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2007: l'anno del leone

di Diego Traversa - 11/09/2007


 


Le tappe che hanno segnato il percorso storico dello stato d’Israele hanno una curiosa cadenza trentennale:
-1917, Dichiarazione di Lord Balfour e conseguente disponibilità dell’imperialismo inglese alla concessione di un “focolare nazionale” al popolo ebraico
-1947, risoluzione ONU per la partizione della Palestina storica in due entità, una destinata alla futura nazione ebraica e l’altra ai nativi abitanti arabi ovvero i Palestinesi
-1977, anno della storica svolta politica in Israele: dopo 30 anni di dominio laburista-socialista-progressista, arriva al governo la coalizione guidata dal Likud di Menachem Begin. Inoltre, si verifica la prima breccia nell’ostinato rifiuto arabo di Israele: storica visita di Sadat a Gerusalemme.

Ora, se la matematica non è un opinione, quest’ anno ricorre il trentennale da quell’ ultimo stadio dello sviluppo del sionismo in Palestina e, salvo grossi cataclismi, non pare profilarsi alcun sconvolgente cambiamento politico.
Siamo proprio sicuri?
Premetto che, facendo una rapida considerazione, mi pare che le suddette date siano portatrici di una delle più gravi ingiustizie che si siano mai perpetrate nella storia e che la loro successione non sia altro che un catastrofico climax: più che un “focolare nazionale”, nel ’17 si dette diplomaticamente il via ad un focolaio regionale che ha incendiato irrimediabilmente quella che oggi ci appare come una delle zone più martoriate del pianeta; nel 1947 si è ratificata l’assurda decisione imperialista di spartire un territorio esattamente con la stessa ingordigia, insensibilità e tracotanza con cui l’Europa veniva plasmata dopo ogni sconvolgimento bellico e politico ( Metternich e congresso di Vienna, conferenza di Parigi, ecc….) senza che i popoli residenti avessero alcuna voce in capitolo; infine, nel ’77, mentre qui in Italia cacciavamo Lama dall’università, in Israele si sanciva la politica degli insediamenti selvaggi che avrebbero scacciato sempre più Palestinesi perfino da quel poco che restava loro (Cisgiordania), relegandoli in sparpagliate riserve in stile pellerossa, grazie alle criminali politiche di Begin che, sulla scia di una idea laburista, avviò crescenti campagne di colonizzazione (laica e religiosa).
Considerata la progressione, una prima idea mi passa per la testa: se nel 2007 avesse dovuto verificarsi qualcosa di sconvolgente, questo sarebbe certamente stato a detrimento del popolo Palestinese, non certo quello Israeliano. E, ad onor del vero, pare proprio che sia stato così.
Bisogna essere piuttosto ciechi per non accorgersi che un avvenimento epocale, in effetti, si è verificato.
Il 2007, a mio modesto avviso, è stato forse l’anno delle campagne di sostegno propagandistico sionista più intense e aggressive che si siano mai viste, soprattutto a causa della preoccupazione israeliana di trovarsi Hamas al potere. Non che questo voglia poi dire molto, visto che in Israele non fanno tanta differenza tra Hamas e Fatah: quando c’era Arafat, gli aizzavano contro gli estremisti religiosi; ora che ci sono quest’ultimi, si fa di tutto per sostenere i rivali “moderati”, più disposti a convivere con Israele.
Il fatto è che in Israele si sono accorti che, dopo 40 anni di occupazione illegale, di privazioni, di provocazioni, di ingiustizie di ogni sorta, il popolo palestinese è ancora lì, pronto a far valere la propria dignità ancora una volta. Si sono accorti, in Israele, che c’è bisogno di una forte destabilizzazione politica che permetta di proseguire nell’impresa sionista (che, è bene ricordare, prevede,come minimo, un’unica ed omogenea entità territoriale destinata agli ebrei  che si estenda dal Mediterraneo al Giordano,  mettendo da parte sogni più ambiziosi quali quelli covati da Jabotinski e nipotini che aspiravano alla conquista di TUTTA la Palestina, cioè anche di quel pezzo di terra che gli inglesi destinarono agli hashemiti, ragione che sta alla base della nascita del movimento sionista Revisionista di cui Begin, Shamir, Sharon sono i più famosi esponenti). E per farlo, sono ricorsi ai mezzi più infami, tipo trattenere soldi dovuti ai palestinesi , attuare blocchi commerciali, gettare fango e calunnie contro un governo eletto dal popolo ( Democraticamente o meno non importa: per caso ci interessa sapere se i colombiani o i nord-coreani o gli iraniani eleggono democraticamente i loro rappresentanti?).  Misure tipiche di una democrazia.
