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Il libro della settimana: Alessandro Giuli, Il passo delle oche

di Carlo Gambescia - 12/09/2007

Il libro della settimana: Alessandro Giuli, Il passo delle oche. L’identità irrisolta dei postfascisti, Einaudi 2007, pp. 176, euro 14,50

La letteratura su Alleanza Nazionale e sul partito che l’ha preceduta, il Movimento Sociale Italiano, può essere divisa in due principali tronconi. Da una parte gli studi storici e politologici (si pensi agli acuti lavori di Parlato e Ignazi ) e dall’altra la pubblicistica, spesso non banale, (come i densi libri di Solinas, Lanna, Filippo Rossi e Di Lello).
In genere, storici e politologi ne ricostruiscono le vicende per grandi linee, dicendo troppo, mentre i non togati spesso cadono in penose recriminazioni. Perché coinvolti, a diverso titolo, nella storia della destra missina e post-missina, dicendo così troppo poco. Tralasciamo infine una terza categoria: quella della letteratura, anche togata ma di provenienza antifascista, che proprio per il suo carattere “anti”, è da sempre portata a privilegiare (con qualche eccezione), un'ottica di tipo epidemiologico. Ma questa è un’altra storia.
Ora, il libro di Alessandro Giuli, fresco di stampa (Il passo delle oche. L’identità irrisolta dei postfascisti, Einaudi 2007, pp. 176, euro 14,50) a quale categoria appartiene? Sicuramente, e per sua stessa ammissione, alla seconda. Ma diciamo pure, con dignità e qualità di scrittura. Giuli, appena trentenne, promettente giornalista del Foglio, proviene culturalmente dal più serio tradizionalismo evoliano (perciò siamo davanti a un "evoliano" e non a un "evolomane"). Insomma, per farla breve, parliamo di un giovane e preparato intellettuale di destra, che per esperienza diretta, conosce a fondo il mondo di cui scrive.
Purtroppo, proprio questa “gnosi” esistenziale che si mescola intellettualmente, per così dire, alla sua “neognosi” evoliana, influisce, e non positivamente, sulla struttura argomentativa del libro. A voler parafrasare scherzosamente un celebre titolo evoliano - e Giuli non ce ne voglia - ci troviamo davanti ad An vista dalla destra (con appendice sulla cultura storaciana)… Dal momento, che una volta sfrondato il libro dalla pur ricca (e per alcuni fin troppo "sfiziosa") aneddotica, rimane solo l’accusa di Giuli a un’ Alleanza Nazionale, incapace di fare politica, perché ormai priva, nei suoi uomini più importanti, di quello stile o tenuta interiore, così ben delineato, una volta e per sempre, da Evola. Il pensatore, ritenuto da Almirante, ma non sappiamo se sinceramente, il Marcuse della destra missina...
Il riferimento all'importanza dello "stile", dal punto di vista della teoria evoliana non fa una piega, e ha pure, diremmo, una certa algida bellezza. Ma porta fuori strada. Perché l’ impostazione spinge Giuli a liquidare come “situazionista” - e che cos’è il situazionismo se non l’assoluta mancanza di uno “stile” ben individuato... - qualsiasi “appropriazione indebita”, culturale e politica, da parte di An, di elementi postmoderni. Realtà, quella postmoderna, come è noto, già di per sé frammentaria e disorganica. Che può piacere o meno, ma di cui però è necessario prendere atto. Alla stessa stregua di quella che Ortega definiva la “circunstancia” : la “situazione” dove storicamente si è costretti a operare, se non si vuole soccombere, spesso sporcandosi le mani… "Circunstancia", che, considerate la brevità e limitatezza della vita umana nonché il succedersi delle generazioni , è irripetibile, ma anche personale e collettiva al tempo stesso. Seppure con modalità temporali differenti.
Ora, al di là delle vicende di An, un partito che indubbiamente di errori ne ha commessi e ne commetterà ancora, e non solo culturali ( e più avanti il lettore capirà perché), resta il problema del difficile relazionarsi al mondo così com'è, tipico dell'intellettuale, anche serio, di stampo tradizionalista: insistere all'eccesso sull’accusa di situazionismo è fuorviante. Perché significa rimanere ancorati sul piano intellettuale a un atteggiamento da inibente rivolta contro il mondo, questa volta, postmoderno, in nome di un rigido "ethos omerico", come nel caso di Giuli. Mentre si dovrebbe rischiare, volando a vista e di notte, pur di riuscire a costruire un ponte ideale tra Omero da una parte e Ortega e Lyotard dall'altra… Impresa certamente non facile. Imposta però dalla nostra "circunstancia" di posmoderni, ma anche dalla costante necessità intellettuale di evitare estetizzanti torri eburnee o inutili cavalcate su tigri spesso instancabili…
