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I talebani pronti al negoziato con Kabul. Ma i muajeheddin non rimarranno a guardare

di Enrico Piovesana - 13/09/2007

Roulette afgana
Domenica scorsa, per l’ennesima volta, il sempre più debole presidente afgano Hamid Karzai è tornato a invitare al negoziato i capi della sempre più forte guerriglia talebana. Il giorno dopo, per la prima volta, il portavoce talebano Qari Yousef Ahmadi ha risposto positivamente: “Se ci viene fatta un’offerta formale, noi siamo pronti a trattare”. Una svolta clamorosa, successivamente confermata e chiarita dalle dichiarazioni anonime rilasciate alla Cbs News da alcuni dei trenta membri della Shura, il Gran Consiglio talebano.
 
TalebaniGli irriducibili di Dadullah in minoranza? “La maggioranza di noi – ha detto uno dei capi talebani afgani – è ormai convinta che dobbiamo sfruttare la nostra attuale posizione di forza sul campo per negoziare un patto che ci garantisca il controllo amministrativo delle province sud-occidentali e sud-orientali”. I talebani, insomma, sarebbero disposti a deporre le armi se il governo accettasse di riconoscere e ufficializzare il loro potere sulle province pashtun che già ora, di fatto, controllano.
Ma, come ha detto questo emiro talebano, c’è una minoranza della Shura che invece non la pensa così: quella degli irriducibili che fanno capo al comandante militare supremo, Mansur Dadullah, ovvero l’ala talebana più legata ad Al Qaeda e al Pakistan. “Il Consiglio, composto in gran parte da comandanti afgani – ha aggiunto il comandante – ha esortato Dadullah a moderare la sua linea, auspicando la rottura dei legami con Al Qaeda e l’avvio di un negoziato con la controparte afgana”.
“Se garantiremo di non consentire ad Al Qaeda di usare il nostro territorio, il mondo non ci percepirà più come una minaccia”, ha dichiarato alla Cbs un altro emiro talebano afgano.
Stando a queste voci, quindi, la svolta negoziale sarebbe frutto di una spaccatura interna al movimento talebano, tra ‘anti’ e ‘filo-qaedisti’. Questi ultimi, però, pur essendo minoranza sono attualmente i più forti, perché sono loro a detenere il comando militare e a poter contare sul sostegno delle retrovie talebane pachistane in Waziristan. Quindi non è scontato che la maggioranza disposta al dialogo la spunterà.
 
Fahim a sinistra e Karzai a destraMujaheddin pronti a riprendere le armi in caso di accordo. Se così dovesse essere, se i talebani tornassero davvero a essere i padroni della metà pashtun dell’Afghanistan con il consenso di Kabul e di Washington, non è affatto detto che la guerra finirà. Anzi, pare certo il contrario. I  mujaheddin tagichi, uzbechi e hazara dell’ex Alleanza del Nord (ora Fronte Nazionale Unito) non esiterebbero a scatenare un'altra guerra civile contro i talebani e, se necessario, contro lo stesso governo Karzai – con il quale sono già in rotta per essere stati gradualmente allontanati da tutti i posti di potere a loro asseganti nel 2002.
Una voce che in Afghanistan circola da tempo e che è stata confermata a PeaceReporter da Akbar Jan, responsabile afgano dell’ong Emergency in Panjsheer e profondo conoscitore delle vicende politiche afgane. “Il maresciallo Mohammed Fahim, comandante dei mujaheddin tagichi, ha pubblicamente detto al presidente Karzai che il giorno in cui i talebani tornassero veramente a comandare, lui darà ordine alle migliaia di combattenti che ancora oggi comanda in tutto il paese di riprendere le armi contro i talebani. Se finisce la guerra tra i talebani e Kabul, inizierà quella tra i talebani e i mujaheddin”.
In Afghanistan la pace pare destinata a rimanere un miraggio.