa tassazione viene “compensata” con l’aumento della spesa e un indebitamento che serve anche per garantirsi l’appoggio delle masse più povere. I repubblicani, “la destra”, diviene così la parte politica che si fa carico (ovviamente solo in parte) degli interessi economici e sociali delle classi inferiori stabilendo una alleanza che simbolicamente si fonda sull’ideologia conservatrice e reazionaria degli evangelici tradizionalisti americani. L’ideologia di un “blocco sociale” non si esaurisce nell’ambito delle espressioni propriamente culturali ma risulta come articolazione delle attività funzionale degli “agenti” (nelle varie sfere sociali) di riferimento di questo blocco stesso.

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In una conferenza del maggio 2006 Umberto Galimberti riassume così la sua concezione del ruolo della tecnica nella società attuale:<<Siamo tutti persuasi di abitare l’età della tecnica, riteniamo ancora che la tecnica sia uno strumento nelle mani dell’uomo: non è più così. Nel senso che ormai la tecnica è diventata il nostro ambiente, il nostro luogo di abitazione. Soprattutto è diventata il soggetto della storia. Il rapporto uomo / tecnica si è capovolto, nel senso che non è più l’uomo il soggetto della storia, ma lo è diventato la tecnica. L’uomo è diventato il funzionario degli apparati tecnici a cui appartiene. Questa è la tesi di fondo del mio discorso.>> Queste tesi, in forma un po’ diversa, sono condivise da altri pensatori. Emanuele Severino, ad esempio, ritiene che anche il “capitalismo” sia ormai subordinato all’apparato scientifico-tecnico e alle sue   finalità. Anche pensatori profondi e acuti come Martin Heidegger e Gunther Anders vedono comunque - in maniera certamente diversa tra loro -  nella tecnologia la forza dominante del nostro tempo. In Heidegger è proprio la pretesa degli uomini di ritenersi “padroni dell’essente” e quindi capaci di manipolare indefinitamente cose e persone che si trasforma nel suo contrario: la volontà di potenza del soggetto umano diventa, nella  realtà, totale estraniazione, sottomissione all’”impianto totale” della tecnica mondializzata. In una banale occasione ho provato ad avanzare l’ipotesi, che ripensata già ora mi pare in effetti - solo in parte però - poco fondata, che l’autentico pensatore del “senso della tecnica” fosse Nietzsche. La mia tesi è stata subito considerata errata ma nessuno è riuscito a spiegarmene la ragione. Avrei bisogno dell’aiuto di un filosofo di professione, con una visione critica e controcorrente, per valutare le mie illazioni. Se la techne greca non rappresentava soltanto la competenza degli artigiani della polis, ma esistevano (ed esiste anche ora) anche una un’arte (tecnica) della politica e un’arte (tecnica) della guerra allora il senso e il carattere della tecnica (nel significato greco classico) e della tecnologia come applicazione della scienza moderna possono risultare differenti in modo significativo. La differenza stigmatizzata da La Grassa tra razionalità strumentale e razionalità strategica mi pare rientri del tutto in questo tipo di discorso cosicché contrariamente a Galimberti che vede nell’uomo della società del presente <<il funzionario degli apparati tecnici >>  nel pensatore veneto viene sviluppato il concetto di capitalismo come “società dei funzionari privati (e pubblici) del capitale”. Si tratta di una questione da approfondire e quindi per il momento mi limito a queste poche righe.