La destra e la sinistra per Alain de Benoist
di Alain de Benoist/Francesco Germinario* - 11/09/2007
A leggere alcuni teorici significativi del pensiero della destra del Novecento, pare
che il concetto medesimo di "destra" sia un’invenzione della cultura di sinistra,
almeno nel senso che la destra si è talvolta rifiutata di presentarsi come tale.
Questi rifiuti della destra da destra sono stati numerosi. Penso ai casi, per
rimanere alla Francia, di un Georges Valois o di un Barrès. Quanto ai
movimenti politici, lo stesso fascismo si rifiutò di presentarsi come un regime di
destra e quasi tutti i movimenti fascisteggianti (le Croci frecciate ungheresi, la
Guardia di Ferro rumena ecc.), compreso anche il nazismo, hanno preteso di
operare al di fuori della dicotomia destra/sinistra. Per rimanere agli esempi più
recenti, esponenti importanti del radicalismo di destra, come Freda e Rauti,
hanno sempre rifiutato con sdegno questa collocazione. Sembra, quasi, che la
"destra" sia stata, appunto, un’invenzione della sinistra. Lei, poi, almeno fin dai
primi anni settanta, ha sempre rifiutato la dicotomia assiale destra/sinistra,
sostenendo che le sue idee erano momentaneamente "a destra", non "di destra".
Recentemente, poi, proprio in un convegno in Italia, lei ha sostenuto che è
necessario difendere "non più le idee di destra o di sinistra, ma le idee giuste".
Quali sono, a suo avviso, i motivi per cui certa destra ha sempre rifiutato questa
etichetta? E non le pare che il rifiuto di farsi collocare in questa distinzione,
avendo contraddistinto soprattutto la destra che si considerava estranea alla
democrazia, sia una spia significativa della vocazione al totalitarismo che ha
contraddistinto questa destra?
L'idea secondo la quale il rifiuto della distinzione tra sinistra edestra attesterebbe la "vocazione" della destra al totalitarismo è
bizzarra. Non conosco nessun politologo che si sia azzardato a
prospettarla. Nei fatti, mi sembra insostenibile; da un lato perché
parte da un presupposto sino ad oggi non dimostrato (dove sono
le prove di una simile "vocazione"?), e poi perché implica una
definizione del "totalitarismo" che manca singolarmente di rigore.
Il nostro secolo ha conosciuto due regimi che si possono definire
senza ombra di dubbio totalitari: il comunismo sovietico e il
nazionalsocialismo. Il primo non ha mai esitato a fare uso della
distinzione tra destra e sinistra, anche se ha soprattutto puntato
sulla dialettica fascismo/antifascismo. Quanto al secondo, se non
si è dichiarato "di destra"
ammesso e non concesso che questaetichetta gli si potesse addire, il che è un ulteriore dato da
dimostrare
,ciò è accaduto essenzialmente perché questotermine non ha mai fatto parte del vocabolario corrente oltre
Reno. (I paesi germanici non si distinguono, in proposito, dai
paesi anglosassoni: i termini "destra" e "sinistra" hanno avuto
fortuna soprattutto nei paesi latini). Penso perciò che, se si vuole
dare una caratterizzazione precisa al totalitarismo, si debba
rivolgere altrove lo sguardo.
Lei tratta, inoltre, il rifiuto della dicotomia sinistra-destra come se
si avesse a che fare con una categoria omogenea. A mio parere è
un errore, perché le motivazioni di questo rifiuto possono essere
assai differenti. I fascismi, ad esempio, hanno mobilitato delle
masse che, così come taluni dei loro dirigenti, spesso venivano
dalla sinistra: un
autodefinizione "destrorsa" sarebbe statacontroproducente. E del resto, sarebbe stata conforme alla
realtà? Gli specialisti, come Lei ben sa, sono ancora oggi divisi su
questo punto. Zeev Sternhell, per limitarsi a citare un solo nome,
vede nel fascismo un sistema le cui radici ideologiche vanno
ricercate a sinistra (il fascismo nascerebbe da una "revisione" del
socialismo). A tale proposito è interessante il titolo del libro di
Julius Evola,
Il fascismo visto dalla destra, il quale implica asua volta
che i due termini non sono sinonimi.In passato, varie famiglie di pensiero classificate a destra hanno
respinto la distinzione tra sinistra e destra. A mio avviso, lo
hanno fatto per almeno tre ragioni. Vi è in primo luogo il fatto che
questa distinzione non è antecedente alla Rivoluzione francese.
Nella misura in cui la destra si proponeva di difendere dei valori
preesistenti alla Rivoluzione, la distinzione perdeva ragion
essere. Un secondo motivo è la diffidenza che la destra ha alungo coltivato nei confronti dei partiti e delle fazioni, concepiti
come germi di divisione, o addirittura di guerra civile. In questo
caso, era l
ideale della "nazione raccolta in un unico insieme" (edel "superamento" della lotta di classe) ad opporsi alla divisione
del paese tra destra e sinistra. Vi è infine un terzo motivo, che
conserva ancora pienamente la sua pertinenza: il fatto che una
destra o una sinistra unitarie, omogenee, non sono mai esistite.
