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Home / Articoli / Ultime notizie dal mondo 1-15 Settembre 2006

Ultime notizie dal mondo 1-15 Settembre 2006

di redazione - 20/09/2007

 

 

a)      Italia. Il governo Prodi rinforza il contingente in Afghanistan compiacendo Washington (13). Tutto passa pressoché sotto silenzio. Torniamo, poi, sulla presenza di atomiche statunitensi sul nostro territorio (15).

 

b)     Libano. Per l'elezione del presidente della Repubblica, arriva, a nome dell'opposizione, la proposta Berri (1). Interrogativi, poi, al di là degli scontri tra islamisti filo al-Qaeda ed esercito libanese a Nahr-el Bared (4). Human Rights Watch torna ad accusare pesantemente Israele per la sua aggressione estiva dello scorso anno al Libano (7). Hezbollah intanto prepara le difese per la più volte minacciata ennesima aggressione d'Israele (5). Non manca il fomento dell'intelligence USA (11). Da collegare, al quadro, Israele / Siria all'11 e Siria al 14.

 

b)     Palestina. Abbas vara legge elettorale truffa (3) e dichiara guerra alla rete sociale islamica di assistenza ai palestinesi (5). Lo scontro entra anche nelle aule (1). Giornalista israeliano accusa Israele di apartheid e viene escluso dall'incontro della Federazione Sionista (Israele / Palestina 1). Donne israeliane solidarizzano con i palestinesi (1). E poi al 3 (Barghuti) e sempre al 3 (D'Alema). Altre non meno significative alla voce Palestina (7, 11) e alla voce Israele (10).

 

c)      Iraq. Ancora sulla legge del petrolio (15) e dichiarazione di Greenspan, presidente della Federal Reserve USA per 20 anni (15). I britannici lasciano Bassora (4), la Georgia si appresta ad andare a ruota (14). L'ultimo bilancio a 360° dei morti in Iraq (1). Il rapporto Petraeus (comandante in capo delle truppe USA nel paese arabo occupato) al 7, 8, 11, 14. E ancora al-Sadr (15), il colera (15), l'ONU (6) e storie d'ordinari massacri a stelle e strisce (7).

Sparse ma significative:

·         Francia. Da collegare con il precedente blocco di notizie di agosto [Dove va Sarkozy (28) e i complimenti di Le Pen (8)]: ora Parigi punta a rientrare nelle strutture militari NATO: cfr. 12.

·         Pakistan. Manovre in vista delle presidenziali. Vedi 1, 8, 11, 15.

·         Cuba. Una polemica di Castro contro i "super-rivoluzionari" ed un suo intervento sui fatti dell'11 settembre 2001 negli Stati Uniti.

·         Venezuela. Riforma costituzionale (13) e mediazione tra guerriglia delle FARC e governo colombiano (2). Su quest'ultimo punto cfr. anche Colombia al 4, 7, 11, con il punto sulla situazione nel paese al 13.

·         Argentina. Sacerdote argentino accusa la Chiesa del tempo della dittatura (11 settembre). Fa riflettere, pensando oggi all'atteggiamento della Chiesa nei confronti dell'imperialismo statunitense.

Tra l’altro:

Germania (6 settembre).

Euskal Herria (9, 13 settembre).

Kosovo (9, 13 settembre).

Marocco (11 settembre).

Somalia (7, 13 settembre).

Sudafrica (15 settembre).

Afghanistan (2, 10, 11 settembre).

Iran (12, 14 settembre).

India (3 settembre).

Nepal (3, 7 settembre).

Russia (1, 3, 4, 14 settembre).

Cina (4, 8 settembre).

Giappone / USA (14 settembre).

USA (1, 8, 11 settembre).

Messico (11 settembre).

Haiti (13 settembre).

Brasile (2 settembre).

Bolivia (15 settembre).

. Russia. 1 settembre. Arrestato addestratore delle AUC. L'arresto, qualche giorno fa, a Mosca, riferito dalla Reuters, dell'israeliano Yair Gal Klein, accusato di addestrare vari gruppi paramilitari colombiani di estrema destra delle Autodefensas Unidas de Colombia (AUC), sta facendo emergere curiosi rapporti. Klein era ricercato, come Melnik Ferry e Tzedaka Abraham, anch'essi israeliani, sia per i loro legami con varie bande criminali del "cartello di Calì" (narcotraffico) sia per essersi incorporati con le AUC. Secondo alcuni analisti, i gruppi addestrati da Klein non solo difendevano i narcotrafficanti di Cali e Medellín, ma portavano attacchi anche ad organizzazioni sindicali e sociali, in alcune occasioni in collaborazione con l'esercito colombiano.

 

  • Libano. 1 settembre. La proposta di Berri, se condivisa, potrebbe chiudere la crisi libanese. Ieri, parlando a Baalbek, il presidente del Parlamento, Nabih Berri, ha detto che l'opposizione, guidata da Hezbollah, «non vuole (più, ndr) un nuovo governo o l'allargamento dell'attuale prima delle elezioni presidenziali» e in cambio di questa rinuncia chiede che il nuovo presidente venga eletto, come vuole la Costituzione, con una maggioranza di due terzi dei 128 deputati libanesi e non con una maggioranza del 50% più uno come invece prospettato dai partiti del governo filo-USA di Fuad Siniora. «Una volta raggiunto il compromesso sul principio dei due terzi», Berri convocherà in Parlamento -che non si riunisce dal novembre scorso- i leader politici dei due schieramenti contrapposti per nominare un candidato comune, in sostituzione dell'attuale capo dello Stato, Emile Lahud. «Questa è un'iniziativa puramente libanese», ha sottolineato, alludendo alle interferenze statunitensi che, attraverso il loro ambasciatore a Beirut e il loro alleato druso Walid Jumblatt, continuano a fare pressioni su Siniora per impedire una intesa con Hezbollah. Il Parlamento deve riunirsi tra il 25 settembre ed il  24 novembre per eleggere un successore al presidente Emile Lahud, il cui mandato scade dopo un prolungamento di tre anni, senza che allo stato si scorga chiaramente il suo successore. Lahud minaccia di formare un governo parallelo a quello di Fuad Siniora che da novembre ha sei ministeri vacanti. Nawar Sahili, deputato di Hezbollah, ha affermato che questa proposta è quella di «tutta l'opposizione. Si tratta dell'ultima opportunità. Abbiamo deciso di rinunciare alle nostre rivendicazioni per salvare il Libano».

