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Le piccole apocalissi pedagogiche

di Romolo Gobbi - 12/09/2007

Tutti ormai sanno che i gas prodotti dalle attività dell’uomo salgono in aria e formano uno strato che impedisce al calore della terra di disperdersi nell’atmosfera e la terra si riscalda. Che sia un fatto gravido di conseguenze per l’umanità, è stato dimostrato da migliaia di scienziati di tutto il mondo. Il 6 aprile 2007, i 2500 scienziati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) hanno pubblicato il loro secondo rapporto sulle conseguenze del riscaldamento del clima terrestre in vari settori: “nelle regioni costiere per la minaccia della crescita del livello del mare e il crescente pericolo di fenomeni estremi causati dall’acqua; alle medie latitudini e ai tropici asciutti la riduzione delle risorse di acqua è dovuta alla decrescita delle piogge e alle più intense evaporazioni; alle basse latitudini l’agricoltura risentirà di una riduzione di acqua disponibile”.
Con questo documento in mano, si è riunito a Vienna il 27 agosto di quest’anno la Conferenza dell’ONU sui mutamenti climatici (UNFCCC) per decidere i nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni serra in preparazione alla conferenza che si terrà a Bali alla fine di quest’anno, per fissare i nuovi traguardi del dopo Kyoto, il cui protocollo scadrà nel 2012. La Conferenza si è però arenata a poche ore dalla conclusione perché cinque stati, Svizzera, Giappone, Russia, Canada, Nuova Zelanda, hanno chiesto di stralciare dal testo negoziale ogni riferimento ai tagli delle emissioni di anidride carbonica dal 25% al 40%, giudicandoli eccessivi per gli stati più industrializzati. Angela Merkel, nel tentativo di mediare, ha detto: “una volta che i Paesi in via di sviluppo raggiungano il livello di quelli industrializzati inizierà la riduzione delle emissioni”. Questa dichiarazione, piena di buona volontà e di spirito democratico, è però folle: se i paesi sottosviluppati raggiungessero il livello di industrializzazione dell’occidente, l’inquinamento sarebbe triplicato, con conseguenze inimmaginabili. D’altra parte, non si può dire ai paesi in via di sviluppo di limitare le loro emissioni, soprattutto se non lo fanno i paesi industrializzati. Ad esempio, gli Stati Uniti, che non hanno mai approvato il protocollo di Kyoto, producono da soli il 36%r di tutte le emissioni di gas serra; anche l’Italia, che ha aderito a Kyoto, non è riuscita a rispettare i propri obiettivi, anzi, invece di ridurre le emissioni del 6,5% entro il 2012, le ha aumentate del 18,6%.
Anche il summit del Forum del Pacifico (APEC), tenutosi l’8 settembre 2007 a Sydney, ha approvato un accordo “leggero” contro i gas nocivi. Erano presenti sia paesi industrializzati, come USA, Canada, Giappone, Australia e Russia, sia paesi in via di sviluppo, come Cina e Indonesia: proprio questi ultimi si sono opposti a qualsiasi obiettivo di riduzione delle emissioni, perché: “avrebbe vincolato il loro sviluppo economico”. Tutti d’accordo, dunque, a rinviare qualsiasi impegno vincolante.
Eppure tutti gi anni si verificano piccole apocalissi che dovrebbero confermare le prove scientifiche del cambiamento climatico in corso: dalla canicola del 2003, all’uragano Katrina, al piccolo ciclone verificatosi per la prima volta nell’Europa del nord questa primavera, alla canicola di quest’anno, dimostrata dagli incendi devastanti in tutta Europa. Ciò nonostante, i paesi di tutto il mondo non si decidono a prendere provvedimenti seri per ridurre le emissioni di gas-serra, nonostante tutte la parole sprecate nei convegni e nelle conferenze internazionali. Infatti, ridurre le emissioni è incompatibile con la globalizzazione, con il sistema dello sviluppo a tutti i costi e ovunque. Nessun governo al mondo è disposto a presentare un PIL inferiore a quello dell’anno precedente, nessuna azienda è disposta a presentar un bilancio che verifichi una riduzione di produzione e, soprattutto, di guadagno,
Secondo uno studio dell’UNFCC, una spesa globale di 220 miliardi di dollari l’anno per 25 anni sarebbe sufficiente a ridurre l’effetto serra, che altrimenti produrrà danni pari al 5 – 20% del PIL mondiale. Ma nessuno stato è disposto ad assumersi la quota di spesa necessaria, come nessuna azienda è disposta ad investire ingenti somme per modificare i propri impianti.
Dunque, l’effetto serra continuerà e si farà sempre più sentire e non bastano a fermarlo queste poche righe e le tante scritte dai gruppi ecologisti. Altre apocalissi pedagogiche dovranno verificarsi per far capire la gravità del problema, e, soprattutto, la necessità di cambiare il sistema globale, che non può più tendere allo sviluppo nei paesi avanzati, che devono cominciare invece a pensare ad una decrescita del prodotto interno. Per seguire i consigli della Merkel, di ottenere una parificazione dei livelli di sviluppo, si può ipotizzare di ottenerla anche facendo arretrare il livello di vita dei paesi avanzati.
Altrimenti i venti di guerra diventeranno un ciclone che farà dimenticare la voglia di sviluppo globale e farà concentrare gli sforzi per distruggere il più possibile le economie emergenti, prima che diventino troppo pericolose.