In ogni epoca vi sono state
delle destre e delle sinistre, e non èaffatto certo che le diverse componenti di queste due "famiglie"
abbiano mai avuto fra di loro più punti comuni di quanti non ne
avessero, in termini di affinità, con talune componenti della
famiglia opposta. Destra e sinistra si presentano, da questo punto
di vista, come idealtipi artificiali, fino a quando non si è
identificato il denominatore che si presume esser loro comune.
Ma che cosa vi è di comune, ad esempio, tra la destra liberale e la
destra controrivoluzionaria, tra Guizot e Bonald, tra Veuillot e
Tocqueville? E, specularmente, quale sarebbe la validità operativa
di un concetto di "sinistra" che inglobasse sia Léon Blum che
Stalin, sia Jospin che Pol Pot?
Per studiare seriamente il problema che Lei solleva, bisognerebbe
inoltre introdurre una periodizzazione. Contrariamente a quanto
generalmente si crede, in Francia i termini di destra e sinistra si
sono imposti solo molto tardi. Ancora verso il 1890, il termine
"sinistra" non sta ad indicare niente al di là dei radicali, e quando
si leggono Proudhon, Blanqui, Benoit Malon o Pierre Leroux ci si
accorge rapidamente che quei propagandisti e teorico del
socialismo non si considerano affatto appartenenti a "la sinistra".
Nello stesso periodo, neppure i controrivoluzionari, i monarchici o
i bonapartisti si vedono come dei rappresentanti de "la destra". Al
tempo si parla semmai di "radicali" e "conservatori", di
"intransigenti" e "reazionari", di "bianchi" e "blu", di
"repubblicani" e "monarchici", di "riformisti" e "rivoluzionari" e via
dicendo. In realtà, solo a partire dal periodo in cui è primo
ministro Combes (1902-1905) i termini "destra" e "sinistra"
escono dall
uso puramente parlamentare per acquisireun
accezione politico-ideologica di portata più generale. Il loro usosi imporrà definitivamente all
indomani della Prima guerramondiale, e soprattutto negli anni trenta (il Fronte popolare si
presenta esplicitamente come il punto di raccolta delle forze di
sinistra). Fare un uso retroattivo della dicotomia sinistra-destra,
come fa ad esempio René Rémond quando parla del XIX secolo,
significa cadere nell
anacronismo. altro canto, contrariamente a quanto Lei sembra credere, dopoil 1945 non è la destra radicale quella che esita maggiormente a
dirsi "di destra", ma, al contrario, la destra moderata. In Italia,
un pensatore della destra radicale come Julius Evola si è sempre
richiamato a "la destra". E ancora: negli anni settanta, la rivista
"La Destra" venne creata negli ambienti vicini al Msi. In Francia,
da questo punto di vista, si è assistito in tempi recenti a una
notevole evoluzione: la destra moderata, che rifiutava
ostinatamente di proclamarsi "di destra" ancora vent
anni fa (inparte per influenza del gollismo), ormai non esita più a ricorrere a
questa autodesignazione. Anzi, di recente è stato creato dall
exministro della Difesa Charles Millon un partito di centrodestra
denominato La Droite.
Infine, capire se la dicotomia sinistra-destra oggi sia superata è
un problema del tutto distinto da quello di stabilire se lo sia
sempre stata. Per quanto mi riguarda, io rispondo
affermativamente solo alla prima di queste domande, pur
dichiarandomi peraltro piuttosto indifferente alle etichette (non mi
occupo del contenitore, ma del contenuto). Se oggi tendo a
collocarmi al di fuori della dicotomia sinistra-destra, è
semplicemente perché ritengo che essa sia diventata obsoleta.
Le ragioni che mi conducono a questa conclusioni sono assai
diverse da quelle a seguito delle quali si è ritenuto di poter
respingere questa distinzione in passato. La mia analisi si basa in
primo luogo sulla riduzione della diversità dell
offerta politica. Iprogrammi dei diversi partiti di governo oggi si rassomigliano
sempre più. Il crollo dei modelli alternativi, e parallelamente del
pensiero critico, ha fatto sì che la classe politica si scontri ormai
molto più sui mezzi che sui fini. La stessa globalizzazione spinge
in direzione di questa riconversione dei programmi e della
scomparsa di qualsiasi dibattito sulle finalità. È quello che viene
chiamato il "pensiero unico". In queste condizioni, le nozioni di
destra e sinistra non hanno più alcun valore indicativo o
descrittivo. I cittadini hanno la sensazione che i rappresentanti
della Nuova Classe dicano tutti più omeno la stessa cosa. Da ciò
discende una crisi della rappresentanza, che si manifesta
attraverso una diserzione della vita civica, un calo della
partecipazione elettorale e un crescente fossato tra il popolo e le
"élites": alla diversità delle aspirazioni popolari non corrisponde
più una parallela diversità delle opzioni storico-sociali. Tutti i
sondaggi dimostrano, quantomeno in Francia, che una porzione
crescente di cittadini non vede più alcuna differenza tra la destra
e la sinistra e usa sempre meno queste etichette per identificarsi.
La logica partitica si sgretola a vantaggio di un voto disperso, che
esprime un desiderio di identità e di riconoscimento, più che una
volontà di identificazione partitica o di allineamento.