E’ chiaro che il 2007 può essere un ulteriore passo in avanti a favore del sionismo, visto e considerato che un grandissimo cambiamento ha avuto luogo: la frattura del popolo palestinese in due tronconi, con conseguente esultanza di tutti i filo-sionisti del mondo. Un fatto che ha addirittura fatto ipotizzare la prospettiva del cosiddetto “due popoli, tre stati”. Un’offerta “3x2” veramente allettante……
Ecco, il 2007 è un anno di grandi novità per gli infaticabili sionisti. In quell’enorme calderone mediorientale, un nuovo ingrediente è stato aggiunto: una virulenta discordia palestinese, un fattore che non può che giovare agli infidi piani sionisti ( ebbene sì, anche i sionisti complottano……).
Tuttavia, volendo essere ottimisti e cercando di mostrare un minimo di comprensione e solidarietà al martoriato popolo palestinese, potremmo cercare di capovolgere i dati del problema.
Sì, perché mentre i nostri politici blaterano di tutto e tutti senza in realtà mai capirci niente, gli osservatori più attenti non possono non cogliere i sottili cambiamenti che si stanno verificando e che, in realtà, non porteranno al successo quanto alla disfatta del sionismo.
Tutto, in natura, ha un inizio ed una fine.
Se prendiamo le tre fatidiche date sopraelencate, potremmo un po’ poeticamente immaginare il susseguirsi degli eventi sionisti in termini di sviluppo biologico: 1917, il concepimento; 1947, la nascita; 1977, la maturità.
Dunque, che il 2007 sia l’anno della vecchiaia? (per la morte è un po’ prestino, ma mai dire mai…)
Chissà, forse tutti questi grossi sconvolgimenti non sono quello che sembrano. Forse la situazione non è poi così rosea per i nipotini di Herzl e del suo scabroso, irrazionale sogno.
Ci sono tutti gli elementi per trarre simili conclusioni.
Partiamo da un concetto semplice: così come i sionisti, per giustificare un po’ pateticamente e arrogantemente la loro impresa, sostenevano che non esistesse uno stato chiamato Palestina, diamo pane al pane e vino al vino dicendo che, a maggior ragione, non esiste uno stato per gli ebrei, dato che il diritto costituzionale sancisce, come condizione necessaria per tale definizione, la specificazione di confini per precisi. Visto che Israele non ha confini definiti, non si dovrebbe chiamare stato. Quindi i Palestinesi sono pienamente intitolati a perseguire la loro impresa, come e più dei sionisti che saccheggiarono la loro terra. Perché di saccheggio si è trattato , nonostante le improbabili giustificazioni propagandistiche di comodo che ci presentano un progetto sionista benevolo atto soltanto a garantire una terra per un popolo sparso nel mondo e desideroso soltanto di diventare “normale”.  Se è vero che prima del 1948 i sionisti non fecero un vero e proprio furto, poiché acquisirono proprietà terriere dai latifondisti arabi e sulle quali costruirono i loro kibbutz, è altresì innegabile che la porzione di terra abitata da comunità ebraiche era poco o niente rispetto alla stragrande maggioranza araba, certo non tale da potervi reclamare alcuna sorta di sovranità nazionale. Poi, guarda caso, sarebbe scoppiata la guerra di “liberazione”, come la chiamano i sionisti: ed hanno ragione, perché in effetti hanno “liberato” ampie zone arabe, “ripulendole” della loro popolazione Palestinese. Tutto il contrario di una guerra irredentista, che di solito scoppia per rivendicare una terra che è largamente abitata da una data comunità etnica e per liberarla da quelli che si considerano invasori che non hanno legami culturali e storici con essa. Curiosamente, i sionisti hanno pensato bene, prima, di “evacuare” una popolazione ostile e dopo, con un colpo di magia, di affermare: “Visto? Adesso siamo la maggioranza. Dateci uno stato, please…”. Più saccheggio di così…..
