Abolire le corride? E’ un vecchio dilemma, periodicamente riproposto ai dirigenti politici dei due paesi europei dove si celebrano, la Spagna e la Francia. Ora la passione per cavalli e tori (e corride) del Presidente francese Sarkozy, ha rilanciato il tema in Francia, nel sud della quale i giochi violenti tra uomini e tori sono molto popolari, e fanno parte della cultura locale. Cos’è, però, veramente la corrida? Perché questa strana festa di morte ancora affascina gli esseri umani?
“Perché appaga gli istinti più violenti”, è la risposta più frequente. Non è però sicuro che sia così semplice, anche se la violenza c’entra sicuramente con la popolarità di questa festa. Però la violenza, nella corrida, è più qualcosa da riconoscere nella sua potenza, che qualcosa a cui cedere passivamente. Secondo molti, c’è insomma più “combattimento” con la violenza nella corrida, che in una partita di calcio.
I sostenitori di questa tesi hanno dalla loro la storia delle religioni. Ed almeno due discipline, che illustrano spesso le stesse immagini narrate dalla storia delle religioni: la storia dell’arte, e la psicologia del profondo, che ritrova, nell’inconscio personale e collettivo dell’uomo, ancora quelle stesse immagini e miti.
Tra le più antiche religioni troviamo infatti quella di Mitra, diffusa dall’oriente da cui provenivano i soldati romani che la portarono un po’ ovunque, Spagna e sud della Francia comprese, dove appunto ispirò la significativa festa-rito della corrida. Nel mitraismo, dunque, Mitra è un Dio creatore e salvatore che proprio uccidendo il toro primordiale, e benedicendo il mondo col suo sangue, fa nascere tutti gli animali e le piante, e garantisce la salvezza dell’umanità. La psicologia del profondo leggerà poi in questo mito la necessità per gli uomini di sacrificare gli istinti primordiali, violenti ed arcaici (simboleggiati dal toro), per non venirne catturati e posseduti.
Anche in alcune medicine tradizionali, come quella di Rudolf Steiner, il sacrificio del toro, del lato violento dell’istintualità, è necessario per evitare che l’organismo umano non scivoli in regressioni a livello del sistema vegetativo e animale-pulsionale. Nelle correnti religiose derivate da Zoroastro poi, Mitra, che qui assume a volte lui stesso sembianze taurine, diventa aiutante del dio solare e della luce, Ahura-Mazda, contro quello delle tenebre e degli inferi, il demone Ahriman. E sarà anche qui il sacrificio del toro, col suo sangue caldo, ad impedire che le potenze infernali della freddezza, interessate solo al potere, si impadroniscano della terra.
In tutte queste correnti religiose, e filosofiche, il sacrificio del toro rappresenta dunque un aspetto violento cui l’uomo deve rinunciare per non regredire psicologicamente ad animale, ed insieme qualcosa da onorare per non cadere in un comportamento freddamente intellettualistico, volto solo al potere, come vorrebbe il principio del male.
Lo psicologo svizzero Carl Gustav Jung riconobbe nella corrida il rito che nel corso della storia, e nelle terre intrise di Mitraismo, rappresentò questo potente combattimento, tuttora presente nell’animo umano.
Non saprei se la corrida va mantenuta perché, come dice la signora Francine Yonnet, capo degli allevatori di tori da combattimento: «è meglio veder morire un toro nell’arena che in un mattatoio». La questione infatti riguarda, oltre ai tori, l’uomo stesso. E’ lui che deve ricordarsi di questa lotta centrale che si svolge nella sua psiche, e combatterla. Anche onorando l’avversario, violenza-toro, con una grande festa rituale come la corrida.

da “Il Mattino di Napoli”