Anche i grandi eventi di questi ultimi anni hanno contribuito
all
obsolescenza della dicotomia sinistra-destra. Di fronte allariunificazione tedesca, alla guerra nell
ex Jugoslavia,all
aggressione americana in Iraq, allascesa dellislamismo, allacreazione dell
euro, non si sono registrate una "reazione didestra" e una "reazione di sinistra", bensì una moltitudine di
reazioni diverse, a destra come a sinistra. Queste reazioni si sono
manifestate in maniera trasversale, creando ogni volta nuovi
spartiacque e dando vita a nuove frontiere.
I termini destra e sinistra rimangono di uso corrente nella vita
politica e parlamentare, ma non corrispondono più a niente di
davvero fondamentale. Ciò è tanto vero che, se incontro oggi
qualcuno che si dichiara "di destra", posso a rigore immaginare a
che cosa si oppone, ma certamente non a che cosa fa riferimento.
Sicuramente in questa dicotomia rimane una certa verità
"psicologica" (temperamenti "di destra" e temperamenti "di
sinistra"), ma la cristallizzazione di queste due nozioni nella vita
sociale è, per il momento, molto problematica. Ritengo dunque
che andremo verso altri versanti di frattura. Aggiungerò che
anche lo slogan "né destra né sinistra", che fu lanciato nel 1927
da Georges Valois (a proposito del quale è opportuno non
dimenticare che, prima di morire in stato di deportazione, passò
tutta la seconda parte della sua vita nel campo dell
antifascismomilitante) e che è stato recentemente resuscitato in Francia dal
Front national, mi pare altrettanto vuoto di significato. Per
definire la mia posizione, sarei piuttosto tentato di dire: "
e destrae
sinistra". Il problema, per dirla con altre parole, è quello digiungere a nuove sintesi.
La chassé-croisé destra/sinistra ha attraversato un po’ tutto il Novecento. Gli
utilizzi e le riappropriazioni di quanto era stato elaborato in precedenza nel
campo avversario sono stati numerosi. I fascismi, ad esempio, assimilano dal
movimento operaio la convinzione della necessità dell’organizzazionemobilitazione
delle masse ecc. Sotto quest’aspetto, la guerra civile europea è
stata forse meno "civile" – ovvero meno definita sotto l’aspetto dell’utilizzo
comune di alcuni concetti – di quanto gli schieramenti politico-ideologici
storicamente realizzatisi lasciassero intendere. Tutto sommato, però, il
parassitismo ideologico ha fiorito più a destra che a sinistra: la destra ha
saccheggiato dalla sinistra più concetti di quanto questa abbia recuperato dalla
prima. In fondo, la sinistra ha recuperato dalla destra quasi solo il concetto di
"nazione" e, stando ad una sua opinione, anche quello di "pensiero unico", un
concetto a suo avviso elaborato nella Nuova Destra. Questo parassitismo non
induce a pensare che, malgrado la forte presenza nella cultura nel Novecento, la
Destra abbia denunciato una palese insufficienza teorica – colmata appunto
dalle operazioni di parassitismo ideologico nel campo della sinistra – o pesanti
ritardi rispetto alla capacità della sinistra di cogliere le novità storico-politiche?
La formulazione della Sua domanda è, a mio parere,
essenzialista. Lei ragiona come se esistessero una destra e una
sinistra "ideali", l
una e laltra ontologicamente depositarie di uncapitale di idee che apparterrebbero loro in proprio, il che Le
permette di interpretare il dislocarsi di queste idee (l
incrociointrecciato tra sinistra e destra) in termini di "parassitismo" e di
espropriazione. Ma è proprio questa formulazione ad essere
problematica, esattamente per le ragioni che ho or ora esposto.
Quali sono dunque le idee che apparterrebbero in proprio alla
sinistra o alla destra? Lo storico delle idee fa una grandissima
fatica a rispondere a questa domanda. Il federalismo è di destra o
di sinistra? E l
ecologismo? E il regionalismo? E lantiutilitarismo?La nozione di libertà è di destra o di sinistra? E quella di
solidarietà? In Francia, il partito comunista e la sinistra
"nazionista" (Emmanuel Todd, Pierre-André Taguieff, Max Gallo,
ecc.) si oppongono alla costruzione di qualsiasi entità
sovranazionale europea con lo stesso vigore dell
estrema destradi Jean-Marie Le Pen. E allora, quando si è favorevoli all
Europa,si è di destra o di sinistra? Si vede bene che la risposta a
domande di questo tipo non ha niente di scontato.
La stessa difficoltà la ritroviamo quando si tratta di classificare
non più dei temi o delle idee, ma le opere di un certo numero di
teorici. Prendiamo l
esempio di autori assai diversi fra loro, comeHannah Arendt, Leo Strauss, Simone Weil, Martin Buber,
Emmanuel Mounier, Arthur Koestler, Louis Dumont, Michel
Maffesoli, ecc. Sono di destra o di sinistra? La risposta, anche in
questo caso, non è assolutamente automatica.
Se esistono delle idee "di sinistra" e "di destra", si pone
immediatamente il problema di capire come una famiglia politica
contrapposta a quella che le ha viste nascere (o le ha fatte
nascere) possa appropriarsene. A prima vista, più un
idea èastratta, più è suscettibile di interpretazioni diverse, e dunque
appropriabile. Lei stesso parla di idee che la destra ha "preso a
prestito" dalla sinistra (o la destra dalla sinistra). Bisognerebbe
interrogarsi sul significato della parola "prestito". Essa si
accompagna a una modifica di senso o di contenuto? Se la
risposta è sì, quale ne è la natura, e a quali leggi obbedisce? Se la
risposta è no, come è possibile sostenere che vi sono idee
provviste di uno status di destra e di sinistra? La sinistra è "meno
di sinistra" quando prende a prestito delle idee "di destra"? La
destra è "meno di destra" quando prende a prestito delle idee "di
sinistra"?
