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Gli Usa bombarderanno davvero l'Iran?

di Alexander Cockburn - 17/09/2007





 

“Stanno per eliminare l'intero esercito iraniano”. Questa asserzione agghiacciante è di Alexis Debat, che riveste l'emozionante carica di “direttore della sezione terrorismo e sicurezza nazionale” presso il Centro Nixon. Secondo Debat, la grande eliminazione è ciò che le Forze Aeree Usa hanno in cantiere, in opposizione al semplice “attacco chirurgico” contro gli ignobili impianti nucleari.

Predire un'imminente guerra in Iran è una delle due questioni all'apice del repertorio di Cassandra già da un paio d'anni, eguagliata solo dal riscaldamento globale come metodo infallibile per vendere giornali e fare salire alle stelle il numero di utenti che visitano i siti internet.

Debat stava tostando nuovamente quella castagna ben abbrustolita, la strategia "Sciocca e intimorisci”, per mezzo della quale nel marzo 2003 le Forze Aeree statunitensi progettarono di annientare l'intero esercito iracheno. All'atto pratico, “Sciocca e intimorisci” si rivelò un clamoroso insuccesso, come tutte le promesse di tale fatta dei comandanti delle Forze Aeree di distruggere l'esercito nemico, fin dalla nascita dei bombardamenti aerei quasi un secolo fa. Tali insuccessi non hanno mai dissuaso le Forze Aeree statunitensi dal tentare ancora una volta, e senza dubbio attualmente circolano presso il governo piani di attacco ben precisi.

Tutto ciò diventerà realtà? Nelle sue memorie, I Claud (che sono lieto di annunciare sarà ripubblicato in primavera da CounterPunch Books/AK Press,) mio padre offre una ricetta utile su questa questione delle previsioni.

Una mattina, mentre ci rilassavamo a colazione presso un braciere sulla terrazza del Café du Dôme, egli [Robert Dell, il corrispondente diplomatico del Manchester Guardian ] mi disse: “Vuoi ottenere ogni giorno quello che solitamente viene definito uno ‘scoop' per il tuo orrendo giornaletto?” ("L'orrendo giornaletto" era, naturalmente, il Daily Worker , di cui io all'epoca ero il corrispondente diplomatico).

“Mi piacerebbe”.

Bene allora, tutto quello che devi fare è leggere tutti i giornali del continente disponibili ogni mattino, pranzare con uno o più dei leader politici o diplomatici europei, decidere quale sia l'azione più vile che, date le circostanze, il governo francese, britannico, italiano o tedesco potrebbe intraprendere, e successivamente, nella tranquillità del pomeriggio, sederti alla macchina da scrivere e buttare giù un articolo che annunci che quello è proprio ciò che hanno intenzione di fare. Non puoi sbagliare. La tua notizia sarà smentita due ore dopo essere stata pubblicata e confermata una volta trascorse ventiquattro ore.

Per cui, tra 24 ore o 24 giorni o in un qualsiasi momento precedente al termine del suo mandato, dovremmo predire che Bush manderà dei bombardieri su Teheran per distruggere i soliti obiettivi - centrali elettriche e infrastrutture civili affini, ospedali, forse qualche rifugio antiaereo stracolmo di donne e bambini.

Ma avverrà davvero?

Nonostante le infinite quantità di storie succedutesi nel corso dei mesi che annunciano un imminente attacco contro l'Iran, io ho nutrito qualche dubbio al riguardo. Nel bel mezzo della caduta dei prezzi dell'edilizia, con la possibilità di un'impennata inflazionistica dal momento che il “pallone del credito” minaccia di esplodere, il governo statunitense vorrebbe davvero vedere salire il prezzo della benzina ai distributori oltre i 5 dollari? Che farebbe Hugo Chavez? Anche un solo singhiozzo proveniente dal Venezuela paralizzerebbe le raffinerie qui presenti, appositamente progettate per il petrolio grezzo venezuelano. La Cina ha grandi interessi in Iran. È anche il banchiere dello Zio Sam. I Cinesi non devono distruggere il dollaro, semplicemente stringere la sua trachea, o rivalutare la loro moneta quel tanto che basta per raddoppiare i prezzi al dettaglio al Wall-Mart. I Repubblicani e i candidati presidenziali non vorrebbero tutto ciò alla vigilia di un anno elettorale.

