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Il raid israeliano è stato una prova generale per un attacco contro l’Iran?

di Peter Beaumont - 18/09/2007


Il mistero circonda l’incursione aerea della settimana scorsa in territorio siriano. Il caposervizio esteri dell’Observer cerca di sbrogliare la verità che sta dietro l'"Operazione Orchard" e le accuse di sotterfugi nucleari




Il capo della aeronautica israeliana, generale Eliezer Shkedi, la settimana scorsa si trovava in visita a una base nella città costiera di Herzliya. Per il cinquantenne generale, che è anche capo del 'Comando Iran' di Israele, che combatterebbe una guerra contro Tehran, se gli venisse ordinato di farlo, si trattava di un qualcosa per stimolare il morale, un modo per socializzare con i piloti e i navigatori che avevano volato durante la guerra contro il Libano durata un mese lo scorso anno. I giornalisti che si erano presentati numerosi erano lì per un’altra ragione: per fare domande a Shkedi su un misterioso raid aereo avvenuto questo mese, il cui nome in codice era 'Orchard' [Frutteto NdT], condotto dai suoi piloti in profondità nel territorio siriano.

Shkedi ha ignorato tutte le domande. Questo ha fissato un modello di comportamento per i giorni successivi, quando lui e i politici e i funzionari israeliani hanno mantenuto un silenzio assoluto, persino quando le domande sono arrivate dal ministro degli Esteri francese in visita, Bernard Kouchner. Quei giornalisti che pensavano di occuparsi della vicenda sono stati scoraggiati dalla minaccia della censura militare israeliana.


Ma le voci circolavano, non solo in Israele, ma a Washington e in altri posti. Nei giorni successivi, i dettagli sommari sul raid sono stati accompagnati da affermazioni contraddittorie, anche quando i funzionari Usa e britannici ammettevano di essere a conoscenza del raid. Il New York Times ha detto che l’obiettivo del raid era un sito nucleare gestito in collaborazione con tecnici nordcoreani. Altri hanno scritto che i jet avevano colpito un convoglio di Hizbollah, una installazione missilistica, o un campo di terroristi.


In mezzo alla confusione, c’erano particolari inquietanti che si erano inseriti nei fatti noti in un modo che metteva a disagio. Due serbatoi sganciabili di un caccia israeliano erano stati trovati appena al di là del confine turco. Secondo fonti militari turche, essi appartenevano a un Raam F15I – l’ultima generazione di bombardieri israeliani a lunga gittata, che hanno un raggio di combattimento di oltre 2.000 km, se attrezzati con i serbatoi sganciabili. Questo li metterebbe in condizioni di raggiungere obiettivi in Iran, il che ha portato a ipotizzare che si fosse trattato di una 'operazione prova' per un raid contro impianti nucleari di Tehran.


Infine, tuttavia, alla fine della settimana, i primi pochi particolari tangibili sulla "Operazione Orchard" stavano iniziando a emergere, da una fonte coinvolta nell’operazione israeliana.


Erano sommari, ma una cosa era assolutamente chiara. Lungi dall’essere una incursione di importanza secondaria, il sorvolo dello spazio aereo siriano da parte di Israele, attraverso il suo alleato, la Turchia, è stata una questione assai più importante, che ha coinvolto otto aerei, tra cui i più ultra-moderni F-15s e F-16s israeliani attrezzati con missili Maverick e bombe da 500 libbre [quasi 227 kg NdT]. L'Observer è in grado di rivelare che, tra i caccia israeliani che volavano a grande altezza, c'era un ELINT – un aereo per la raccolta elettronica di informazioni.


Quello che stava diventando chiaro in questo fine settimana, in mezzo a molto scetticismo, per lo più da fonti collegate all’amministrazione del Presidente George Bush, era la natura dell’illazione, se non dei fatti.


In una serie di fughe di notizie venute fuori poco alla volta da parte di funzionari Usa, che hanno dato l’impressione di essere coordinate, veniva esposta una storia che metteva insieme loschi traffici nucleari e i membri rimasti dell’'asse del male': Iran, Corea del Nord, e Siria.


Essa inoltre metteva insieme una serie di preoccupazioni dei neoconservatori in politica estera: che la Corea del Nord non stava venendo adeguatamente monitorata nell’accordo raggiunto per il suo disarmo nucleare, e si stava sbarazzando del suo materiale passandolo a Iran e Siria, che stavano entrambi, a loro volta, aiutando a riarmare Hizbollah.


Alla base di tutte le accuse c’era un suggerimento che richiamava alla mente le false affermazioni di intelligence che portarono alla guerra contro l’Iraq: che i tre Paesi potrebbero stare collaborando per fornire un’arma non convenzionale a Hizbollah.


Non è solo il raid a essere strano, ma anche, ironicamente, l'aria di mistero voluta che lo circonda, data la storia passata di Israele di vantarsi di raid simili, compreso un attacco contro un reattore iracheno. In effetti, la segretezza è stata talmente stretta che, perfino mentre l’equipaggio israeliano saliva nella cabina di pilotaggio dei suoi aerei, non gli è stata detta la natura dell’obiettivo che gli veniva ordinato di attaccare.


Secondo un esperto di intelligence citato dal Washington Post, che ha parlato con l’equipaggio coinvolto nel raid, l’obiettivo dell’attacco, rivelato ai piloti solo quando erano in volo, era una struttura nel nord della Siria - classificata come un centro di ricerche agrarie - sull’Eufrate, nei pressi del confine turco.


Stando a questa versione degli eventi, una nave nordcoreana, che ufficialmente portava un carico di cemento, era attraccata  tre giorni prima del raid nel porto siriano di Tartus. Si diceva anche che quella nave stesse trasportando attrezzature nucleari.