Lei dice anche che "la destra ha saccheggiato dalla sinistra più
concetti di quanto questa abbia recuperato dalla prima". Io non
ho questa impressione. Di recente, Pierre Rosanvallon ha
ricordato che la critica che Marx fa dei diritti dell
uomo è moltovicina (sebbene si collochi in una prospettiva differente) a quella
dei teorici controrivoluzionari del XIX secolo, i quali già
rimproveravano alla società borghese di valorizzare l
uomo deidiritti astratti a detrimento dell
uomo concreto. Anche le primegrandi critiche al capitalismo provenivano dai circoli legittimisti.
Anche la critica del sistema del denaro, la critica
dell
individualismo metodologico, la critica della razionalitàstrumentale come modo di reificazione dei rapporti umani, così
come le troviamo oggi condotte da ampi settori della sinistra o
dell
estrema sinistra, hanno origine in riflessioni che,storicamente, si sono espresse in un primo momento a destra. Lo
stesso accade con la critica che la Scuola di Francoforte rivolge
all
ideologia dei Lumi: guardi ad esempio al modo in cui Adorno eHorkheimer interpretano il totalitarismo, considerandolo un
prodotto intrinseco della modernità. Si potrebbe dire lo stesso
dell
ecologismo, che oggi fiorisce soprattutto a sinistra (in Franciai verdi sono alleati del partito socialista) ma che si fonda su una
concezione del rapporto fra l
uomo e la natura e su una criticaradicale dell
idea di progresso che, sia luna che laltra, rimandanosemmai a un
eredità ideologica di destra. Lo stesso si verifica conla critica dell
ideologia del lavoro (André Gorz) o con la critica delproduttivismo, dell
idea del rendimento e della dittatura dellutile,che rimandano innegabilmente a valori (primato del dono dello
scambio, dello spirito disinteressato sull
interesse, ecc.) piùcaratteristici dei tempi premoderni che di una modernità
"illuminata". Altrettanto degno di nota è l
innegabile favore di cuigodono oggi all
interno della sinistra italiana autori come CarlSchmitt, Heidegger o Jünger, tutti autori in genere classificati "a
destra".
Come è possibile dire, in queste condizioni, che "in fondo, la
sinistra ha recuperato dalla destra quasi solo il concetto di
nazione"? Per di più, l
esempio mi sembra particolarmente malscelto, perché nel caso in questione si dovrebbe semmai dire
inverso. Storicamente, infatti, lidea di nazione fa la suacomparsa, in quanto concetto politico, solo al momento della
Rivoluzione francese: sono i soldati di Valmy a gridare per primi
"Viva la nazione!". La nazione, in quanto espressione della
volontà generale, è all
epoca un concetto che si contrapponedirettamente alla sovranità esercitata al re sui suoi sudditi.
Questa è la ragione per cui i primi controrivoluzionari si scagliano
con durezza contro il nazionalismo. Lungi dal potersi parlare qui
di "parassitismo" di un
idea di destra da parte della sinistra,bisognerebbe viceversa studiare il modo in cui l
idea di nazione èprogressivamente passata da sinistra a destra (comportamento
tanto più interessante se si considera che oggi assistiamo,
perlomeno in Francia, a una nuova riappropriazione di questa
idea da parte di una frazione non trascurabile della sinistra). Nello
stesso spirito, si potrebbe altresì ricordare che l
antisemitismo e ilrazzismo moderni sono, in origine, idee di sinistra (si vedano
Ménard, Toussenel, Gumplowicz, Wilhelm Marr, ecc.). Quanto alle
dottrine di tipo eugenetico, sono stati essenzialmente le
democrazie socialdemocratiche e gli Stati Uniti d
America ametterle in atto, prima della Germania nazista.
Se adesso abbandoniamo il campo delle idee per abbordare quello
dei valori, ci imbattiamo nelle stesse ambiguità. I valori
"rivoluzionari" della sinistra (coraggio eroico, solidarietà,
dedizione, sacrificio, spirito disinteressato, ecc.) non sono
nient
altro che valori tradizionali posti al servizio di unaprospettiva diversa o dotati di un altro contenuto.
"insufficienza teorica" della destra è un altro problema.Attualmente, questa insufficienza mi sembra in effetti palese, ma
anche su questo punto sarebbe necessario sfumare e
periodizzare. In Francia, l
ultimo terzo del XIX secolo è unepocadi intensa produzione per i teorici "di destra", mentre il periodo
fra le due guerre è, da questo punto di vista, molto meno ricco.
Le cose vanno allo stesso modo, mi pare, nella Spagna degli inizi
di questo secolo, nell
Italia degli anni venti e nella Germania diWeimar (nel suo libro sulla Rivoluzione conservatrice tedesca,
Armin Mohler censisce non meno di quattrocento autori!).