Infatti, quel presunto “popolo” ebraico, che si è visto donare gentilmente uno stato, non presenta tutte quelle caratteristiche che costituiscono la primaria condizione per la pretesa all’autodeterminazione: lingua, costumi, tradizioni locali, cultura legate ad un territorio specifico (a meno che non si voglia ostinatamente tapparsi gli occhi dicendo che un ebreo yemenita ha molto in comune con un ebreo tedesco o lituano). Si fa un gran parlare del diritto ebraico ad una terra in base a presunti, passati legami risalenti a ben 2-3000 anni fa, cosa questa che dovrebbe far accapponare la pelle a qualsiasi persona dotata di buon senso. Come se domani, mettiamo, si volesse riconquistare Istanbul perché antico possedimento romano e gli si rispolverasse l’antico nome di Costantinopoli. Come se tale sciocca ed irrazionale pretesa avesse la precedenza rispetto all’oggettività di una situazione storica evidente, cioè che i Palestinesi (ebrei o musulmani che siano…..ah già, molti addirittura non riescono nemmeno a concepire che un Palestinese possa essere di religione ebraica!!) hanno vissuto lì da secoli. Il ridicolo sta nel fatto che mentre gli ebrei si sforzano di scavare la terra alla ricerca di reperti archeologici che attestino il loro millenario legame con il territorio palestinese, il radicamento dei palestinesi con la loro terra è talmente evidente che, assurdamente, lo si ignora e si sminuisce, come se non avesse importanza. 
Questo come base di partenza, tanto per chiarire che la causa palestinese deve essere moralmente sostenuta contro l’ingiustizia storica sionista.
Secondo punto, si potrebbe obiettare che i Palestinesi avevano scelto di convivere accanto ad Israele.
Qui siamo di fronte ad una delle più grosse distorsioni. I Palestinesi hanno accettato l’ipotesi dei due stati esattamente quanto gli ebrei accettarono il piano di partizione della Palestina. Decisioni pratiche, tattiche, che tuttavia non mettono in dubbio il fine ultimo.
Così come gli ebrei nel ’47 erano sicuri che comunque andassero le cose non avrebbero mai abbandonato il sogno di costituire un’unica entità territoriale dal Giordano al Mediterraneo (prova ne sia l’inesorabile perseveranza nel non mollare la presa sulla Cisgiordania, ovvero quell’amatissima, dagli ebrei,  Giudea-Samaria su cui dovrebbe sorgere lo stato Palestinese e che invece è disseminata di centinaia di colonie di pazzi religiosi esaltati o da immigrati ebrei attirati in loco dal trucchetto delle facilitazioni fiscali) , lo stesso dicasi dei palestinesi che, per mera necessità, dovettero accettare l’ipotesi dei due stati per non rischiare di perdere quel poco che restava loro. Se israeliani e palestinesi avessero veramente voluto coesistere in due stati adiacenti, a quest’ora queste due entità sarebbero già lì, una a fianco all’altra. Ma la politica aggressiva, razzista e colonizzatrice di Israele è davanti agli occhi di tutti a dimostrare l’impossibilità di tale ipotesi: solo i politici egoisti, affaristi ed incapaci non se ne rendono conto, ed anzi accusano i palestinesi di praticare la violenza.
Invece, Israele è descritto sempre come il bene assoluto, la sola democrazia mediorientale, la luce che promana dalla civiltà europea e che illumina l’oscurantista mondo arabo.
Israele fa concessioni, gli arabi le rifiutano; Israele è pacifista, gli arabi sono dei vampiri assetati di sangue (e Dio solo sa come faccia la nazione più militarizzata del mondo ad essere anche quella più propensa alla tranquillità e alla pace…..viene in mente quella vignetta del figlioletto che dice al padre, generale dell’esercito: “Papà, stanotte ho sognato un mondo senza guerre” e lui, di rimando: “Non preoccuparti, hai fatto solo un brutto sogno”….); Israele ha libere elezioni, libera stampa, libertà di pensiero mentre gli stati arabi sono regimi autoritari, la stampa è asservita e le donne se ne vanno in giro come neri scarafaggi.
Ecco, questi sono i luoghi comuni e la moderna visione che ogni giorno ci vengono propinati, col solo intento di denigrare, sminuire, umiliare la meravigliosa (specie per la cucina e per la leggendaria ospitalità) cultura arabo-musulmana per meri interessi geopolitici e finanziari.
Sopportare le bufale, le distorsioni, le balle che politici, giornalisti e pseudo-esperti ci rifilano quotidianamente è davvero un’impresa.
Qui sta il punto.
I politici ci ritengono idioti e plasmabili. Purtroppo per loro, non si stanno accorgendo ( se mai ci sono riusciti anche in passato) dei cambiamenti che covano sotto la cenere e che sono riassumibili in un’unica breve domanda: a prescindere dalla moralità insita nella volontà di dare uno stato ad un “popolo” sottraendone il territorio ad un altro, siamo sicuri che la soluzione dei due stati sia veramente attuabile?
Purtroppo non si sono accorti, nella loro arteriosclerotica senilità ( mi pare che l’età media dei politici italiani sia oltre 60 anni), che negli ultimi 10 anni la gente non ricorre più ai giornali (almeno qui da noi) o che comunque, per soddisfare la propria sete di conoscenza, non attinge solo dai quotidiani ma ricorre ampiamente a quella che è la più grande invenzione del secolo: Internet.