 

  • Palestina. 1 settembre. Tutte le scuole materne e parte delle elementari saranno gratuite. Per gli insegnanti lo stipendio sale a 2000 shekel (circa 350 euro), più alto di quello che, mediamente, ricevono i loro colleghi in Cisgiordania. L'annuncio è arrivato ieri dal primo ministro a Gaza, Ismail Haniyeh. Il governo in Cisgiordania di Salam Fayyad, sponsorizzato da Stati Uniti e Israele, ha nei giorni scorsi disposto la fine della settimana corta nelle scuole e ordinato agli insegnanti di Gaza di rispettare solo le disposizioni ricevute dalla Cisgiordania. Il governo Fayyad non ha ancora deciso se approvare o meno i risultati degli esami di maturità tenuti a Gaza dopo la presa del potere da parte del movimento islamico, con possibili, ovvie ricadute negative su migliaia di studenti e relative famiglie.

  • Palestina. 1 settembre. A Gaza, metà dei 200mila scolari delle scuole elementari e media inferiori senza libri di testo. Israele ha bloccato l'ingresso di carichi di carta nella Striscia di Gaza perché libri e quaderni non li ritiene «aiuti umanitari». Secondo Tel Aviv sono essenziali solo cibo, medicine e carburante. Dopo le proteste di John Gingel, direttore locale dell'Unrwa, l'Agenzia ONU che assiste i profughi palestinesi, («per le Nazioni Unite l'istruzione e lo svolgimento regolare dell'anno scolastico, sono un bene primario»), Israele ha consentito due giorni fa il passaggio a solo cinque autocarri. Per stampare i libri, però, ci vorranno tra i 30 e i 40 giorni e ciò significa che 100mila studenti per almeno un mese dovranno andare a scuola senza libri.

 

  • Israele / Palestina. 1 settembre. Editorialista di Ha'aretz parla di apartheid e viene escluso dall'incontro della Federazione Sionista. Danny Rubinstein, editorialista del quotidiano israeliano Ha'aretz, non parteciperà alla riunione della Federazione sionista, "I 60 anni d'Israele", in svolgimento in questi giorni a Londra. Rubinstein a Bruxelles ha dichiarato che «Israele oggi è uno Stato d'apartheid con quattro diversi gruppi palestinesi: quelli di Gaza, di Gerusalemme est, della Cisgiordania e i palestinesi d'Israele, ognuno dei quali con uno status differente». Il riferimento è alle discriminazioni -sui diritti di cittadinanza, istruzione e sanità tra gli altri- che i palestinesi, tutti soggetti all'autorità israeliana, subiscono in maniera diversa a seconda del luogo di residenza. Andrew Balcombe, presidente della Federazione Sionista, ha commentato che «criticare la politica d'Israele è accettabile. Ma utilizzando la parola apartheid in una conferenza dell'ONU ospitata dal Parlamento europeo, Rubinstein incoraggia la demonizzazione di Israele e del popolo ebraico». Alcune richieste di «boicottaggio» contro «l'apartheid in Israele» e un forte appello al rispetto della legalità internazionale pronunciati ieri al termine della due giorni di dibattito promossa a Bruxelles dal "Comitato per l'esercizio dei diritti inalienabili del popolo palestinese" (un organismo dell'ONU) hanno fatto infuriare anche le autorità di Tel Aviv.

 

  • Israele / Palestina. 1 settembre. Gruppo di donne israeliane, che monitora i check point nei Territori Occupati, ha portato all'incontro di Bruxelles un video che mostra «come quello dei posti di blocco rappresenti ormai solo la punta di un iceberg». «La vita dei palestinesi», sostengono, «è regolata da un sistema di permessi delle autorità d'occupazione. Possono spendere fino a metà della propria vita negli uffici, alla ricerca di un permesso per garantirsi il diritto alla mobilità».

 

  • Iraq. 1 settembre. Secondo la rivista francese Navires & Histoire n°43 di agosto, le truppe statunitensi avrebbero subito, dall'inizio della guerra all'Iraq al 7 luglio 2007: 4.469 soldati uccisi, 40.043 mutilati o feriti gravemente; 6.788 sono i disertori e i renitenti. A questo numero vanno aggiunti 215 soldati inglesi uccisi e 2.979 feriti. Inoltre gli altri contingenti hanno subito 194 soldati uccisi e 2.703 feriti. Le agenzie dei contractors e dei mercenari hanno subito, su 32.000 presenze al 7 luglio 2007, 4.888 morti (ufficialmente 912 e 7.820 feriti). Gli iracheni hanno avuto 342.207 morti entro il 7 luglio 2007: 39.893 i soldati e i miliziani uccisi dal 1 maggio 2003 al 7 luglio 2007. I guerriglieri morti in combattimento o per le ferite riportate sono 28617. I civili uccisi dal 1 maggio 2003 al 7 luglio 2007 sono 150.596 e altri 153.300 a causa delle condizioni generali imposte dalla guerra. Inoltre dal 1 maggio al 7 luglio 2007 gli statunitensi hanno subito la perdita di 302 soldati, 1 cacciabombardiere F/-16 'Fighting Falcon', 1 elicottero d'attacco 'Super-Cobra', 10 elicotteri di diverso tipo, 4 elicotteri 'Kiowa', 8 veicoli blindati 'Bradley', 5 'Stryker' e 1 LAV, 18 veicoli blindati 'Humvees' e due altri veicoli blindati.

 

  • Pakistan. 1 settembre. Già in crisi l'accordo Bhutto-Musharraf. Il punto centrale dell'accordo, sponsorizzato dagli USA, consiste nel sostegno che il partito della Bhutto offrirebbe alla rielezione di Pervez Musharraf per un altro mandato da presidente, in cambio del ritorno in patria della stessa ex primo ministro in esilio (Benazir Bhutto) che potrebbe poi tornare alla guida del governo. Ancora non vi è accordo sui cambiamenti costituzionali per permettere alla Bhutto di diventare premier per la terza volta, né sull'abbandono della guida delle forze armate da parte di Musharraf.

 

  • USA. 1 Settembre. Bush chiede ai suoi alleati di non ritirare le proprie truppe dall'Iraq. In un'intervista al canale australiano Sky News, George W. Bush ha rimarcato che gli Stati Uniti hanno bisogno «di tutti gli alleati della coalizione» per affrontare la situazione in Iraq.

 

  • USA / Taiwan. 1 settembre. L’influente "think tank" (pensatoio) Heritage Foundation propone al Congresso degli Stati Uniti di avviare negoziati per un accordo di "libero scambio" con Taiwan. Da tre decenni l'isola è uno dei principali partner commerciali degli Stati Uniti, e l’eventuale stipula dell’accordo permetterebbe ai produttori statunitensi di aumentare l’esportazione dei loro prodotti e di legare maggiormente a sé il governo di Taipei, rendendolo economicamente più svincolato e meno ricattabile da Pechino. Proprio il fattore Cina è quello che sinora ha impedito a Washington di formalizzare troppo i suoi rapporti economici con Taiwan, ma, sostengono i ricercatori della Heritage, non vi è alcuna barriera legale o alcun accordo che la Cina possa impugnare per impedire un accordo di libero scambio tra Stati Uniti e Taiwan.