"insufficiena" di cui Lei parla è dunque del tutto relativa. Quelche si potrebbe dire, in compenso, è che l
uomo di destra è menospontaneamente portata a teorizzare dell
uomo di sinistra cosache io sono il primo a biasimare. Anche in questo caso, vengono
in mente varie spiegazioni. Alla destra in genere ripugna
astrazione, che spesso interpreta come una mutilazione dellavita concreta. Storicamente, essa si è sovente limitata ad opporre
agli avversari la realtà del mondo tale quale è, il che ha potuto
condurla ad essere soddisfatta dell
ordine esistente. Infine, essasi è sempre battuta per dei valori tanto quanto, se non più che,
per delle idee. Posizioni di questo genere non portano
assolutamente a teorizzare. Quando invece si pretende di
contrapporre alla realtà tale quale è, a rischio di cadere
nell
utopia, la prospettiva di un mondo nuovo, il lavoro criticodiventa inevitabile, e con esso la teorizzazione di questa nuova
prospettiva e la dimostrazione del fatto che essa può entrare nel
campo del possibile.
incapacità di cogliere il momento socio-storico che si stavivendo, e di conseguenza le novità che vi si manifestano o vi si
lasciano intravedere mi pare essere il dato maggiormente
condiviso. Tanto la destra quanto la sinistra manifestano, a
questo proposito, una spiacevole tendenza ad interpretare le
novità unicamente in termini di ripetizione, il che le porta ad
entrare nel futuro procedendo a ritroso. I teorici militari credono
sempre che l
ultima guerra permetta di immaginare che cosa saràla prossima. La destra, quando reinterpreta di continuo la guerra
di Spagna, e la sinistra, quando denuncia senza soluzione di
continuità la "rinascita del fascismo", si comportano esattamente
allo stesso modo.
Collocato nel panorama della destra francese – una corrente molto ricca e
agguerrita sotto l’aspetto intellettuale –, a me pare che lei sia l’unico autore con
una chiara impostazione paganeggiante. Anche nelle sue voci più agnostiche
(penso a Maurras), la destra francese ha sempre identificato nazione, razza e
religione. Come avevano teorizzato Drumont e tutti i teorici del nazionalismo, il
buon francese era ariano e cattolico, con la conseguenza che protestanti ed ebrei
erano considerati estranei alla nazione. Nel suo caso, sono fin troppo note le sue
critiche al monoteismo giudaico-cristiano, accusato, per un verso, di avere
distrutto una tradizione occidentale pagana garanzia del pluralismo e della
differenza; per l’altro, e come conseguenza, imputato di avere dato origine,
attraverso la ragione borghese illuministica, ai totalitarismi. A me pare che,
almeno su questo punto, lei e la Nuova Destra abbiate rotto con la tradizione
cattolicizzante francese, assumendo invece come punto di riferimento l’altro
filone della destra europea, appunto quella paganeggiante, che in Francia non
aveva mai avuto diritto di cittadinanza, considerata la germanofobia della destra
francese per certe culture d’Oltrereno. Detto in altri termini, lei mi pare abbia
stabilito certo una rottura con la tradizione culturale della destra del suo paese,
rimanendo però decisamente all’interno dell’orizzonte teorico e culturale della
destra europea. Ad esempio, quando lei, negli anni settanta, accusava il
totalitarismo di essere una realizzazione del monoteismo giudaico-cristiano, non
faceva altro che riprendere quella pagina degli Anni decisivi in cui Spengler
denuncia l’esistenza di un "bolscevismo cattolico" più pericoloso, a suo avviso,
di quello anticristiano, scrivendo che "La teologia cristiana è la progenitrice del
bolscevismo".
È profondamente sbagliato affermare che la corrente
"paganeggiante" non ha mai avuto diritto di cittadinanza in
Francia prima che esistesse la Nouvelle Droite. Al contrario: il
richiamo ai valori dell
antichità greco-romana o celto-germanica,accompagnato ad una critica più o meno marcata dei valori
cristiani, lo si ritrova in numerosi autori, poeti, scrittori o teorici
francesi (così come, nell
ambito anglosassone, in un JohnSteinbeck o in un D.H. Lawrence). Penso in particolare a Leconte
de Lisle, Alfred de Vigny, Elémir Bourges, Edouard Schuré, Ernest
Renan, Hugues Rebell, Jean Giraudoux, Henry de Montherlant,
Louis Rougier e molti altri. Prima di allinearsi all
ordine cattolico,lo stesso Maurras, da giovane, aveva professato, all
epoca diAnthinéa
e del Voyage dAthènes, opinioni assolutamentepagane. Di converso, sarebbe un errore credere che la destra
tedesca si sia richiamata in maggioranza al paganesimo. Come in
Francia, essa si è al contrario richiamata il più delle volte al
cristianesimo, nella sua duplice versione cattolica e protestante. I
piccoli gruppi neopagani che hanno fatto la loro comparsa in
Germania a partire dalla fine del secolo scorso, in genere, hanno
avuto una limitata presa sul pubblico. Il Terzo Reich li ha
progressivamente emarginati, e non di rado perseguitati. Benché
non mi dia assolutamente fastidio uscire dalla "tradizione
culturale" francese
non mi sono mai definito in funzione dellamia nazionalità
, non penso quindi di rappresentare nelpanorama intellettuale francese un caso particolarmente
eccezionale su questo piano. Rispetto a coloro che mi hanno
preceduto, la mia originalità è semmai consistita nel cercare di
dare al riferimento "pagano" dei fondamenti teorici, filosofici o
ideologici che gli mancavano.