Un luogo che, data l’enorme quantità di dati, aiuta a formarsi, a capire, ad illuminarsi, ad  approfondire e a spiegare. Basta solo farlo in buona fede, senza partigianeria o preconcetti, ed ognuno può farsi una generica e veritiera opinione su qualsiasi argomento. 
Quando vedo politici italiani straparlare di sionismo, di Israele e questione palestinese, mi va il sangue al cervello perché capisco quanto siano ignoranti ed ipocriti.
Non sarò un fine esperto a proposito di Medioriente ma posso tranquillamente asserire che a volte mi par di sapere poco, pochissimo in più di tutti quei pavoni che, per il solo fatto di stare a Montecitorio o Palazzo Madama, pretendono di dirci quale sia la verità.
La loro totale incapacità e mancanza di coraggio nell’affermare le loro idee scaturisce essenzialmente dalla loro ignoranza, nello specifico, in materia di politica estera mediorientale (poi ci sono gli interessi delle lobby ma quello è un altro discorso).
Credete davvero che un Fini, un D’Alema, un Calderoli e, ma sì, perfino un Bertinotti o un  Napolitano  abbiano mai davvero avuto il tempo per approfondire cosa sia il Medioriente (per non parlare di quelli che forse non sanno nemmeno dove si trovi)? Cosa sia il sionismo, con le sue sfaccettature e correnti? Chi siano e quali origini avevano i vari Shamir, Sharon, Begin, Jabotinski? Cosa dica l’originale testo inglese (loro che non lo parlano nemmeno) della risoluzione 242, quella che con un sottile inganno specificava il ritiro israeliano “from territories” invece che “from the territories”? Chi è un fellah? Quando fu fondata la Lega Araba? Cosa è successo a Deir Yassin nell’ Aprile ’48?
In parole povere, cosa sia la questione israelo-palestinese di cui parlano a vanvera?
Il discorso sarebbe troppo lungo, ma vorrei solo sottolineare che questi poveri pazzi politici non dovrebbero fracassarci i testicoli con le loro assurdità.
Innanzitutto, serve gente seria e preparata. In secondo luogo, non serve prendere per forza posizione, parteggiare per l’una o per l’altra parte. I politici, nel trattare di politica estera e quindi con realtà che spetterebbe ad altri decidere (cioè ai popoli che vivono direttamente, sulla loro pelle, una determinata realtà), hanno il compito e il dovere di porsi come terzi, come intermediari, e non come sostenitori di questa o quella fazione politica. Basare le loro politiche dalla presa di coscienza di una realtà oggettiva.
Inoltre, in qualità di portatori di valori e diritti inalienabili ispirati al modello della progredita civiltà occidentale ( specie noi italiani, che dovremmo esportare maggiormente quel sistema di potere che tutto il mondo ci invidia: la Mafia), i politici sono chiamati a lavorare per la loro diffusione nel mondo, possibilmente senza guerre, tramite scambi culturali ed economici. Altrimenti, che la smettano di parlare di liberalismo e democrazia, affermino orgogliosamente che la guerra è uno strumento onesto (invece di parlare di ipocrite guerre umanitarie…)  e siano più onesti nel dire: sì, vogliamo insediarci  in quella determinata zona perché geo-politicamente strategica. Sarebbero persino più rispettati.
 E’ inutile prendere in giro le persone, intervenendo in Iraq e in Afghanistan per “esportare” democrazia e libertà e al tempo stesso dimenticare tutto il resto. Non è credibile e non più tollerabile questo inganno.
Ragion per cui, farebbero bene a prendere atto che la gente, grazie ad internet, non è più raggirabile, non può essere presa per i fondelli ad oltranza. Il loro tentativo di difendere interessi geo-politici non è più mascherabile dietro assurde menzogne tipo lo scontro tra civiltà e cretinate simili.
Se davvero hanno a cuore la politica, quella seria, dovrebbero cominciare ad agire affinché la gente torni ad interessarsene, invece di stupirsi ipocritamente della disaffezione delle persone, convinte a ragione che la politica attuale non sia altro che un mero baratto di interessi e un groviglio di intrighi.
I politici dovrebbero tornare a trattare seriamente di politica e ciò implica, in primis, la presa di coscienza che la politica dovrebbe fondarsi sul compromesso tra le parti, stante una condizione di realtà oggettiva.