  • Afghanistan. 2 settembre. Nonostante il forte impegno militare messo in campo in Afghanistan, la coalizione sembra ancora lontana dall'ottenere l'annientamento della resistenza talebana. L'incapacità di arrivare a una soluzione militare del conflitto comincia a provocare preoccupazione tra i paesi che partecipano alla missione. Ieri il ministro tedesco della difesa ha annunciato che la Germania intenderebbe ridurre il proprio effettivo da 1.800 a 1.400 uomini.

 

  • Brasile. 2 settembre. Il Pt potrebbe non presentare un suo candidato alle presidenziali del 2010. Così si è concluso oggi il terzo congresso del Partido dos Trabalhadores (PT). Lula ha spiegato ai 931 delegati che questo sarebbe l'unico modo per preservare l'attuale coalizione, nel cui seno stanno acquistando sempre più spazio forze moderate come il Partido do Movimento Democrático Brasileiro (che controlla cinque ministeri). Lula, che non potrà ricandidarsi una terza volta, sa che nel partito da lui fondato non vi è nessuno capace di raccogliere sufficienti consensi per vincere la corsa alla massima carica dello Stato. A dicembre le diverse correnti in seno al partito, che continua a definirsi socialista, si confronteranno per eleggere la futura dirigenza. In quell'occasione si saprà qual è la vera anima del Partido dos Trabalhadores: quella di sinistra dell'ex governatore di Rio Grande do Sul, Olivio Dutra, o quella neoliberista del ministro dell'Economia Antonio Palocci.

 

  • Venezuela. 2 settembre. Chávez riceverà un inviato delle FARC per mediare un accordo sui prigionieri. Il presidente del Venezuela, Hugo Chávez, riceverà a Caracas un delegato delle FARC per mediare uno scambio tra combattenti prigionieri della guerriglia nelle mani del governo colombiano di Uribe e la cinquantina di ostaggi che la guerriglia ha in suo potere. Chávez, riferendosi alle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia) ha sottolineato che «è stata molto rapida la risposta e la disponibilità (delle FARC, ndr) di recarsi per colloqui in Venezuela. Ora dipende da loro dire quando e chi sarà l'emissario». Al riguardo, ha manifestato il desiderio che si tratti di Manuel Marulanda Vélez, detto "Tirofiijo", comandante e fondatore delle FARC. «Non so se sarà Marulanda; magari fosse. Ho sempre desiderato di conoscerlo, parlare con lui e fargli delle domande. Lo considero un uomo di grande esperienza. Ma non dipenderà da me, ma dal Segretariato (delle FARC, ndr)». La negoziazione è bloccata per le rigide condizioni del governo. Le FARC hanno chiesto la smilitarizzazione di un settore del dipartimento sud-occidentale della Valle del Cauca, ma Álvaro Uribe si è opposto. Uribe respinge lo «sgombero militare» che esigono le FARC, perché ritiene che significherebbe cedere ad una organizzazione «terrorista», e ribadito il suo rifiuto «al riconoscimento delle FARC come gruppo belligerante».

 

  • Venezuela. 2 settembre. Negoziazione con l'ELN. Nell'incontro avuto con il presidente colombiano Uribe, Hugo Chávez ha offerto il suo paese come sede per le riunioni tra delegati del governo colombiano e della guerriglia Esercito di Liberazione Nazionale (ELN), processo avviato a Cuba nel 2005 e che attualmente vive una fase di stanca. Giovedì l'organizzazione guerrigliera ha affermato, in un comunicato diffuso via internet, che i colloqui sono a un «punto morto». L'ELN sostiene che l'ottavo giro di dialoghi, avviato il 20 agosto scorso a L'Avana, si è concluso con un nulla di fatto perché i delegati dell'Esecutivo colombiano esigono la concentrazione dei guerriglieri in un luogo determinato, fuori dal paese, e la loro identificazione, per verificare un cessate-il-fuoco. Prima di tornare a Caracas, Hugo Chávez ha ricevuto rappresentanti dei familiari degli ostaggi delle FARC così come quelli di alcuni guerriglieri prigionieri.

 

  • Colombia. 2 settembre. In sette anni di governo Uribe, quattro milioni di sfollati interni, il 65% di popolazione in condizioni di povertà, più di 2500 sindacalisti uccisi negli ultimi dieci anni, migliaia di persone scomparse, migliaia di leader dei movimenti sociali, contadini, indigeni e afrocolombiani uccisi. Lo scandalo della parapolitica ha coinvolto già 32 deputati ed un numero indefinito di uomini dello Stato in tutti i suoi apparati accusati di essere legati al paramilitarismo, a conferma di quello che da decenni viene denunciato come terrorismo di Stato. Sul fronte della politica economica sono stati compiuti i passi più importanti per smontare lo Stato di diritto. Le privatizzazioni sono state una delle principali preoccupazioni del governo. Lo scorso 27 agosto è stato il turno anche della Ecopetrol, principale impresa di Stato per quanto riguarda la capacità di generare utili (circa il 30%). Nel 2008 sono programmate le privatizzazioni delle imprese idroelettriche, degli acquedotti, delle imprese di liquori, delle imprese di trasporto di energia e di gas. Ma quello che rende il quadro ancora più inquietante è quanto parzialmente previsto nel "Plan Vision 2019" da poco lanciato. Il governo identifica tra le priorità la continuazione della politica di sicurezza democratica associata alla guerra e alla difesa degli interessi strategici delle grandi multinazionali. Secondo Iirsa (l'iniziativa per l'integrazione delle infrastrutture sudamericane lanciata da Washington attraverso i soldi della BM e di altri istituzioni finanziarie private), la Colombia deve investire nei prossimi sei anni circa 10 miliardi di dollari per creare le infrastrutture necessarie alle multinazionali per sfruttare le risorse del paese, senza nemmeno includere gli immensi costi previsti per realizzare un canale alternativo a quello di Panama e la costruzione delle sue reti nel nord del Pacifico attraverso il progetto chiamato Archimede.