Ho frequentemente avuto modo di illustrare il mio punto di vista
in merito al "paganesimo", argomento che ha dato la stura a
polemiche decisamente inutili; quindi non ci tornerò sopra in
questa sede. Comunque, per dissipare ogni equivoco vorrei dire
che per il me il paganesimo non si riduce a una macchina da
guerra contro il "giudeo-cristianesimo" (termine in sé molto
ambiguo, e che non deve mascherare le notevoli differenze che
esistono tra il cristianesimo e il giudaismo). Il paganesimo
definisce in primo luogo un certo sentimento nei confronti del
cosmo, un certo modo di vedere il mondo, fondato sul rifiuto della
distinzione dualistica tra l
essere creato e lessere increato, inquanto essa fa del mondo un oggetto di cui la ragione
strumentale e la tecnoscienza possono impossessarsi. Esso
implica valori di pluralismo e tolleranza, ben diversi in effetti dai
valori cristiani, ma ovviamente non ha bisogno del cristianesimo
per esistere. Al contrario: è stato il cristianesimo, comparso più
tardi, a dovergli fare guerra per imporsi. Da questo punto di
vista, si potrebbe dire che il paganesimo è più a-cristiano che
anticristiano. Aggiungo che il paganesimo non mi ha mai impedito
di riconoscere il debito intellettuale che ho contratto nei riguardi
di un certo numero di autori sia ebrei (Robert Aron, Alexandre
Marc, Ferdinand Lassalle, Martin Buber, Marcel Mauss, Leo
Strauss, Hannah Arendt, Simone Weil) sia cristiani (Léon Bloy,
Georges Bernanos, Charles Péguy).
Per quanto ne so, Oswald Spengler non è mai stato pagano. La
sua critica del cattolicesimo mi pare di ispirazione piuttosto
protestante. L
affermazione secondo cui "la teologia cristiana è laprogenitrice del bolscevismo" è, con ogni evidenza, una
semplificazione: la teologia cristiana è anche la "progenitrice" di
parecchie altre cose. A questo proposito, sarebbe opportuno
riflettere sul processo di secolarizzazione. Sono numerosi gli
autori (da Ernst Bloch e Bertrand Russell a Louis Dumont, da Carl
Schmitt a Alain Daniélou) che hanno interpretato la modernità
come una versione profana della teologia cristiana, in cui la
ricerca della felicità si è sostituita a quella della salvezza e il
futuro ha preso il posto dell
aldilà allinterno della medesimaprospettiva storicizzante unilineare. Questo processo di
secolarizzazione inizia già con Jean Bodin, la cui teoria della
sovranità è una chiara trasposizione dell
assolutismo papale. Dalpunto di vista cristiano, in questo caso si tratta, beninteso, di un
fuorviamento "eretico". Ma va da sé che ogni eresia rimanda in
prima battuta a ciò da cui si è staccata.
È noto che la Nuova Destra nasce, sul finire degli anni sessanta, con l’obiettivo
di aggiornare un bagaglio teorico-politico che, dal 1945, aveva coltivato
soprattutto il mito della nostalgia. Quella era, se si vuole, una "destra del
torcicollo". Facendo un bilancio del suo itinerario intellettuale, crede di avere
salvato o aggiornato qualcosa di quella destra? E visto che lei ha sempre
rivendicato di muoversi al di là della dicotomia assiale destra/sinistra, cosa pensa
di dovere alla cultura della sinistra?
Ho sempre frequentato con eguale interesse quelle che Lei
chiama idee di destra e idee di sinistra. Non mi riconosco,
peraltro, in nessuna delle tre destre (legittimista, plebiscitaria e
liberale) di cui René Rémond ha disegnato il quadro. Quali sono
allora le "idee di destra" delle quali non mi sono mai spogliato?
Probabilmente l
idea che non vi possa essere una vita socialesoddisfacente che non sia strutturata in modo organico, ed anche
idea, che va di pari passo con la precedente, che qualunqueproblema politico debba essere risolto in funzione del suo
contesto. Convinzioni di questo genere rendono allergici ad ogni
visione politica universalista, ad ogni ragionamento in funzione di
un uomo astratto, di un uomo in sé, ma anche a qualunque forma
di etnocentrismo o di razzismo assimilazionista. Non sono invece
incompatibili, ed anzi la presuppongono, con un
idea di naturaumana, di una natura umana che può essere colta solo se viene
assunta nelle sue molteplici incarnazioni: la ricchezza della specie
umana consiste nella sua diversità. Kant sbaglia quando ritiene di
poter fare della ragione un
entità autonoma. Anche la ragione èsempre "situata" (nel senso che assegna a questo aggettivo
MacIntyre) o "incastrata" (nel senso indicato da Polanyi)
all
interno di una tradizione storica e culturale specifica. Con unapproccio piuttosto simile al precedente, Gadamer parla
dell
"orizzonte" allinterno del quale si situa il circolo ermeneutico.Io ammetto quindi un principio di relatività, o di contestualità, ma
respingo qualsiasi metafisica della soggettività. Una società
organica è prima di tutto una società strutturata alla base in
maniera tale da poter incorporare tutte le sue componenti, invece
di escluderne una parte: la vocazione primaria del politico è
organizzazione del vivere (e del voler vivere) insieme. È unasocietà che implica dei corpi intermedi e una continuità di
associazioni a tutti i livelli invece di un faccia a faccia tra uno
Stato onnipotente e una "società civile" sempre più accantonata
nello spazio privato. Ecco, ritengo, quel che continua a collegarmi
a "la destra". A ciò aggiungerei senza dubbio, ancorché questo
elemento sia ben lungi dall
aver contraddistinto tutte le famigliedi destra, una prospettiva risolutamente europea: non mi sono
mai definito come solamente francese.