Nel caso in questione, la realtà ci dice che il Sionismo, inteso come strumento per dare una patria agli ebrei, è fallito, perché sostanzialmente era l’idea sionista stessa ad essere viziata in partenza. Gli ebrei avevano già una patria, così come un cattolico o un musulmano avevano la loro. Invece, stravolgendo quest’idea, volendo evitare che gli ebrei si assimilassero e scomparissero, si è voluto dar loro uno stato, con tutto quel che ha comportato.
E’ questa base di partenza che i politici, nella loro ostinazione, non vogliono riconoscere, ammettere o non sanno capire. Però ci ripetono fino allo stremo, con enfasi sospetta, che “Israele ha diritto di vivere”.
Ma dove?
Israele non ha diritto di esistere perché non è il frutto delle istanze di un popolo che invocava l’autodeterminazione quanto il prodotto della follia di mediocri pensatori politici. Non ha tale diritto perché è nato (imposto dall’alto) sulla scia di dottrine antiquate, reazionarie e nazionalistiche tipiche di fine ottocento, che certo non prevedevano, come oggi si vuol far credere, l’utilizzo dei mezzi democratici per la sua realizzazione. Un realizzazione che è impossibile da attuare con mezzi democratici e pacifici. La mediocrità di tali pensatori risiede proprio nella loro incapacità di saper prevedere quali sviluppi avrebbe potuto prendere una simile impresa. E date le loro considerazioni, lo scarto tra quel che avevano previsto e quel che poi è stato è talmente enorme che non si può che trarre la logica conclusione che il Sionismo è già morto. Il fine supremo del sionismo era quello di garantire un porto salvifico agli ebrei, in seguito alla tragedia della Shoa. Ebbene, cosa è diventato Israele per gli ebrei?  Un enorme ghetto armato per garantire un futuro all’ebraismo. Ma, per ironia della sorte, questo ultimo ghetto ebraico è l’unico posto al mondo in cui l’assioma sionista di voler garantire una “patria” sicura agli ebrei è totalmente contraddetto dalla realtà, visto che è l’unico luogo in cui un ebreo non è al sicuro, data l’ostilità circostante.
Questo basta ed avanza a sancire il fallimento sionista, l’assoluta pochezza di quei pensatori che lo avevano concepito (Hess, Gordon, Herzl , tanto per citare i più importanti) e l’anacronistico carattere di Israele, soprattutto se si tiene conto che la maggior parte degli ebrei vivono fuori dalla loro “patria”, a dimostrazione che la società moderna ha superato tutti i suoi limiti ed è capace di garantire la convivenza tra religioni.
A prescindere che Israele abbia o meno diritto di esistere ( considerato che per molti si tratta di un sacrosanto diritto!), i politici europei e non solo non si rendono conto che  molti tra i diretti interessati, ebrei e palestinesi,  stanno riflettendo sulla prospettiva che esclude il ricorso alla soluzione dei due stati. Questa è la realtà oggettiva del futuro: i due diritti sono inconciliabili. L’unica vera, democratica ed equa soluzione è quella che le Nazioni Unite e la comunità internazionale, mettendo da parte gli interessi strategici che inducono a parteggiare per questa o quell’altra parte, dovrebbero e potrebbero attuare il prima possibile. Un unico stato binazionale, in cui i diritti di entrambe le comunità siano garantiti ma senza che quelli di una prevarichino quelli dell’altra. Sancire il diritto di ebrei ed arabi ad immigrare in loco, se lo vogliono, e (considerata l’esigenza ebraica di salvaguardare l’ebraismo) fare del medioriente un esempio di civiltà, garantendo un centro spirituale per l’ebraismo in terra orientale, che poi è ciò che perorava il grande pensatore Ahad Ha-Am.
Un progetto sensato e razionale, che potrebbe essere attuato subito e che metterebbe per sempre fine alle ostilità.
Ora, se potessi, vorrei potermi rivolgere a qualche politico importante e porlo di fronte all’evidenza della realtà. Se proprio potessi, sceglierei di rivolgere le mie domande a Blair, perché Bush mi fa schifo solo a vederlo e i politici del mio paese mi fanno orrore solo a sentirli. Vorrei proprio potergli scrivere due(mila) righe come queste:

Caro Mr. Blair,
 lei è stato recentemente investito dal Quartetto del titolo di “inviato di pace in Medioriente”. Le faccio, innanzitutto, i miei più vivi complimenti, visto che adesso può ripresentarsi come persona perbene dopo il tanto, troppo fango versato su di lei con assurde e infamanti accuse che La vogliono responsabile di un non proprio trascurabile delitto quale la morte di qualche centinaio di migliaio di persone.