  • Colombia. 2 settembre. Aumenti record delle tariffe dei servizi pubblici, come nel caso dell'acqua arrivata a costare il 250% in più rispetto al 1997. Lo denunciano i comitati per la difesa dell'acqua pubblica impegnati a raccogliere le firme per un referendum che ne blocchi la privatizzazione. A monte ci sono gli accordi firmati dal governo che legano i prezzi delle tariffe a quelle internazionali così come stabilito proprio negli accordi del Plan Puebla Panamà e Iirsa. La maggior parte dei soldi ottenuti con le privatizzazioni e la gran parte del bilancio statale sono invece utilizzati per la politica di sicurezza democratica e per il pagamento degli interessi sul debito, in costante ascesa. Dei 125,7 miliardi di pesos colombiani del bilancio stimato per il 2008, il 46% verrà infatti destinato alla difesa ed al debito; come dire: altri soldi alle multinazionali delle armi, alla finanza internazionale e soprattutto altra guerra contro i colombiani. Nella sua relazione annuale il Moody's, l'agenzia di rating internazionale, attraverso la vicepresidente Alecci ha definito pochi giorni fa fondamentale il ruolo della politica di sicurezza democratica imposta da Uribe che ha finalmente dato garanzie agli investitori internazionali che possono investire in Colombia, avendo un rischio paese molto più basso. Il Moody's arriva persino ad esprimere preoccupazione per il 2010 anno in cui Uribe non potrà più essere eletto per un terzo mandato così come previsto dalla Costituzione, augurandosi una continuazione dell'attuale politica.

  • Russia. 3 settembre. Elezioni parlamentari per il 2 dicembre. Le ha convocate ieri, con decreto, il presidente russo, Vladimir Putin. Le elezioni alla Duma (Camera Bassa del Parlamento) si celebreranno in accordo ad una nuova legge che prevede che i 450 deputati saranno eletti in liste di partiti, che superino la soglia minima del 7% dei voti. La nuova legislazione proibisce inoltre di formare blocchi elettorali. Secondo una recente inchiesta del Centro Russo per lo Studio dell'Opinione Pubblica, solo quattro partiti avrebbero la possibilità di superare questo 7%: Russia Unita (57%), il Partito Comunista (18%), il recentemente creato Russia Giusta (14%) ed il Partito Democratico Liberale di Russia (11%).

 

  • Palestina. 3 settembre. Abbas annuncia una nuova legge elettorale per favorire Al Fatah nel confronto con Hamas. Si tratta dell'ultimo tentativo, in ordine di tempo, dello screditato dirigente palestinese per cercare di marginalizzare la formazione vincitrice delle ultime elezioni ritenute «democratiche» anche da parte di chi ha storto la bocca alla vittoria di Hamas. In conferenza stampa, insieme al rappresentante dell'Unione Europea per la politica estera, Javier Solana, Abbas ha dichiarato che il suo decreto modifica la precedente legge elettorale, che si basava su un sistema misto: proporzionale, con liste chiuse, e maggioritario, per distretti. La nuova legge elettorale conforma un unico sistema, totalmente proporzionale, con il che «tutti i territori palestinesi sono inglobati in un'unica circoscrizione», ha dichiarato il portavoce di Abbas, Mohamed Edwan. Con il suo decreto anti-democratico il partito del presidente palestinese Mahmud Abbas, sostenuto da Israele e Stati Uniti, potrà indire elezioni sedicenti democratiche anche a fronte di un boicottaggio di Hamas. Anche se a Gaza non si votasse, basterebbe che ciò avvenisse in Cisgiordania.

 

  • Palestina. 3 settembre. Nel nuovo tentativo di marginalizzare Hamas, infatti, il decreto di Abbas impone ad ogni candidato di «rispettare il programma dell'OLP» e gli accordi firmati con Israele. La Resistenza Islamica ha respinto la nuova legge elettorale, che ha definito «illegale». Il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri, ha spiegato che Abbas «non ha alcun diritto a modificare la legge palestinese e ad ordinare nuove elezioni senza un accordo con Hamas». Con la legge elettorale attuale, la metà dei membri del Parlamento (66 su 132) si eleggono in 16 circoscrizioni di Cisgiordania e Striscia di Gaza. L'altra metà con lo scrutinio proporzionale di lista. In conferenza stampa Abbas ha detto che come presidente dell'ANP (Autorità Nazionale Palestinese) ha l'«autorità per promulgare leggi» per decreto «giacché il Consiglio Legislativo (Parlamento, ndr) non può adempiere alle sue funzioni». Solo il Parlamento ha l'autorità di emendare la legge elettorale e visto che l'assemblea palestinese è dominata dai deputati della lista islamica, Abu Mazen ha aggirato il problema facendo continuo ricorso ai decreti, tra abusi e violazioni della legalità. Da più di un anno il Parlamento palestinese non celebra sessioni con normalità giacché Israele ha sequestrato una trentina di deputati di Hamas. Un'operazione, quella disposta dal governo israeliano, che non ha sollevato alcuna protesta internazionale e che serve a fare da sponda al lavoro sporco del servizievole Abbas.

 

  • Palestina. 3 settembre. Barghuti si schiera contro Hamas. Dalla prigione israeliana dove sconta una condanna a cinque ergastoli, Marwan Barghuti, il leader più popolare di Fatah, dà il suo "ok" a elezioni anticipate, quale unica strada per uscire dalla crisi. Pressato dai vertici del suo partito, che lo accusavano di non aver preso una posizione ferma sullo scontro in atto con Hamas, Barghuti ieri sera è uscito allo scoperto condannando la presa del potere di Hamas a Gaza, e aggiungendo di temere che «la pugnalata alle spalle» inferta dal movimento islamico, possa ripetersi in Cisgiordania. Parole dure per Hamas, perché Barghuti aveva sempre rappresentato un ponte tra la base di Fatah e il movimento islamico, nel nome della lotta comune contro l'occupazione israeliana. C'è chi ritiene che Barghuti sia stato costretto a schierarsi con il presidente Abu Mazen, dal quale pure è diviso da profonde differenze, specie sui rapporti con Israele e USA.

 

  • Palestina / Italia. 3 settembre. Ieri sera a Ramallah, il ministro degli esteri Massimo D'Alema ha espresso il sostegno del governo italiano al presidente palestinese Mahmud Abbas e ha chiarito che la politica italiana verso Hamas non cambia: resta ancorata a quella europea e alle condizioni poste dal Quartetto (USA, UE, ONU, Russia).

 

  • India. 3 settembre. Scienziati militari hanno sperimentato gas iprite sui soldati indiani. Scopo dell'esperimento era determinare la quantità necessaria per provocare perdite in battaglia. Lo scrive l'edizione di sabato del quotidiano The Guardian, che ha avuto accesso a documenti recentemente declassificati. Gli esperti non hanno però prodotto in seguito riscontri per comprovare se i militari indiani abbiano sviluppato qualche malattia. Il gas iprite, che può causare cancro ed altri mali, fu sperimentato dai britannici per oltre dieci anni, prima e durante la Seconda Guerra Mondiale (1939-1945), in un'installazione militare di Rawalpindi.

