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Home / Articoli / L'alleanza contro Babilonia. Usa, Israele e l'attacco all'Iraq*

L'alleanza contro Babilonia. Usa, Israele e l'attacco all'Iraq*

di Stefano Simoncini - 18/12/2005

Fonte: Il Manifesto

*John K. Cooley. * Elèuthera, 2005, 18,00 euro

In analogia con la vicenda irachena, e a dispetto dei teorici postmoderni della fine della storia, si è recentemente richiamato l'esempio della «Guerra» di Tucidide, classico non a caso prediletto dai «neocon» nordamericani. Pur immerso nella «guerra del Peloponneso», Tucidide cercò di inquadrarla in una visione «universale» che abbracciasse anche i prodromi della guerra greco-persiana, ma soprattutto intese indagare la trama sottesa di cause che determinano il flusso apparentemente disarticolato degli eventi. Poiché il problema di Tucidide non era la storia in quanto storia, cioè il susseguirsi infinito di accadimenti, ma la storia in quanto antropologia, ovvero l'individuazione delle leggi universali che governano l'agire umano «finché la natura umana sarà la medesima» (III, 82,2), e in particolar modo quella macroforma dell'agire umano che può essere definita «imperialismo». Si parva licet, dalla lettura dell'ultima fatica del giornalista statunitense John K. Cooley, L'alleanza contro Babilonia. Usa, Israele e l'attacco all'Iraq, si riemerge un po' frastornati ma con la nitida consapevolezza di aver compiuto un periplo completo intorno a un oggetto storico di proporzioni «mostruose», proprio perché trattato con un piglio tucidideo che riesce a risaltare, nell'ampiezza della contestualizzazione, tutta la «grandezza» dell'evento.
Parliamo infatti di una guerra che, estendendosi ormai nell'arco di tre lustri, e affondando le proprie radici ben addietro, almeno di un decennio, costituisce un ampio ciclo storico sufficientemente definito e complesso da poter essere assunto come cardine interpretativo su cui fondare una nuova lettura del presente e dei suoi attori politici.
Cooley ripercorre agilmente le vicende del Medioriente, e in particolare della Mesopotamia, dalla dominazione assiro-babilonese alla conquista persiana, dal suo offuscamento nell'Impero ottomano alle trasformazioni dettate dal feroce colonialismo inglese e francese nel primo dopoguerra.
Uno dei suoi principali fili conduttori è l'evoluzione del rapporto e dei conflitti tra gli arabi della regione e le comunità ebraiche poi confluite nell'entità statuale israeliana. Anche il corso successivo degli eventi, dalla nascita di Israele a oggi, è tutto narrato, con un'attenzione particolare alla storia palestinese e irachena, attraverso la doppia lente degli interessi politici ed economici di Usa e Israele nelle alterne vicende delle loro relazioni. Emblematiche, in tal senso, le manifestazioni della psicosi israeliana per la minaccia sul fronte orientale rappresentata dall'Iraq, concretizzatesi nei sabotaggi, tra 1980 e 1981, del programma nucleare iracheno con attentati dinamitardi contro le sedi europee delle imprese coinvolte, ma anche con il plateale bombardamento «chirurgico» del reattore in allestimento a Osirak - , nonché nell'azione di contrasto al progetto missilistico Saad 16 nel 1990, che portò all'esecuzione in Belgio, con ogni probabilità da parte del Mossad, del magnate canadese Gerald Bull che lo aveva sostenuto. L'autore riesce così, con pazienza certosina, a sollevarsi dalla cronaca collegando efficacemente fatti e personaggi che in tal modo chiariscono un disegno più ampio e suggestivo. Risulta invece meno efficace quando vorrebbe completare l'affresco con testimonianze dirette, al tempo stesso compiaciute e superflue, atteggiandosi realmente a storiografo classico. Ma tornando proprio all'esempio di Tucidide, possiamo affermare che Cooley, mantenendosi entro i limiti di una storia evenemenziale d'ispirazione anglosassone, quasi interamente giocata su un piano militare e diplomatico, non possiede la capacità di indagare a fondo le leggi nascoste degli eventi, le loro strutturali evoluzioni, e per tale motivo si smarrisce spesso nella complessità del loro fluire. Egli non s'interroga più di tanto sulla funzione complessiva della guerra nel contesto economico americano e globale, sul ruolo dell'industria degli armamenti, sugli interessi molteplici del business iracheno, tra petrolio e ricostruzione, sull'importanza strategica del Medioriente nei rapporti tra Usa da un lato ed Europa e Asia dall'altro. In una parola, Cooley non opera una riflessione tucididea sull'imperialismo americano. Ma anche in relazione all'Iraq, se da un lato Cooley ne descrive un processo storico sfaccettato, senz'altro degno di nota poiché in netto contrasto con l'immagine piatta e incolore della storia e della società irachena che forniscono i media occidentali, egli non penetra realmente nelle trasformazioni socio-economiche e culturali che hanno così profondamente segnato il Paese nel corso del Novecento.