Il Quartetto ha partorito il suo  Quinto Elemento, il salvatore che eviterà la totale distruzione del Medioriente. Fossi in Lei, non mi lascerei scoraggiare dai dubbi e dai velenosi sospetti di quanti si domandano come sia possibile che un guerrafondaio come Lei, responsabile a quanto pare della morte di così tante persone, possa diventare un figlio dei fiori pacifista. Per fugare questi dubbi, Le consiglierei intanto di farsi crescere i capelli e poi di aprire il suo cuore e, soprattutto, di ascoltare la voce che proviene dal Medioriente. Sono convinto a tale proposito che Lei, sicuramente dotato di apparecchi auricolari naturali fuori dalla norma, sarà pienamente in grado di assolvere a questo compito.
Ascolti, Mr. Blair, cosa invocano israeliani e palestinesi. I primi sono stanchi, non ce la fanno più e, nonostante la loro indiscussa superiorità militare, si stanno rendendo conto che questa situazione non può andare avanti per molto. I secondi, nonostante tutte le privazioni subite, sono sempre più agguerriti e determinati. Più muoiono e soffrono la fame, più s’incazzano (giustamente, aggiungerei).  Secondo Lei, conviene davvero spargere altro sangue? Per quanto tempo ancora crede che si possa ingannare le persone dicendo che Israele ha diritto di esistere? Per quanto tempo crede che si possa ancora tollerare la balla dell’Israele democratico, uno stato che per mantenere la sua maggioranza etnica ebraica deve per forza (ripeto, per forza, inevitabilmente) attuare una precisa, strutturata e mirata discriminazione nei confronti dell’altra principale componente etnica? Per quanto tempo ancora ritiene che si possa accettare l’iniqua condizione preliminare per cui i Palestinesi, se vogliono la pace, devono prima riconoscere il diritto di Israele? Si è mai chiesto se Israele fa altrettanto? Forse sì, e forse si è pure risposto e convinto che Israele, il giusto Israele, è veramente intenzionato alla pace e alla pacifica convivenza. A parole forse. Non nei fatti.
I fatti parlano, caro Mr. Blair, di uno stato che da 40 anni occupa, dopo aver scatenato una guerra, il pezzo di terra che era destinato al fantomatico stato palestinese. E vi ha costruito sopra centinaia di colonie, a dimostrazione di quanto sia veramente incline alla pace.
Mr. Blair, crede davvero che la gente sia così stupida o ignorante da credere che Israele sia uno stato democratico ed indipendente? A parte il fatto che non ha confini, a parte il fatto che discrimina parte della propria popolazione, a parte la pulizia etnica messa in atto nel ’48, a parte il suo formidabile apparato militare (l’unica vera istituzione che serve a saldare, forgiare ed unire il popolo israeliano, che altrimenti resterebbe diviso da profonde differenze culturali), a parte il dubbio su come possa un simile nazione guerrafondaia porsi come garante della pace e della democrazia, Le chiedo:
si può definire stato indipendente un’entità che dipende esclusivamente dai contributi finanziari delle comunità della Diaspora, nonché dai soldi statali dell’alleato americano, e senza i quali la sua economia crollerebbe? Si può parlare di stato quando i suoi cittadini sono solo un quarto del presunto totale? Voglio dire: noi italiani siamo 60 milioni ma non mi pare che all’estero ci vivano altri 180 milioni di italiani……in Israele ci sono 5 milioni di cittadini ebrei, eppure la maggior parte (altri 13 milioni), vivono all’estero ….non è una contraddizione? Se, come si dice, questo è un “popolo” che necessita ed ha diritto ad una patria, perché allora non intercede presso il suo amico Bush invitandolo a regalare al “popolo eletto” il Montana o il Nebraska o la Florida (che c’è tanto sole, così si abbronzano: in ossequio al mito sionista del “sabra” riarso dal sole….), visto che in America sono in numero maggiore? Provi a fare una simile richiesta e vediamo cosa le risponde Bush…..scommetto che la prenderebbe per pazzo. Già, peccato che questa così evidentemente folle idea non traspaia quando, al contrario, a doverne pagare il prezzo sono quei bifolchi dalla pelle scura che non mangiano maiale e sono soliti inginocchiarsi verso la Mecca nelle loro preghiere.
