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Come farsi meravigliosamente investire dall’apocalisse di McCarthy

di Mariarosa Mancuso - 12/09/2007

Non si fa vedere da nessuno. Possiamo

solo immaginarlo con un volto alla

Johnny Cash”. Lo annunciava La Stampa,

non più di un mese fa, accomunando Cormac

McCarthy ai grandi invisibili della letteratura

americana, Salinger e Pynchon

(che fece una comparsata nella Springfield

dei Simpson con un sacchetto di carta

in testa, bucato all’altezza degli occhi).

Lo scrittore si era appena fatto intervistare

nel seguitissimo programma tv di Oprah

Winfrey, che aveva scelto “La strada” per

il suo Club del Libro. Sorrideva, cortesemente

rispondeva alle domande, mostrava

la sua bella faccia da ultrasettantenne, rilassato

davanti alla telecamera come uno

che non ha bisogno di ingrugnirsi, figuriamoci

nascondersi, per farsi notare.

“La strada” è il suo ultimo romanzo,

pubblicato da Einaudi nella traduzione di

Martina Testa, dopo un premio Pulitzer e

un milione di copie vendute negli Stati

Uniti. Senza timore di smentite, il libro

più bello dell’anno: spaventoso come la

migliore fantascienza apocalittica, scritto

in una lingua che fa di Cormac McCarthy

l’unico erede di Faulkner, spietato come

una fucilata al cuore, tenero come lo sono

i padri quando cercano di proteggere i figli

dall’inferno dei vivi. Il mondo come

noi lo conosciamo è sparito, alle 11 e 17 di

un giorno e di un anno non precisati. Tra

le macerie, i corpi carbonizzati, qualche

teschio ghignante e grovigli di viscere,

camminano un uomo e un ragazzino. Spingono

un carrello del supermercato, con

uno specchietto retrovisore per non farsi

sorprendere alle spalle dai cattivi. Una tela

cerata antipioggia, pochi barattoli di cibo,

un prosciutto trovato tra i resti di un

affumicatoio garantiscono l’immediata sopravvivenza.

“Non c’è un dopo. Il dopo è

già qui” pensa il padre quando si sdraiano

per dormire abbracciati, temendo risvegli

atroci e sogni che non promettono

nessuna consolazione.

“Siamo noi i buoni?” chiede il ragazzino

nella terra più desolata che c’è. Le virgolette

le abbiamo messe noi. Cormac Mc-

Carthy ha tanta fiducia nella forza della

sua prosa che i dialoghi li piazza sulla pagina

nudi e crudi, senza neanche un “dice”

per introdurli (e chi ha letto il suo romanzo

precedente, “Non è un paese per

vecchi” sa che non c’è il minimo rischio di

smarrirsi o di dover tornare indietro come

accade nei libri che eliminano la punteggiatura

per vezzo sperimentale). “Siamo

ancora noi i buoni?” insiste il figlio, quando

l’orrore sembra arrivato al culmine, sopravanzato

poche ore dopo da un altro culmine,

e le scelte si fanno più atroci. “Certo

che lo siamo”, risponde il padre. Anche

se il sole si sta spegnendo, non per questo

tutto è permesso. “Noi continuiamo a provarci,

a costruire cerimonie con il nulla”.

E magari speriamo che Dio sbuchi da

qualche parte, disposti a inventarlo se proprio

non vuole saperne di mostrarsi.

Leggiamo “La strada” con crescente terrore,

senza riuscire a mettere il libro sul

comodino, spegnere la luce e continuare il

giorno dopo. Passano le ore, la notte avanza,

le apocalissi finora conosciute sembrano

robetta. L’orrore sta in una bombola di

gas che perde, e neanche un pezzo di nastro

adesivo per sigillarla. Sta in una donna,

la madre del ragazzino, che si è sparata

un colpo in testa, perché non sopportava

lo sfacelo. Il figlio dipinge con i pastelli

denti da pescecane sulla garza che gli ripara

il viso dalla cenere, spessa e grigia.

Geniale dettaglio – in questo i grandi scrittori

si distinguono dai mediocri – che spiega

meglio di ogni chiacchiera sociologica

o psicoanalitica il posto, e il compito, dei

maschi nel mondo. Ecco cosa significa, costruire

cerimonie con il nulla. Il figlio fa la

sua parte, anche se nel mondo ormai – il

padre ha fatto tragicamente i suoi conti –

ci sono più castighi che delitti.

“In una manciata di polvere vi mostrerò

lo spavento”, prometteva T. S. Eliot. Cormac

McCarthy aggiunge l’ultima lattina di Coca

Cola, ancora frizzante e divisa in parti

uguali. Il padre ha un attacco di nostalgia.

Il ragazzino l’assaggia e chiede “cos’è?”.