Il mio debito nei confronti della cultura di sinistra non è così
diverso da quello che mi lega alla cultura di destra. L
ideale di unasocietà organica, meno astratta, meno meccanizzata, più solidale,
è oggi del resto frequentemente rivendicato anche da quella
frazione della sinistra o dell
estrema sinistra la quale riconosceche la problematica dell
esclusione, che conduce alla dissoluzionedel legame sociale, attualmente è più importante di quella del
puro e semplice dominio. (Il capitalismo che sfrutta ha bisogno
della forza di lavoro che sfrutta; la società mercantile che esclude
rende inutile la stessa esistenza di coloro che esclude). La
diversità "di destra" e il pluralismo "di sinistra" possono in tal
modo incontrarsi. Il punto di passaggio è la critica
dell
individualismo, e assieme ad esso limportanza conferita allegame sociale. La differenza risiede nel modo in cui tale legame
viene costituito. Ho smesso di credere da molto tempo che le
società possono essere ordinate soltanto dall
alto, attraversoistituzioni sovraordinate o puri atti di autorità. In questo senso,
ritengo che il sociale (che la destra tende troppo a collocare in
una posizione di dipendenza dall
economico) prevalga sul politico.Non sono un discepolo di Jean Bodin, padre dello Stato nazionale
e di tutti gli statalismi moderni sino al fascismo incluso, bensì un
discepolo di Altusio, primo teorico del principio di sussidiarietà.
Credo che il corpo sociale abbia la sua propria logica, e che non
basti disporre di uno Stato forte (fascismo) o di buone istituzioni
(Maurras) per farlo evolvere nella buona direzione. Sono dunque
debitore alla sinistra di un approccio sociologico che si è
interessato prima di tutto a quella socialità elementare che non si
riduce né allo Stato né al mercato. Credo infine che non esista
nessun
altra legittimità allinfuori di quella che risiede nel popolo.Per riprendere una distinzione proposta alcuni anni fa da Régis
Debray, mi sento di appartenere al campo "democratico" più che
al campo "repubblicano".
Dalla sinistra ho certamente preso a prestito anche un metodo di
lavoro, una maniera di analizzare le idee e i fenomeni storici che
spero sia rigorosa. Nonché un
istintiva simpatia per i popoli vivi,che intendono conservare la loro personalità contro tutte le forme
di dominio coloniale o neocoloniale. Aggiungerei ancora una certa
diffidenza nei confronti delle "élites" che, da almeno due secoli a
questa parte, hanno quasi sempre tradito. Per il resto, che dire? I
temi ai quali sono più legato mi sembrano, come ho già detto,
derivare tanto dalla destra quanto dalla sinistra, si tratti
dell
ecologismo o del federalismo, della critica dellutilitarismo, delrifiuto di una società in cui il modello del mercato servisse da
paradigma alla totalità dei fatti sociali. Riconosco tuttavia senza
alcuna difficoltà che in epoca recente la sinistra (o, per essere più
precisi, una parte della sinistra) ha saputo sviluppare una critica
del liberalismo economico di cui si farebbe molta fatica a trovare
equivalente a destra. La contaminazione della destra da partedelle idee liberali, che sfocia nell
impossibilità di offrireun
alternativa diversa dallaccettazione senza discussioni delmercato o dalla esasperazione convulsa e conflittuale del senso di
identità, è per me uno degli argomenti di riflessione più
preoccupanti.
Lei è stato – e continua ad essere – un acerrimo nemico dell’americanismo,
imputato di essere la realizzazione, non meno totalitaria dei caduti regimi
dell’Est, del monoteismo giudaico-cristiano. Sul suo antiamericanismo credo
non ci siano dubbi. In un saggio lei ha proposto l’alleanza Europa-Terzo Mondo
contro gli USA; in un articolo ha dichiarato di sognare l’"Intifada partout". Il
suo antiamericanismo, ancorché coerente ed esplicito, mi pare però anche
sospetto, o almeno un’arma spuntata per due motivi. Il primo è che mi pare
abbia conservato un orientamento più di destra che di sinistra, nel senso che
privilegia una critica dell’americanismo come modo e costume di vita, piuttosto
che come una forma storica di capitalismo. È un atteggiamento che mi pare
simile alle polemiche contro la borghesia come stile di vita ingenuamente
sviluppate da giovani intellettuali fascisti sul finire degli anni trenta. Il secondo è
che, a ben vedere, l’America costituisce l’altra faccia del superamento della
dicotomia destra/sinistra. Per essere più espliciti: il superamento della dicotomia
destra/sinistra in Europa è rivendicato dalle dittature e dai movimenti fascisti,
mentre in America si realizza in una società liberaldemocratica in cui non
valgono più le distinzioni e le collocazioni politiche. Mi chiedo, dunque, se il
superamento della dicotomia destra/sinistra da lei rivendicato non sia poi
subalterno all’aborrito antiamericanismo.