Mr. Blair, siamo onesti. La Palestina non è l’America, non ha le sue ricchezze e i suoi spazi. Se si pensa che, nonostante queste premesse, gli Americani non si siano fatti scrupoli e non abbiano esitato nel rifiutare di condividere la terra con gli indiani, come si può pensare che ebrei e arabi possano coesistere in due stati uno a fianco all’altro in una piccola e povera regione come la Palestina? Non dico che un ebreo non possa, se vuole, andare a stabilirsi in Palestina ma da qui a sostenere l’idea per cui si possa togliere la terra ad un popolo per darla ad uno proveniente da fuori è parecchio ingiusta. Si è detto che gli ebrei non hanno rubato nulla ai Palestinesi. Che si sono comprati pezzo per pezzo la futura patria e poi, adducendo millenari legami con il suolo in questione, avrebbero avanzato la pretesa dell’indipendenza. Come se comprare terra in uno stato bastasse per rivendicare l’indipendenza da qualcuno. Senza poi contare che i richiedenti, gli ebrei, non erano nemmeno interessati a tale progetto. Solo una manica di intellettuali mittleuropei ebrei si fece portavoce di questa istanza, mentre le comunità ebraiche non erano nemmeno interessate a fondare uno stato, ritenendola un’idea perniciosa  e stramba. Poi c’è stato in nazismo ed, ignobilmente, i sionisti hanno coniato il motto del “mai più” per spingere in Palestina le masse ebraiche, nonostante le società occidentali, dopo l’orrore della seconda guerra mondiale, avessero imparato a garantire i diritti di tutti, ebrei compresi. Sanzionare il sionismo significa propriamente negare che le società occidentali non siano capaci di assicurare i diritti delle varie comunità religiose e ciò è un vero affronto, perchè questo implica mettere sullo stesso piano le società democratiche e quelle autoritarie, illiberali e razziste; non è altro che una vittoria morale del nazismo a 60 anni dalla seconda guerra mondiale.
A meno che non si consideri gli ebrei come un popolo che ha diritto ad una patria come gli altri: cioè una “razza” con determinate caratteristiche fisiche e culturali, che è proprio quello che andavano dicendo i nazisti sugli ebrei. In entrambi i casi, si vede come l’accettazione del sionismo non sia possibile senza un’inevitabile rivalutazione del regime nazista (Dio ci scampi). Dopotutto, nazismo e sionismo hanno molto in comune, perfino strette collaborazioni tra ufficiali, come nel caso di Adolph Eichmann e Rudolph Kastner, la cui vicenda è ignota ai più ( e per qualcuno è bene che lo resti, altrimenti potrebbe fare aprire un po’ gli occhi su cosa sia stato veramente il sionismo).
Mr. Blair, evitando di minare le fondamenta morali del sionismo ( questione oziosa, da intellettuali), perché non parliamo un po’ concretamente, “down-to-earth”, come dite voi?
Visto che Lei è stato nominato nuovo inviato di pace in Medioriente, pensa che potrebbe illuminarmi su quali basi, generiche, si potrebbe concepire uno stato palestinese?
Le do un consiglio: non faccia come tutti i negoziatori hanno fatto finora, dimostrando la loro totale incapacità o malafede. Affronti di petto la questione e ci dica: come pensa di risolvere i nodi vitali della questione?
Le propongo un quesito matematico.
“Il candidato risolva il seguente problema: data X=esistenza decennale del problema dei profughi palestinesi e Y   l’ostinato rifiuto sionista a condividere la città di Gerusalemme (capitale indivisibile per due!), non potendo prescindere da Z= inevitabile espansione esponenziale delle colonie ebraiche e tenuto conto di K= nevrotico stato psicologico sionista che non può accettare di vivere a fianco di nemici armati fino ai denti, si dimostri come sia possibile ricavare un’area sufficientemente grande per accogliere quelle che dovrebbero essere (P=) le istituzioni palestinesi, costruirvi uno stato omogeneo non frammentato in bantustans e spiegare poi come un israeliano possa  accettare che questo diventi un normale stato come tutti gli altri, cioè armato, dotato di un esercito regolare, quando Israele stesso è preoccupato dall’esistenza del più insignificante coltellino svizzero o da artigianali razzi kassam”. Cioè: P=700X+Y/2+Z^n+K a cosa corrisponde?
Mr. Blair, oggi mi va di scherzare un po’ ma in realtà c’è ben poco da ridere. Chi soprattutto ha poco da rallegrarsi sono le disperate masse palestinesi, che non sanno più a quale santo votarsi.
Costantemente ricattati, si devono pure sorbire la perenne onta di essere tacciati di terrorismo. Il solito trucchetto a cui i politici e i potenti fanno ricorso quando non vogliono affrontare seriamente le questioni. La vigliacca e perversa pratica dell’etichetta da appiccicare al rivale in modo da screditarlo in partenza. Scommetto che sa a cosa mi riferisco, visto che anche voi inglesi avete usato più volte questa tattica, specie con gli irlandesi.