 

  • Nepal. 3 settembre. L'esplosione simultanea di tre bombe, in tre zone di Katmandù, causa due morti in Nepal, tredici risultano ferite, sette delle quali in modo grave. Gli attentati sono stati rivendicati dall'Esercito Terai, uno dei gruppi armati che operano nel sud del paese, con una telefonata a Avenue TV. L'autenticità di questa rivendicazione non è accertata, comunque. Le esplosioni hanno riguardato, nella capitale, le immediate vicinanze del quartier generale dell'esercito, il distretto di Balaju e le vicinanze dell'Università Tribhuvan di Kirtipur. Sono i primi attentati a Katmandù da quando il governo nepalese ha firmato l'accordo di pace con la guerriglia maoista, lo scorso mese di novembre.

 

  • Russia. 4 settembre. Kosovo e scudo «non negoziabili». La Russia detta le sue condizioni agli USA e all'Europa. Il ministro degli esteri Lavrov ha riaffermato ieri che ci sono delle «linee rosse non negoziabili». Il ministro ha rimarcato che la Russia non lascerà passare la costruzione dello scudo spaziale e l'indipendenza del Kosovo. Mosca ha utilizzato a luglio il suo potere di veto nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU per fermare una risoluzione che avrebbe garantito l'indipendenza alla provincia della Serbia meridionale a maggioranza albanese. L'inclusione dello scudo spaziale tra gli argomenti non negoziabili segue invece il piano USA di installare un radar in Repubblica Ceca e un sistema missilistico in Polonia parte del suo dispositivo militare.

 

  • Libano. 4 settembre. Tra le macerie del campo profughi palestinesi di Nahr-el Bared restano gli interrogativi. Domenica, nell'ultimo dei 105 giorni di scontri a fuoco tra militanti del gruppo qaedista Fatah al-Islam ed esercito libanese, con centinaia di morti, due punti sono chiari. L'uccisione dei capi di Fatah al Islam lascia intatto il mistero che circonda questa piccola organizzazione (ma ramificata nel paese) e gli aiuti che avrebbe avuto da esponenti del principale partito di governo Mustaqbal e, pare, anche da Bahia Hariri, sorella del «rais shahid», il «premier martire» Rafiq Hariri, assassinato il 14 febbraio 2005 a Beirut. Il sempre ben informato giornalista statunitense Seymour Hersh ad inizio dell'anno scrisse sul New Yorker che circoli sunniti filo-governativi avevano favorito e finanziato (con la benedizione degli USA) gruppi radicali islamici in Libano allo scopo di utilizzarli contro Hezbollah. Per questo motivo il Partito dei Liberi Patrioti, dell'ex generale Michel Aoun, alleato di Hezbollah, ha chiesto che venga fatta piena luce su Fatah al Islam e certe «relazioni compromettenti».

 

  • Iraq / Gran Bretagna. 4 settembre. I britannici lasciano Bassora. Dall'alba di ieri nessun soldato di Sua Maestà occupa più Bassora, la «capitale» del sud sciita e ricco di petrolio dell'Iraq. Gli ultimi 550 militari hanno lasciato il Palazzo, una fortezza fatta costruire da Saddam Hussein, e si sono diretti verso l'aeroporto, fuori città, unendosi alle altre 5mila truppe in quella che rappresenta ormai l'ultima base di Londra in Mesopotamia. Con l'abbandono del principale centro del meridione del Paese, è quasi ultimato il ritiro del secondo contingente militare d'occupazione, quello che assieme agli statunitensi contribuì all'invasione del paese nel 2003, senza avallo da parte delle Nazioni Unite e con la presa in giro dei falsi dossier sulle armi di distruzione di massa dell'ex regime di Saddam mai trovate. I britannici ora aspettano l'ordine di rientro in patria, nel frattempo continueranno ad addestrare le truppe irachene e, ufficialmente, potranno intervenire in combattimento solo su richiesta del governo di Baghdad. Il ritiro -o la ritirata, a seconda dei punti di vista- arriva nel giorno in cui George W. Bush ha per la prima volta parlato esplicitamente della possibilità di ridimensionare l'armata USA in Iraq (circa 160mila uomini). I membri dell'Esercito del Mahdi hanno festeggiato l'evento come una vittoria della milizia che risponde agli ordini del leader sciita Muqtada Al Sadr. «Stavano (i britannici, ndr) andando incontro a una catastrofe e si sono ritirati a causa dei nostri attacchi», ha dichiarato alla Reuters Abu Safaa, combattente dell'Esercito del Mahdi. L'aumento degli attacchi della guerriglia ha causato quest'anno 41 morti tra i soldati britannici, il numero più alto da quando è iniziata la guerra che è costata a Londra 168 vittime in uniforme. Negli ultimi quattro mesi, la guerriglia ha compiuto circa 600 azioni a colpi di mortaio e razzi contro i britannici. Impegnato duramente anche nel sud dell'Afghanistan, l'esercito di Sua Maestà da mesi non riusciva più a sopportare rotazioni al fronte sempre più frequenti e un organico sempre più «stressato».

 

  • Iraq / Gran Bretagna. 4 settembre. «Era ora», ma l'inizio della fine non scalda il Regno Unito. Indifferenza e indignazione per il primo passo verso il disimpegno. «E' una presa in giro. L'esercito è stato costretto militarmente al ritiro e lo vogliono nascondere. Si sono solo mossi dal palazzo all'aeroporto. E' ora che prendano un'aereo e se ne tornino a casa». Lo dice Andrew Burgin di "Stop the War coalition", l'organizzazione che si è erta a portavoce del movimento anti-guerra. Ora si aspetta che Brown, il nuovo capo del governo, presenti pubblicamente il suo piano di ritiro come dovrebbe avvenire ad ottobre. Secondo la commissione di studio sull'Iraq del Foreign Policy Centre, un think-tank laburista sulla politica estera fondata nel 1998 da Tony Blair in persona, nel rapporto finale presentato lo scorso luglio si afferma «che le truppe sul terreno non stanno più offrendo nessun beneficio concreto». Secondo Alex Bigham, estensore del documento, «il ritiro delle truppe dal palazzo di Bassora era ampiamente programmato ma ha anche il significato di una svolta simbolica. Non più attacchi continui con le milizie sciite ma aiuto per la costruzione dell'esercito, e dell'apparato statale». E, a costo di far arrabbiare gli amici statunitensi, «gli USA dicono che noi non siamo attivi. Noi invece pensiamo che sia meglio impegnarsi in operazioni costruttive piuttosto che in attacchi fini a se stessi».