La critica dell
americanismo è stata storicamente condotta negliambienti politici più diversi. Lei richiama le "polemiche contro la
borghesia come stile di vita" dei giovani intellettuali fascisti. Si
potrebbe parlare anche delle critiche molto simili (e che, per
quanto "ingenue" abbiano potuto essere, erano comunque meglio
di un
assoluta mancanza di critica) che sono state formulate negliambienti comunisti, libertari o gollisti. Tali critiche si collocano
sullo sfondo di prospettive diverse, ma è evidente che si
sovrappongono su un buon numero di punti. L
antiamericanismonon consente quindi, da solo, di stabilire una distinzione tra la
sinistra e la destra. Per quanto mi concerne, contrariamente a
quanto Lei dice, io non separo affatto la critica dell
americanismocome modo di vita dalla critica al capitalismo. L
american way oflife
, con la sua insistenza sulle cose più che sugli uomini, con lasua onnipresenza degli oggetti, con la sua ossessione di ciò che si
esprime in quantità (un mondo in cui niente ha valore ma tutto
ha un prezzo), è una perfetta illustrazione di ciò che Marx dice a
proposito della reificazione (
Verdinglichung) dei rapporti umaniindotta dal capitalismo. Non è del resto un caso che i modi di vita
americanomorfi si diffondano nel mondo allo stesso ritmo con cui
si espande la logica del mercato. Tuttavia è evidente che il
capitalismo, all
interno di ogni cultura, viene a patti con i trattifondamentali della cultura in questione. Anche la mentalità
americana ha la propria specificità, ed è per questo motivo che
essa è esportabile solo sino ad un certo punto. Infine, bisogna
guardarsi in questo caso dal confondere la causa con la
conseguenza. È il capitalismo a comportare un certo modo di vita,
associato a una mentalità specifica, oppure è stata questa
mentalità a produrre storicamente il capitalismo? Come Werner
Sombart, io propendo piuttosto per la seconda ipotesi. Il
capitalismo non è caduto dal cielo. Esso definisce un mondo
strutturato dai valori della classe borghese, dalla sua maniera di
concepire i rapporti sociali, vale a dire da un
antropologia fondataessenzialmente sulla logica dell
interesse (la ricerca da parte degliindividui della loro massima utilità, a detrimento di ogni altra
considerazione). Da questo punto di vista, criticare il modo di vita
americano non significa arrestarsi alla superficie delle cose.
Significa, più probabilmente, mettere il dito su ciò che, nel senso
indicato da Marx ma contrariamente a quel che egli stesso
riteneva, si situa nell
ordine dellinfrastruttura.È curioso che Lei sostenga contemporaneamente che la volontà di
superamento dello spartiacque sinistra-destra è di essenza
"fascista" e, per un altro verso, che l
America è una"esemplificazione" di tale superamento. Si tratta di due
affermazioni contraddittorie (a meno che Lei non consideri
America un paese "fascista", il che a me non sembra). Laseconda confuta infatti la prima. Non capisco molto bene, inoltre,
come il mio desiderio di oltrepassare lo spartiacque sinistradestra
possa essere "condizionato" dal mio antiamericanismo: se
America fosse un esempio di tale superamento, dovrei semmaiessere filoamericano! Per quanto riguarda gli Stati Uniti, mi
sembra in realtà che non si debba tanto parlare di un
superamento, quanto piuttosto di un appiattimento del
cleavagesinistra-destra. Tale appiattimento può essere messo in relazione
con la concezione che gli americani hanno della politica,
concezione estremamente diversa da quella degli europei. Negli
Stati Uniti, la vita politica si basa sullo scontro degli interessi, sul
trattamento dei diritti o sulla negoziazione delle domande e dei
bisogni. In Europa, si svolge invece attorno al concetto di
interesse generale o di bene comune.
Dopo il crollo del sistema sovietico, gli Stati Uniti costituiscono
unica superpotenza del pianeta. Anche se gli americani hannodelle difficoltà nel far fronte ai loro "obblighi" morali, anche se la
loro politica estera oscilla sempre fra l
interventismo e isolazionismo, linfluenza che esercitano nel mondo mi pareeccessiva nel peso e negativa nel contenuto: ovunque si estende
la potenza americana, integrata e sostenuta dalle multinazionali
dell
informazione, delleconomia finanziaria e del divertimento, lesocietà diventano più uniformi e la diversità umana si
impoverisce. Questa situazione mi sembra deplorevole, ma va da
sé che essa rimanda sia alla debolezza e alla mancanza di volontà
di coloro che subiscono tale dominio, sia alla potenza di coloro
che lo esercitano. Non per questo mi raffiguro l
America come ilvolto del male assoluto. Appunto al di là dello spartiacque destrasinistra,
vedo anzi che oggi vi si stanno sviluppando dei fenomeni
sociali ricchi di insegnamenti. Il modo in cui l
ideale del meltingpot
ha ceduto il passo al multiculturalismo (che ne rappresentaper parecchi versi la negazione), lo sviluppo ancora timido di un
movimento comunitarista, o di un certo "populismo di sinistra", la
rinascita di una corrente di pensiero che cerca di ritornare
all
ispirazione strettamente federalista di alcuni dei Padri fondatori(ispirazione abbondantemente tradita dopo l
epoca del New Deal),sono a mio parere tutti fen