Detto questo, e riposte le auspicate ali notturne nel cassetto, resta un'altra questione da chiarire, che però non riguarda solo Giuli, ma tutti gli “osservatori partecipanti”: l’ottica del “dramma di famiglia” non giova alla comprensione del “dramma storico" e "sociologico" più generale. E spieghiamo perché.
Senza l’improvvisa caduta del blocco comunista, il Movimento Sociale difficilmente si sarebbe trasformato in Alleanza Nazionale. O almeno, non così rapidamente, dal momento che non si sarebbero dissolti preventivamente neppure la Dc e il Psi, lasciando spazi politici, prima impensabili. Di qui la necessità “metodologica” di ricondurre questa metamorfosi - ma si ricordi anche la quasi coeva mutazione di pelle del Pci - nell’alveo di un processo storico e sociologico molto più ampio. Che concerne, non l’inafferrabile e soggettiva coerenza dei singoli all'idea trascorsa, ma le oggettive trasformazione storiche della struttura politica italiana. Quali? Quelle legate alla faticosa nascita di un bipartitismo basato sulla dicotomia conservatori/progressisti, nonché alla complessa ricomposizione storica della destra italiana. Andando oltre, finalmente, la frattura fascismo/antifascismo.
Un processo incominciato nel 1994 e tuttora agli inizi, anche in termini di storia événementielle. Di qui gli inevitabili errori politici, certe incongruenze culturali, se non proprio in alcuni casi, autentiche cialtronerie. Tuttavia, insistere troppo sulle cadute di stile (evoliano) degli “aennini”, significa vedere il famigerato bicchiere mezzo vuoto. Dal momento che come tutti i processi politici, anche la faticosa ricerca di una nuova identità - dando per scontato l’abbandono della vecchia per fisiologiche ragioni di inserimento sistemico - da parte di un forza politica in passato patologicamente discriminata, è oggettivo segno di progresso e non di regresso. Basta sfogliare un qualsiasi manuale di sociologia politica, per capire come invece il bicchiere di cui sopra sia mezzo pieno…
Certo, conoscendo la natura degli uomini, l'esercizio del potere, in senso stretto, attira i “trasformisti” di professione e moltiplica le tentazioni, soprattuto nelle fasi inziali (in termini storici). Ma ciò non significa che la ricomposizione storica della democrazia, timidamente in atto, non possa in prospettiva essere benefica per la società italiana nel suo insieme. Naturalmente siamo consapevoli che l’inserimento sistemico di An, può essere valutato in modo positivo solo da chi abbia raggiunto la piena fiducia nei valori sistemici di riferimento, e nel caso quelli dell’Occidente liberale e capitalistico. Come siamo altrettanto certi che la critica al “sistema” implicante la rivendicazione “programmatica” della purezza ideologica contro il “trasformismo” dei "postfascisti", spetti, sempre parlando sociologicamente, ai gruppi radicali alla destra di An. Diciamo perciò che Giuli si muove ideologicamente tra i due mondi... Tuttavia crediamo pure, che le frange radicali, in alcuni sottogruppi animate - come alcuni ritengono - da “evolomani”, pur apprezzando la pars destruens, non accetteranno mai la pars costruens prospettata da Giuli: fondata, per farla breve, sulla riduzione del legato evoliano, a supplemento etico per democrazie forti post-omeriche. Scelta che i soliti malevoli potrebbe definire più in sintonia con il severo pensiero "neocon" , pur nella sua versione italiana, che con quello di una nostrana e rumorosa destra radicale "antisistemica" ...
Comunque sia, noi forse peccheremo di ottimismo sociologico e storico, ma Giuli, da parte sua, rischia di scontentare tutti: "badogliani" e "antibadogliani", per usare la vecchia terminologia missina… Il che, tuttavia, è segno, soprattutto in un giovane che si apre alla vita professionale, di grande coraggio e onestà.
E non è poco.