  • Iraq / Gran Bretagna. 4 settembre. Da tempo i più autorevoli generali del Regno Unito stigmatizzavano pubblicamente l'approccio statunitense alla guerra. Critiche giunte negli ultimi giorni a livelli inediti, con il generale Mike Jackson che al Daily Telegraph ha definito l'attuale conduzione delle operazioni USA «intellettualmente un disastro». Il quotidiano The Independent ieri non ha fatto sconti al governo laburista e alla politica di Tony Blair, l'ex premier che scelse di camminare spalla a spalla col suo omologo statunitense Bush nella cosiddetta «guerra al terrorismo» di cui quello iracheno rappresenta il secondo fronte dopo l'Afghanistan. «È l'inizio della fine di una delle più inutili campagne combattute dall'esercito britannico», ha scritto l'esperto mediorientale Patrick Cockburn. Il giornale ha evidenziato come, anche se nominalmente il controllo di Bassora verrà ceduto all'esercito iracheno, a controllare la città saranno le milizie sciite. Per l'International crisis group «la città è controllata dalle milizie, che sembrano più potenti e incontrastate di prima».

  • Iraq / USA. 4 settembre. Il ritiro dei militari di sua maestà dall'ex palazzo di Saddam, che si affaccia sullo Shat al Arab, è un gesto simbolico, visto che la seconda città dell'Iraq era già nelle mani delle forze irachene. L'ira della Casa Bianca è comprensibile, non solo perché si tratta del ritiro del secondo contingente presente in Iraq, ma perché il ritiro britannico lascia scoperto tutto il sud dove transitano tutti i convogli che riforniscono l'esercito statunitense provenienti dal Kuwait. Non solo. Bassora, con il 60% del petrolio iracheno, è la città più ricca del paese e gli USA temono di perdere il controllo dell'oro nero e anche degli sciiti. Nel frattempo tra Stati Uniti e Gran bretagna si è scatenata una rissa di accuse reciproche: il generale Mike Jackson, ex comandante delle truppe britanniche in Iraq, ha descritto il comportamento USA dopo l'invasione una miserevole catastrofe determinata dalla tracotanza e stupidità. Jack Keane, un consigliere di Petraeus, ha risposto attaccando la debole performance delle truppe britanniche a Bassora. Critiche già sentite. Il vero problema è che né Bush né Brown, ma soprattutto Blair, ammetteranno la sconfitta. Bush continua a parlare di successi, mentre per il premier britannico il ritiro era «pre-pianificato e organizzato».

 

  • Cina / USA. 4 settembre. I militari cinesi sono riusciti a penetrare lo scorso giugno nella rete dei computer del Pentagono. A rivelarlo oggi il Financial Times, citando come fonti alcuni «funzionari americani». Il quotidiano afferma di aver saputo che l'esercito di Liberazione popolare cinese è stato individuato da un'«inchiesta interna» del Pentagono come la fonte di un'incursione nel sistema di computer dell'ufficio del capo del Pentagono Robert Gates. Pechino ribatte: si tratta di accuse «irresponsabili» e «totalmente prive di fondamento», che tradiscono una «mentalità da Guerra Fredda». Il Pentagono ha confermato che dopo l'attacco, avvenuto lo scorso giugno, una parte del sistema di computer usato da Gates e dai suoi collaboratori più stretti è stato spento per precauzione, ma non ha indicato responsabili. Le accuse dei funzionari statunitensi seguono a ruota quelle di agenti dei servizi di sicurezza tedeschi che la settimana scorsa, poco prima dell'inizio della visita della cancelliera Angela Merkel a Pechino, hanno rivelato al settimanale Der Spiegel che attacchi informatici contro i siti del governo di Berlino sono stati lanciati dalla Cina. In particolare, le fonti del settimanale hanno indicato che gli autori delle incursioni dei pirati informatici sono partite da Guangzhou e da Lanzhou, due città cinesi con importanti installazioni dell'esercito. La Cina ha aumentato quest'anno del 17,8% le proprie spese militari, affermando che esse sono dirette in gran parte alla «modernizzazione» delle forze armate, rimaste nei primi decenni di comunismo una sorta di grande esercito guerrigliero. Esperti occidentali affermano che la spesa reale è almeno tre volte superiore a quella dichiarata. Una delle fonti del Financial Times ammette che «tutti» nel mondo fanno oggi dello spionaggio informatico ma aggiunge che «il livello dell' attacco» di giugno indica che «la Cina potrebbe essere in grado di disturbare le nostre comunicazioni in un momento cruciale». Lo stesso Financial Times sottolinea che in Cina il controllo su Internet è così stretto che è «impossibile» che un hacker non lavori per il governo. Gli esperti sottolineano che in Cina esistono un alto numero di computer e reti di computer non sicuri e che gli hacker potrebbero facilmente usarli per nascondere la provenienza dei loro attacchi.

 

  • Cuba. 4 settembre. «Veleno puro». Così Fidel Castro bolla i consigli che gli esponenti «della cosiddetta estrema sinistra» danno alla Rivoluzione Cubana. Castro lo scrive nel suo ultimo editoriale, reso noto da Prensa Latina. Secondo l'ipotesi più probabile, il bersaglio polemico è James Petras, autore – insieme al suo collega Robin Eastman-Abaya – di un articolo apparso su Rebelión "Cuba: revolucion permanente y contraddiciones contemporaneas". In particolare Castro critica le posizioni dei "superrivoluzionari" in materia economica: «Non si può prescindere da alcune imprese miste», scrive, «perché controllano mercati che sono indispensabili. Ma non si può neppure inondare con denaro il paese senza vendere la sovranità». E tra i commentatori latinoamericani c'è chi sostiene che il líder máximo abbia voluto frenare, con questo articolo, le aperture del fratello Raúl, che aveva annunciato l'intenzione di incrementare gli investimenti stranieri a Cuba.

 

  • Colombia / Venezuela. 4 settembre. Le FARC salutano positivamente il «grande interesse» di Chávez ed un eventuale dialogo con Marulanda. Raul Reyes, uno dei principali dirigenti delle FARC, ha assicurato che, nell'ambito degli eventuali negoziati per lo scambio tra 45 ostaggi nelle loro mani (tra cui Ingrid Betancourt) e 500 guerriglieri reclusi, «si deve arrivare» a un incontro tra il presidente venezuelano Hugo Chávez e il leader delle FARC Manuel Marulanda. «Sarebbe una riunione storica, utile per tutta la regione e, particolarmente, per il popolo colombiano», ha detto Reyes in un'intervista al quotidiano messicano La Jornada. Reyes ha definito Hugo Chávez «leader di estrema importanza nel continente». «E' un uomo affabile, che sente il dolore del popolo, che lavora per soluzioni, convinto di proseguire le gesta bolivariane. Lui è un bolivariano integro e, come tale, un antimperialista», ha sottolineato. Chávez ha annunciato, nel suo programma televisivo "Aló, presidente!", l'invio di «un nuovo messaggio» a Marulanda. «Spero in una sua risposta e andiamo al più presto a parlare "faccia a faccia" con l'inviato che tu decida», ha rimarcato durante la trasmissione. Da parte sua, l'ELN ha apprezzato il sostegno del Venezuela «ai processi di pace di Colombia» e al dialogo che mantiene con Bogotà, attualmente in fase di impasse.

