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Complottismo a corrente alternata

di Sandro Provvisionato - 18/09/2007





 

Quello che preoccupa chi ancora si illude che il giornalismo sia una professione con qualche dignità - e non un giocattolo consunto in mano al primo bambino capriccioso che passa - è che un giornale ritenuto - forse solo per demerito della concorrenza - autorevole come il «Corriere della Sera» possa pubblicare un' articolessa debole, confusa, piena di errori ma curiosamente preoccupata come quella firmata (senza vergogna) il 9 luglio scorso da Pier Luigi Battista a proposito dell'11 settembre [http://www.zshare.net/image/26207485dfcb35/].

Il sunto dell'articolessa in questione è semplice: il sesto anniversario della tragedia delle due torri newyorkesi si avvicina e il popolo (perché ormai di un vero e proprio popolo si tratta) di chi ha dubbi sulla versione ufficiale di quanto accaduto non solo a Manhattan, ma anche in Pensylvania e sul Pentagono, è pronto a (s)ragionare su nuovi indizi e nuove prove tendenti a demolire proprio quella versione ufficiale. Il che scandalizza il candido Battista, secondo il quale quanto accaduto quell'11 settembre 2001 è chiaro come una mattina di maggio. Non ci sono dubbi per Battista: è assolutamente normale che un gruppo di arabi che non era neppure in grado di far decollare un Cesna (aereo da turismo); che spedisce i bagagli a destinazione (pur sapendo che a destinazione non arriverà mai); che in quei bagagli lascia un elenco di nomi che, guarda caso, corrisponde perfettamente a quelli degli attentatori, sorvoli, con manovre degne del Barone rosso, New York e il Pentagono, sfuggendo a qualsiasi controllo aereo nel Paese più controllato del mondo, e poi colpisca (per due volte) le torri gemelle nel loro punto più debole e, allo stesso tempo, scompaia letteralmente dentro il Pentagono (facendo solo un buco di due metri).

Un giornalismo serio - come ad esempio quello dell'Enrico Mentana di Matrix che all'argomento ha dedicato più puntate, soppesando con grande intelligenza i pro e contro - è sempre pronto a discutere. Un giornalismo alla Battista invece non discute: lancia anatemi verso i "complottisti", mostrando un'ignoranza linguistica senza limiti e dimenticando che, almeno in italiano, "complottista" non è chi i complotti indaga (il che nel giornalismo è sempre meritorio), ma chi i complotti li fa.
D'altronde che Battista sia un orecchiante della materia lo dimostra lui stesso quando scrive che "qualche giorno fa un ministro di Sarkozy, la signora Christine Boutin, ha detto che non è da escludere che ci sia Bush dietro gli attentati dell'11 settembre". In realtà la Boutin questa affermazione l'aveva fatta anni fa, quando non era ancora ministro. E quella frase, spiegata con molta approssimazione, le è stata d'ostacolo proprio nel diventare ministro.

Ma Battista non è in grado di entrare nel merito del dibattito che ormai si protrae, appunto, da sei anni. Non è capace di spiegare perché l'edificio sette del World Trade Center - un grande archivio della Cia - sia collassato all'improvviso, senza cause, assolutamente integro, non essendo stato minimamente interessato né all'impatto, né al crollo di entrambe le torri. Quando un giornalista, a proposito delle demolizioni controllate delle due torri, si chiede "come si fa a trasportare e piazzare strategicamente le 75 tonnellate di esplosivo necessarie per ottenere quegli effetti apocalittici senza che nessun newyorkese si fosse accorto di quell'operazione impossibile da realizzare senza la complicità di migliaia di agenti della Cia impegnati in una zona nevralgica della metropoli per giorni e notti prima di arrivare al fatidico 11 settembre", c'è da dubitare se il tesserino dell'Ordine lo abbia trovato in una confezione di Dash. Ebbene Battista non solo se lo chiede, ma lo scrive. Come se chi trasporta esplosivo lo faccia trainando trolley lungo la Fifth Avenue o spingendo bauli attraverso le street di Tribecca.

Ma, sempre a proposito di esplosivi, Battista di certo non sa che all'interno del WTC, dal 1993, cioè dal giorno del precedente attentato nei sotterranei di una delle due torri, c'è stato un controllo costante di agenti artificieri con al guinzaglio cani antiesplosivo che ispezionavano ogni angolo dell'edificio. E non sa neppure che quel servizio, senza alcun motivo, venne interrotto il 6 settembre 2001, cioè cinque giorni prima di quell'immane tragedia. Ma secondo voi, se anche il Battista fosse a conoscenza di questi particolari, ne saprebbe tenere conto?

Non ci piace mai pensare alla malafede. Ma l'incompetenza è un fatto oggettivo. Quella del giornalista - che del Corriere è anche vicedirettore - la si evince anche da un altro passaggio del suo scritto. Quando si scrive che "un anno fa il settimanale Diario di Enrico Deaglio riportò la notizia che (...) la testata Popular Mechanics aveva pubblicato i risultati di un paziente lavoro di smantellamento dei teoremi complottisti. Numeri, cifre, dati, fatti", si mostra di ignorare che le teorie della rivista Popular Mechanics, finanziata dalla Casa Bianca, sono da tempo dileggiate negli Stati Uniti da fior di docenti universitari e che la stessa rivista, dopo quella improvvida sortita, ha perso in credito e lettori. Cosa che è successa - spiace dirlo - anche al “Diario” diretto da Deaglio il quale, dopo aver lanciato il sasso (questo sì negazionista), ha nascosto la mano e sul settimanale non ha più affrontato l'argomento.

Resta sul gozzo quel termine: "negazionista". Finora riservato a chi ha sostenuto, prima ancora che l'inesistenza, la ridotta portata, in termini di vite umane, dell'Olocausto degli ebrei. Cosa c'entra il negazionismo con l'analisi attenta e documentata di quanto non torna nella ricostruzione di quanto accadde l'11 settembre di sei anni fa?

Battista, che tra le altre cose si picca di essere uno storico, ben dovrebbe sapere che nessuno nega l'eccidio dell'11 settembre. Ma che giornalisti certamente più scrupolosi e attenti di lui hanno colto nella dinamica dei fatti, nel loro svolgimento, in alcune stranezze, in infinite contraddizioni gli elementi necessari a dubitare della versione ufficiale.

Una volta si diceva che il giornalismo doveva essere il cane da guardia che abbaiava al potere. E che a volte doveva anche azzannarlo. Nei testi delle scuole americane di giornalismo spicca ancora la frase, un po' troppo figurata che "il giornalismo deve essere il poliziotto della stradale nello specchietto retrovisore della politica".
Oggi la stampa ufficiale italiana, al massimo, abbaia al potere quando il potere finisce in manette. E in quanto a poliziotti della stradale conosce solo quelli in servizio lungo le autostrade. Nell'esodo (brutta parola) di ferragosto.
E per fortuna che c'è la Rete.

Sandro Provvisionato
Già direttore di Radio Città Futura, ha lavorato 12 anni all'Ansa (da praticante a capo redattore del politico) per poi passare come inviato speciale a L'Europeo e quindi come capo della cronaca al TG5. Per questa testata ha diretto anche la redazione inchieste ed è stato conduttore del tg della notte e inviato di guerra (in Kosovo e in Iraq). Dal 2000, con Toni Capuozzo, è curatore del settimanale Terra! di cui è anche conduttore. È il responsabile degli Speciali del TG5. Direttore del sito <a href= "http://www.misteriditalia.com/" >misteriditalia.com</a>, è autore di numerosi libri

Fonte: Storia in Rete, settembre 2007