Mr. Blair, a parte il fatto che terrorismo deriva dal terrore giacobino della Rivoluzione Francese, cioè un terrorismo di Stato, credo che questo stupido e codardo metodo per sbarazzarsi degli avversari non sia più credibile, anche alla luce delle disastrose campagne di terrorismo statale che si sono messe in atto dal 2001 in poi.
Tacciare Hamas di terrorismo equivale a sostenere che il popolo Palestinese, nel complesso, è un popolo di terroristi, visto l’appoggio popolare goduto dal movimento islamico. Per quanto ancora crede che si possa ingannare la gente con questi giochetti?
Si ricordi, Mr. Blair, che pure l’IRA godeva di ampio sostegno popolare: eppure, guardi cosa è diventata oggi l’Irlanda. Oppure, per restare in tema, pensi al ricorso al “terrorismo” adottato dagli ebrei stessi quando vi hanno preso a calci nel sedere nel ’48 e sbattuto fuori dalla Palestina. Eppure, quelli che ieri il Suo paese definiva e faceva arrestare in qualità di terroristi, mi pare che oggi abbiano uno stato per conto proprio e che intrattiene stabili relazioni diplomatiche con il suo ex-nemico inglese.  Perché bisogna continuamente sminuire le pretese di un’entità politica tacciandole di “terrorismo”? Ma vi rendete conto o no di quanto questa bufala sia insostenibile?
Certo, i metodi adottati da certi gruppi possono suscitare dubbi ma, d’altra parte, quando si scontrano due rivendicazioni nazionaliste, è ben difficile immaginare che le fazioni in lotta se ne stiano a discutere pacificamente intorno ad un falò e a decidere le sorti di un territorio. Se poi ritiene che il ricorso alla violenza e gli attacchi contro i civili siano atti terroristici , mi sta bene, ma questa non è la prerogativa di alcun popolo in particolare: in questo senso, siamo tutti terroristi, da Hamas all’Irgun, da voi inglesi agli irlandesi, dai vietnamiti agli americani e i loro raid al napalm.
In questo senso, la storiella del leone e del cacciatore di John Henry Newman è molto calzante e, nel caso non la conosca, gliela racconto brevemente. Perché, onestamente, mi pare proprio il caso che, in Medioriente, la storia debba essere riscritta totalmente, una volta per tutte.
“L’Uomo un giorno invitò il leone a casa sua e lo ricevette con l’ospitalità che si riserva ai re. Al leone fu concesso di muoversi liberamente all’interno di un magnifico palazzo pieno di un’infinità di cose da ammirare. C’erano ampi saloni e lunghi corridoi, arredati e decorati con lusso, ornati da una profusione di modelli di pittura e scultura, opere di grandi maestri. I soggetti rappresentati erano svariati; ma il più eccelso tra tutti rivestiva particolare interesse agli occhi del nobile animale che incedeva solenne davanti ad essi: si trattava infatti del Leone stesso. Mentre lo conduceva da una stanza all’altra, il proprietario del palazzo non mancava di attirare l’attenzione del suo ospite sull’omaggio indiretto che i vari gruppi di statue e dipinti tributavano all’importanza della tribù dei leoni. Tuttavia, c’era un aspetto evidente in tutta l’opera al quale l’ospite, pur tacendo cortesemente, non pareva del tutto indifferente. Per quanto diverse tra loro fossero quelle rappresentazioni, presentavano un elemento comune: l’Uomo risultava sempre vincitore e il Leone sempre sconfitto.
Quando il Leone finì di visitare il palazzo, il suo anfitrione gli domandò cosa pensasse delle meraviglie al suo interno; quello rispose rendendo giustizia alle ricchezze del proprietario e alla capacità dei suoi decoratori ma aggiunse: <Ai leoni sarebbe toccata una sorte migliore se fossero stati loro gli artisti>”.
Ecco , Mr. Blair, spero che abbia apprezzato questa breve storiella il cui significato è piuttosto chiaro e, considerati i tempi, molto attuale. Visto che voi inglesi siete tra i principali responsabili del disastro mediorientale, grazie al vostro secolare imperialismo, chiudo questa mia lettera invitandoLa a cogliere la coincidenza per cui, a 90 anni dalla Dichiarazione Balfour, la storia ha messo nelle mani di un altro inglese il destino della tormentata terra palestinese. Spero vivamente, anche se ne dubito,  che Lei non commetta gli stessi errori del suo incapace antenato e che finalmente, una volta per tutte, qualcuno si ricordi dei leoni in questione: i Palestinesi. La cui storia non merita di essere vilipesa così ignobilmente come da troppo tempo ormai constatiamo.


L'autore

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