 

  • Colombia. 4 settembre. Almeno dieci militari colombiani muoiono in un'imboscata della guerriglia delle FARC. E' accaduto ieri in una zona montagnosa del dipartimento di Quindío. Il comandante dell'VIII Brigata dell'Esercito, Jairo Antonio Herazo, ha spiegato ai media che i caduti facevano parte di una pattuglia di un battaglione di alta montagna. L'Esercito ha quindi annunciato la morte in un'operazione condotta domenica nell'est del paese del dirigente guerrigliero Tomás Medina. Una commissione di forensi della Procura Generale si sta recando nella regione selvatica del Vichada per identificare i suoi resti.

 

  • Libano. 5 settembre. Hezbollah starebbe costituendo una nuova linea difensiva a nord del fiume Litani. Lo scrive il Washington Institute. In questo anno di tregua, Israele ha lavorato per rimediare agli errori di leadership politica e militare e Hezbollah per ricostituire il suo potenziale bellico. Simpatizzanti di Hezbollah avrebbero acquistato terreni in quell’area e costruito insediamenti a favore della fasce più povere della popolazione sciita. Sarebbero stati pagati prezzi superiori a quelli di mercato e l’operazione avrebbe interessato anche villaggi in precedenza occupati da cristiani e drusi. Questi insediamenti, sostiene il Washington Institute, sono collegati da una nuova strada che costeggia la riva settentrionale del Litani e che è stata costruita con fondi iraniani dalla "Iranian Organization for Sharing in the Building of Lebanon". Una linea difensiva a tutti gli effetti, con motivazioni precise. Washington Institute rileva che Hezbollah non ha al momento alcun interesse a entrare in contrasto aperto con il contingente ONU Unifil, responsabile solo dell’area tra il fiume Litani e la linea di demarcazione con Israele. Nel caso di ripresa delle ostilità, Hezbollah può fare affidamento su razzi terra-terra in grado di battere obiettivi in territorio israeliano anche se schierati a nord del Litani. Questo potenziale offensivo ha un importante effetto collaterale di deterrenza e si combinerebbe con la robustezza della nuova linea difensiva. A Hezbollah non mancano capacità ed esperienza per predisporre nella maniera più efficace le difese su un terreno che già per sua natura risulta sfavorevole per un eventuale attaccante. Resta da vedere se e quando Israele intenderà riaprire le ostilità. Il leader di Hezbollah, Nasrallah, il 14 agosto scorso lo ha detto chiaramente, ammonendo Israele che se intende riprendere le ostilità (dopo l'aggressione isareliana dal 12 luglio al 14 agosto del 2006), nel sud del Libano si troverebbe di fronte a una «grossa sorpresa», senza però specificarne la natura.

 

  • Palestina. 5 settembre. Guerra alla carità islamica. Abu Mazen, con un decreto, attacca la rete assistenziale islamista, sperando di piegare così Hamas. Il suo obiettivo è chiudere 103 organizzazioni non governative (ong) che hanno costituito la spina dorsale degli islamisti e permesso loro di trasformarsi da movimento religioso in partito e vincere le elezioni del 2006. Il ministero dell'interno di Ramallah nei giorni scorsi ha deciso di sciogliere 103 ong con sede in Cisgiordania ma che operano anche a Gaza, per presunte «violazioni amministrative, finanziarie o legali» della legge che regola la loro attività. I primi sigilli sono attesi per la prossima settimana. Dopo aver dichiarato (il 14 giugno scorso) lo stato d'emergenza, Abu Mazen aveva emesso un decreto che attribuisce al titolare degli interni il potere di «prendere tutte le misure necessarie riguardo alle associazioni e alle organizzazioni non governative, incluse la chiusura, la correzione di status, o qualsiasi altra misura». Hamas, fondata nel 1987 come branca palestinese della Fratellanza musulmana egiziana, si è guadagnata la fiducia, e la fede, di parte della società dei Territori occupati proprio grazie a queste associazioni, che forniscono un'assistenza di base per gli strati più poveri della popolazione, 1,6 milioni di persone che vivono in una delle aree più densamente popolate della terra, da cui è impossibile uscire senza il consenso israeliano. Una stima precisa dei palestinesi assistiti da queste ong è difficile, ma si tratta certamente di migliaia di persone. Senza di loro la gente vivrebbe peggio, molti non avrebbero nemmeno da mangiare. Le ong coprono quegli spazi che il governo non riesce a riempire, per inefficienza o mancanza di fondi: assistenza agli orfani, alle famiglie bisognose e ai prigionieri, tra gli altri.

 

  • Germania. 6 settembre. Perquisire on-line i computer dei cittadini. E' questa l'ultima trovata del ministro degli Interni, Wolfgang Schäuble, sempre in nome della "lotta al terrorismo", che sta diventando il pretesto per giustificare progressive strette repressive. Già adesso, in Germania, si può sequestrare ai sospetti il disco fisso, con tanto di mandato del giudice e magari alla presenza di un avvocato. Ma così, obietta il ministro, si mettono sull'avviso i malintenzionati. Lui vorrebbe spiarli di nascosto, scaricando sui loro computer un virus della famiglia dei trojan che legge i dati memorizzati, come i messaggi di posta elettronica, o l'elenco dei siti visitati su internet, e li spedisce silenziosamente al mittente. La stessa prassi, insomma, con cui si rubano i codici per le operazioni bancarie. Tra i critici dell'idea del ministro, c'è chi fa notare che, se si arriva a manipolare i computer per installarvi programmi di spionaggio, si potrebbe installare ogni altro tipo di contenuto possibile. E così, se su un computer si dovessero trovare istruzioni per costruire bombe, ci potrà sempre essere il sospetto che a mandarle possa essere stata con un virus la polizia.

 

  • Iraq. 6 settembre. Nuovo inviato speciale ONU in Iraq, quattro anni dopo il devastante attentato contro la sede delle Nazioni Unite a Baghdad che portò alla morte di de Mello. E' ora la volta del diplomatico svedese Staffan de Mistura. La nomina del nuovo inviato avviene nell'ambito del rilancio del ruolo dell'ONU in Iraq, sancito dalla risoluzione, presentata da USA e Gran Bretagna ed approvata all'unanimità lo scorso 10 agosto dal Consiglio di Sicurezza, che vuole riportare le Nazioni Unite a Baghdad nel tentativo di alleggerire il peso di Washington.

 

  • Somalia. 7 settembre. Riappare lo sceicco Aweys. Il leader delle Corti islamiche di Mogadiscio, lo sheikh Hassan Dahir Aweys, lo fa, per la prima volta in pubblico dopo mesi di assenza, ad Asmara dove si è riunita l'opposizione. Circa 300 delegati vicini al movimento islamico si sono incontrati per dare vita ad un fronte di opposizione all'attuale governo transitorio somalo, nato sotto il tutoraggio di Stati Uniti ed Etiopia. L'assemblea è stata organizzata in opposizione alla conferenza di pace del governo in corso a Mogadiscio per cercare un compromesso politico fra le numerose tribù del paese africano.