I Comandi Congiunti del Personale sanno che la guerra in Iraq ha quasi abbattuto l'esercito Usa. Essi non si opporrebbero categoricamente all'idea di un attacco contro l'Iran, che vedrebbe gruppi di resistenza sciiti in Iraq arrestare convogli statunitensi provenienti dal Kuwait mentre trasportano carburante e acqua alle grandi basi statunitensi? Infine le forze sciite nel loro complesso non comincerebbero una campagna per fare sgomberare l'occupante americano? Tutto ciò non distruggerebbe la fantasia che l'aumento delle truppe del generale Petraeus sta funzionando?

Nemmeno il risvolto della medaglia è difficile da individuare. Le compagnie petrolifere vedono di buon occhio una crisi che fa impennare il prezzo del loro prodotto. I Cinesi sono prudenti e non vogliono fare vacillare l'economia mondiale. Da un punto di vista politico, sia loro che la Russia vorrebbero che gli Usa ponessero fine al disastro in Iraq e dessero vita ad un disordine di lunga durata in Iran. Israele vuole un attacco contro l'Iran, e la lobby israeliana detta legge sulla politica estera statunitense. Ciò che Israele vuole, Israele l'ottiene. Il movimento pacifista statunitense è allo sbando, e al suo interno frange di notevoli dimensioni sarebbero liete di vedere piovere bombe sugli ayatollah nemici delle donne e su Ahmadinejad, colpevole di negare l'olocausto.

Nel quadro disastroso della loro strategia relativa al Medio Oriente, Bush e i suoi consiglieri possono fare ricorso ad un ultima azione disperata, resi audaci dal fatto che sono riusciti a vendere bene l'aumento delle truppe, anche se tutto ciò che i Democratici devono fare è citare l'Onu, che afferma che il numero di Iracheni che abbandona le proprie case è passato da 50.000 a 60.000 al mese. O citare l'Associated Press, la quale ha calcolato che il numero di civili iracheni uccisi ad agosto ammonta a 1.809 contro i 1.760 di luglio. La spaccatura tra i Sanniti nella provincia di Anbar non è pensabile che si possa replicare a Baghdad o altrove e in ogni caso non ha avuto niente a che vedere con l'aumento delle truppe statunitensi. Bush non ha osato andare a Baghdad.

Valuta tutto l'insieme, e saresti matto a scommettere che un attacco contro l'Iran non avverrà. Sapevo che Noam Chomsky in passato nutriva dei dubbi sulla possibilità di un attacco Usa, così la settimana scorsa gli ho mandato un'e-mail in cui gli chiedevo se fosse ancora della stessa opinione. Ecco cosa ha risposto.

Sì, io ero piuttosto scettico al riguardo. Lo sono diventato meno nel corso degli anni. Sono disperati. Qualsiasi cosa toccano va in rovina. Corrono persino il rischio di perdere il controllo sul petrolio mediorientale - a favore della Cina, argomento di cui si parla raramente ma che è tenuto in considerazione da ogni ideatore di piani o dirigente di società, se sono sani di mente. L'Iran ha già acquisito lo status di osservatore nell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai – da cui gli Usa sono stati intenzionalmente esclusi. Il commercio cinese con l'Arabia Saudita, anche in campo militare, sta aumentando rapidamente. Con l'amministrazione Bush che rischia di perdere l'Iraq sciita, dove si trova la maggior parte del petrolio (e la maggior parte del petrolio saudita si trova in regioni in cui la popolazione sciita è oppressa duramente), essi possono trovarsi in guai seri.

Considerate le circostanze, è impossibile prevedere cosa faranno. Potrebbero rischiare il tutto per tutto, e sperare di riuscire a salvare qualcosa dallo sfacelo. Se bombardano, sospetto che tale azione possa essere accompagnata da un attacco da terra in Khuzestan, vicino il Golfo, dove si trova il petrolio (e una popolazione araba – lì c'è già un fronte di liberazione Ahwazi, probabilmente organizzato dalla Cia, che gli Usa possono “difendere” dai cattivi Persiani), e dopo possono bombardare il resto del paese fino a ridurlo in macerie. E dimostrare chi è che comanda.

Il movimento pacifista farebbe bene a ricompattarsi, e a non dimenticare che se le bombe dovessero iniziare a cadere su Teheran, gran parte dei Democratici al Congresso si alzerebbero in piedi, applaudendo.

Nota: Una versione ridotta di questo articolo è stata pubblicata su The Nation lo scorso mercoledì.

da counterpunch

Traduzione per Megachip di Eleonora Iacono