Si tratta di un'angolatura che è stata spinta al massimo dal falco neoconservatore ed ex ambasciatore Usa presso le Nazioni Unite, John Bolton. Ma altri sono entrati nella mischia, fra loro il Segretario di Stato Usa, Condoleezza Rice, che, senza fare il nome della Siria, ha suggerito alla televisione Fox che il raid era collegato al fermare la proliferazione di armi non convenzionali.


Il più esplicito di tutti è stato Andrew Semmel, vice assistente Segretario di Stato facente funzione per la politica di non proliferazione nucleare, il quale, parlando ieri a Roma, ha insistito che 'nordcoreani erano in Siria' e che Damasco potrebbe aver avuto contatti con 'fornitori segreti' per procurarsi attrezzature nucleari.


'Ci sono indicatori che lì hanno qualcosa in corso', ha detto. 'Sappiamo che ci sono alcuni tecnici stranieri che sono stati in Siria. Sappiamo che potrebbero esserci stati contatti fra la Siria e alcuni fornitori segreti per attrezzature nucleari. Se qualcosa è successo resta da vedere.


'Quindi, una buona politica estera, una buona politica di sicurezza nazionale, suggerirebbe che vi prestassimo molta attenzione', ha detto. "Stiamo sorvegliando molto attentamente. Ovviamente, gli israeliani stavano sorvegliando molto attentamente'.


Ma nonostante le pesanti illazioni, nessun funzionario finora ha rivolto una accusa diretta. Hanno invece circondato le loro affermazioni con 'se' e 'ma', evitando accuratamente il termine 'armi di distruzione di massa'.


C’è stato inoltre un profondo scetticismo riguardo alle affermazioni fatte da parte di altri funzionari ed ex funzionari che conoscono bene sia la Siria che la Corea del Nord. Essi hanno fatto notare che una Siria quasi alla bancarotta non ha né la base economica né quella industriale per sostenere il tipo di programma nucleare descritto, aggiungendo che la Siria ha da molto tempo rifiutato di percorrere la via nucleare.


Altri hanno evidenziato che la Corea del Nord e la Siria in ogni caso hanno anche avuto una lunga storia di stretti legami – il che rende priva di senso l’affermazione secondo la quale i nordcoreani sono in Siria.


C'è scetticismo anche da parte di Bruce Reidel, un ex funzionario dell’intelligence [attualmente] al Saban Center della Brookings Institution, citato dal Post. 'E’ stata una operazione israeliana consistente, ma non riesco a trovare qualcosa che indichi chiaramente se l’obiettivo fosse qualcosa di nucleare', [ha detto], aggiungendo che c’era 'molto scetticismo sul fatto che qui ci sia una qualunque angolazione nucleare', e che invece la struttura potrebbe essere stata connessa ad armi chimiche oppure biologiche.


Ad aumentare l'opacità che circonda la natura di ciò che può essere stato colpito nella "Operazione Orchard" sono state le affermazioni secondo le quali gli Usa sapevano del presunto 'sito agrario' non grazie alla propria intelligence e alle immagini satellitari, ma a materiale fornito a Washington da Tel Aviv negli ultimi sei mesi, materiale la cui conoscenza è stata limitata solo a pochi alti funzionari, su istruzioni del consigliere per la sicurezza nazionale Stephen Hadley, il che ha lasciato molti nella comunità dell’intelligence incerti riguardo alla sua veridicità.


Qualunque sia la verità delle accuse contro la Siria – e Israele ha una lunga storia di utilizzare inganni complessi nelle sue operazioni – il messaggio che Tel Aviv sta mandando è chiaro: se l’alleato della Siria, l’Iran, arriverà vicino a acquisire una arma nucleare, e il mondo non riuscirà a impedirlo, o con mezzi diplomatici o con mezzi militari, allora Israele lo fermerà da solo.


Quindi, l’'Operazione Orchard' può essere vista come una prova generale, un raid che utilizza gli stessi aerei a lungo raggio pesantemente modificati, ottenuti specificamente dagli Usa con in mente i siti nucleari iraniani. Essa ricorda sia all’Iran che alla Siria la supremazia della sua aviazione [ovvero di quella di Israele NdT], e sembra essere fatta apposta per dissuadere la Siria dal farsi coinvolgere nel caso di un raid contro l’Iran – un promemoria, se ce ne fosse bisogno, che, se le forze di terra di Israele sono state umiliate nella seconda guerra libanese, la sua aviazione rimane forte, potente, e senza rivali.


Inoltre, cosa molto importante, il raid contro la Siria è arrivato mentre hanno cominciato a riemergere ipotesi su una guerra contro l’Iran, dopo un’estate relativamente tranquilla.
Con gli Usa ansiosi di spingere per una terza risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che autorizzi un’ulteriore tranche di sanzioni contro l’Iran, sia Londra che Washington hanno fatto salire la temperatura, affermando che stanno già combattendo 'una guerra per procura' con Tehran in Iraq.


Forse più preoccupanti sono le affermazioni basate su fonti informate dei thinktank conservatori negli Usa, secondo cui ci sono state 'istruzioni' da parte dell’ufficio del vice-presidente Dick Cheney per lanciare un sostegno per una guerra contro l’Iran.


Alla fine non c’è alcun mistero. Solo un promemoria che spaventa. In un mondo di minacce per procura e di azioni per procura, la minaccia di una azione militare contro l’Iran è tutt'altro che scomparsa dall’agenda.



(Traduzione di Ornella Sangiovanni)
The Observer