 

  • Libano. 7 settembre. Durante la sua aggressione al Libano nel 2006 Israele ha condotto «attacchi aerei indiscriminati» contro i civili, uccidendone a centinaia. E' l'accusa che Human rights watch (Hrw) muove ad Israele. In un rapporto frutto di cinque mesi di indagini, Hrw ha smontato la tesi israeliana dell'uso dei civili come scudi umani da parte di Hezbollah. Moltissimi dei 1.125 morti nella guerra in Libano sono stati colpiti con «spietata indifferenza» nonostante non avessero armi o stessero solo cercando di fuggire. HRW aggiunge che, quando cominciò la guerra, i miliziani e dirigenti di Hezbollah spostarono la maggior parte della loro attività militare sulle montagne e nelle valli adiacenti, difendendo i villaggi quando gli israeliani tentarono di entrare, negli ultimi giorni del conflitto, via terra e furono ricacciati dalla tenace resistenza dei combattenti libanesi. Gli aerei da combattimento isareliano, aggiunge HRW, distrussero deliberatamente le infrastrutture del Libano, inclusi ponti, l'aeroporto internazionale di Beirut, oltre a quartieri popolari. La guerra durò 33 giorni, dal 12 luglio al 14 agosto.

 

  • Palestina. 7 settembre. «Oggi in molti a Gaza hanno pagato con le loro vite per i razzi Qassam». Così il premier israeliano Olmert ha commentato l'escalation di attacchi israeliani che ieri hanno ucciso almeno dieci palestinesi a Gaza, il bilancio più sanguinoso da almeno due mesi.

 

  • Iraq. 7 settembre. Per colpire dei cecchini l'aviazione statunitense distrugge quattro palazzi: almeno 14 i morti. Il raid dell'aviazione è avvenuto nel quartiere di Washash, nella parte occidentale della capitale, dove una pattuglia statunitense-irachena è stata presa di mira da un gruppo di guerriglieri appostati su alcuni edifici. I soldati hanno chiamato in soccorso caccia ed elicotteri, che hanno colpito almeno quattro palazzi, distruggendone due e danneggiando gli altri. Almeno 14 i morti, tra cui ci sarebbe una donna estratta dalle macerie. Un poliziotto che ha chiesto di rimanere anonimo ha riferito all'Associated Press che tutti i morti sarebbero civili.

  • Iraq. 7 settembre. 11 dei 18 benchmarks -gli obiettivi principali da centrare con l'aumento di 30mila uomini mandati in Iraq da Bush sei mesi fa- sono falliti. Lo rileva un'indagine del Congresso USA resa pubblica nei giorni scorsi. Molti analisti politici sottolineavano, ieri, che non a caso Bush ha compiuto l'ultima visita a sorpresa in Iraq parlando della possibilità di ritirare 30mila uomini nella prima metà del 2008 (come ha fatto l'altra sera Petraeus): sarebbe puro spin, il tentativo di far apparire migliorata la situazione sul terreno alla vigilia di un importante dibattito al Congresso che dovrà decidere anche se approvare un ulteriore stanziamento di miliardi di dollari per la guerra.

 

  • Nepal. 7 settembre. Il principale partito del paese difenderà la repubblica. La monarchia nepalese ha incassato due duri colpi con la decisione, dopo un acceso dibattito, del Partito del Congresso, il principale del paese, di ritirarle il suo appoggio e difendere una repubblica federale alle prossime elezioni, nonché l'infarto subito dal principe ereditario al trono.

 

  • Colombia. 7 settembre. Le FARC chiedono ai governi il riconoscimento dello status di belligeranza. In una lettera inviata ai governanti di tutto il mondo, il dirigente delle FARC Raúl Reyes invita ad «aiutare la costruzione della pace con giustizia sociale per la Colombia mediante il riconoscimento dello status di belligeranza» e a smettere di chiamare «terroriste» le FARC. Viene ribadita la disponibilità al dialogo. «Crediamo, come rivoluzionari, nella possibilità di trovare un'uscita politica a questa guerra (...) la costruzione della pace con giustizia sociale per la Colombia mediante il riconoscimento dello status di belligeranza che la nostra organizzazione guerrigliera è andata conquistando attraverso più di 40 anni di resistenza e lotta per i diritti del popolo». Reyes ricorda che tale status è stato riconosciuto durante le fallite negoziazioni con il precedente presidente colombiano Andrés Pastrana ed ha aggiunto che solo con la partecipazione di tutti i colombiani «potremo trasformare la nostra patria dolente in un luogo in cui fioriscano la convivenza pacifica e la libertà». Al riguardo ha sottolineato che «non c'è democrazia dove esiste miseria, e non c'è pace dove esiste oppressione». Reyes ha quindi accusato Uribe di «legalizzare i paramilitari» smobilitati che ha definito come «spietati assassini di migliaia di colombiani». Non casuale, poi, il richiamo di Reyes ai «principi del rispetto all'autodeterminazione e alla sovranità nazionale». Più che a Bogotà, infatti, si decide a Washington. Anche se finora sono stati alla finestra, gli USA sono più che interessati a quanto accade, per ragioni geopolitiche e anche perché le FARC detengono tre loro agenti segreti dal febbraio 2003.

  • Iraq. 8 settembre. Petraeus scrive ai soldati USA: non abbiamo avuto successo. Alla vigilia della sua deposizione di lunedì al Congresso, il generale David Petraeus scrive ai «suoi soldati, marinai, avieri, marines, guardia costa e civili» esprimendo il disappunto per il fatto che le «cose non sono andate come speravamo» negli ultimi mesi in Iraq. In una lettera, pubblicata sul sito Internet del comando di Baghdad, Petraeus riconosce che «sono stati fatti alcuni progressi tattici», ma ammette che «molti di noi avevano sperato in un periodo di tangibili progressi politici per questa estate» ma purtroppo «le cose non sono andate come speravamo».

 

  • Pakistan. 8 settembre. Salta accordo Musharraf-Bhutto, arresti per il ritorno di Sharif. L'ex premier Bhutto aveva acconsentito ad appoggiare l'elezione di Musharraf a presidente del Pakistan, se Musharraf in cambio avesse concesso da un lato agli ex primo ministro (la Bhutto e Nawaz Sharif) di ritornare in patria senza problemi e di potersi ricandidare, dall'altro la possibilità di un terzo mandato ai politici che già per due volte sono stati al capo del governo. Ma ieri è arrivata la doccia fredda, annunciata dal ministro delle ferrovie: «È finita, il presidente ha detto no, non ci