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Cuor di tenore

di Massimo Gramellini - 14/09/2007

Chiede un lettore settantenne, faticosamente sposato a una donna di quaranta: lei cos’avrebbe suggerito a Pavarotti, se anziché sfogarsi con gli amici avesse scritto alla sua posta del cuore? Dipende, caro signore. Se mi avesse «consultato» quando si innamorò della giovane segretaria, avrei cercato nel mio piccolo di dissuaderlo dal farne sua moglie: in amore l’equilibrio è tutto e una coppia in cui uno dei due ha il doppio degli anni e un’estrazione culturale diversa si è già prenotata un biglietto di prima classe per l’infelicità. All’inizio il partner più anziano potrà bilanciare il dislivello con il fascino dei soldi, se è un imprenditore, del talento, se è un artista, e del potere, se è un capufficio. Ma col passare del tempo, colui che si era innamorato della gioventù per esorcizzare la morte vedrà proprio nell’avvicinarsi della medesima un motivo ulteriore di angoscia, di invidia e di gelosia verso una donna che gli sfugge nel modo peggiore: sopravvivendogli.

Forse noi maschi-femmina possiamo ancora reggere questo tipo di stress. Ma i maschilisti della generazione di Pavarotti, abituati a concepire l’amore come un rapporto di forza, non hanno gli strumenti per competere contro la ferocia della giovinezza e si arrendono, regredendo all’infanzia e lamentandosi della giovane moglie come di una despota: con infinito terrore. Perciò, se il Maestro mi avesse scritto negli ultimi mesi della sua vita, gli avrei suggerito di arrendersi all’errore commesso anni prima. Di fare buon viso a cattivo gioco, senza promettere nemmeno a se stesso un divorzio che non aveva più l’energia per gestire.