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1941, Mosca in mano a Hitler

di Riccardo Michelucci - 13/09/2007

La capitale russa stava quasi per soccombere sotto l'assedio tedesco: un libro dello storico Nagorski smentisce la vulgata sovietica

«Compagni! Abbiamo dovuto abbandonare Mosca a causa dei continui attacchi dell'esercito tedesco ma non è tempo di versare lacrime. Torneremo al momento opportuno per liberare la città dall'invasore». Questo drammatico proclama compare su un volantino fatto stampare nell'autunno 1941 in centinaia di migliaia di copie dal famigerato «NKVD», la polizia politica di Stalin. Secondo il Commissariato del popolo per gli affari interni - all'epoca il principale strumento di controllo nelle mani del dittatore sovietico - doveva essere il primo di una lunga serie di comunicazioni e opuscoli prodotti dalla lotta di resistenza contro i nazisti. Invece non fu mai distribuito ed è rimasto sepolto per decenni negli archivi segreti del partito, nascosto attentamente dalla propaganda sovietica preoccupata di salvaguardare il mito della «guerra patriottica» e il buon nome dell'Armata Rossa di fronte a una chiara e inequivocabile ammissione di sconfitta. Se nell'ottobre di 66 anni fa Mosca fosse caduta, l'esito dello scontro sul fronte orientale sarebbe stato ben diverso e avrebbe cambiato il corso della Seconda guerra mondiale. A gettare una luce nuova sul titanico scontro tra Hitler e Stalin, basandosi su documenti appena declassificati dagli archivi sovietici e da testimonianze inedite di sopravvissuti, è oggi lo scrittore Andrew Nagorski nel libro The Greatest Battle: Stalin, Hitler and the Desperate Struggle for Moscow That Changed the Course of World War II. L'inedita ricostruzione che l'editore «Simon & Schuster» sta per pubblicare negli Stati Uniti e in Gran Bretagna smonta un pezzo dopo l'altro la versione ufficiale tramandata da Mosca anche dopo la caduta dell'Urss e dimostra che Hitler fu davvero a un passo dalla conquista della città. Se alla fine la storia prese un corso differente non fu né merito del presunto «genio militare» di Stalin, né della «popolazione eroicamente unita contro l'invasore», come anche Putin ha voluto ribadire in tempi recenti. A determinare l'esito del conflitto fu al contrario la successione di grossolani errori strategici compiuti dai due statisti, mentre la capitale russa rimase a lungo in balia di una tragica sospensione della legge e dell'ordine. Negozi e abitazioni saccheggiate, lavoratori delle fabbriche in sciopero a oltranza, aggressioni per le strade, folle di cittadini inferociti intenti a distruggere oggetti di propaganda del regime e ad assaltare le macchine di chi tentava di scappare. Uno scenario apocalittico e fino a quel momento impensabile in uno stato di polizia come quello creato da Stalin. Il libro di Nagorski, che nel 1982 fu espulso da Mosca dove lavorava come corrispondente per il settimanale Newsweek, assesta un colpo durissimo al mito della «guerra patriottica» parlando anche di centinaia di migliaia di soldati sovietici che si arresero consegnando le armi al nemico mentre la città stava per capitolare. Alla metà di ottobre del 1941, con le truppe naziste alle porte di Mosca, le alte cariche del potere russo erano già fuggite col treno a Kuibyshev, la città sul Volga scelta come base del futuro governo in esilio. Pavel Saprykin, uno dei militari incaricati di preparare il convoglio che doveva portare in salvo anche Stalin, ricorda di aver visto il dittatore avvicinarsi al binario, ma senza salire sulla carrozza. Era il 16 ottobre, il giorno in cui si riteneva che la capitale sarebbe caduta, e decidendo di restare il tiranno dette un segnale chiaro e inequivocabile: l'Urss non intendeva arrendersi. La polizia fu incaricata di sparare a vista contro disertori e saccheggiatori, e di non risparmiare neanche chi fosse semplicemente sospettato di essere una spia. L'ordine - racconta Nagorski - fu così ristabilito con i metodi brutali di sempre ma soltanto i clamorosi errori compiuti da Hitler salvarono la città dall'invasione. Convinto com'era dell'efficacia del famigerato «Blitzkrieg», la «guerra lampo», il dittatore tedesco aveva mandato le truppe in Russia alla fine di giugno senza dot arle dell'equipaggiamento adeguato per superare il terribile inverno russo. E decidendo di attaccare l'Ucraina prima di lanciare l'offensiva finale su Mosca il Führer fece perdere tempo prezioso alle sue truppe, che oltre al freddo si trovarono di fronte anche i 400.000 soldati che Stalin aveva nel frattempo richiamato dalla Siberia. Lo scontro si trasformò in una guerra di logoramento che fece cadere il mito dell'invincibilità dell'esercito tedesco e rappresentò una chiave di volta decisiva dell'intero conflitto. Già autore di saggi e romanzi di grande successo negli Stati Uniti, con questa sua ultima fatica Nagorski si propone di dire l'ultima parola su quello che è stato forse il più gigantesco scontro armato della storia dell'umanità. Dal 30 settembre 1941 al 20 aprile 1942 circa sette milioni di uomini furono impiegati nella battaglia di Mosca (il doppio di quelli che avrebbero in seguito combattuto a Stalingrado), alla fine oltre due milioni e mezzo di persone risultarono morte, disperse o gravemente ferite.