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Università. Perché il numero chiuso non “funziona”

di Carlo Gambescia - 20/09/2007

 

La decisione del Rettore dell’Università di Bari di far ripetere i test di ingresso alla Facoltà di Medicina non significa assolutamente, come registrano ipocritamente certi media, voler mettere gli studenti sullo stesso piano. Dal momento che la “reiterazione” penalizza chi quella prova l’ha superata regolarmente.
Ma il punto della questione è un altro. Quale?
L’autentico problema è il numero chiuso. Si tratta di una misura iniqua e inutile dal punto di vista organizzativo. E spieghiamo perché.
L’iniquità è nel fatto che il numero chiuso (e conseguenti test di ingresso) favorisce, in una fase delicatissima come quella dell'accesso all'università, gli studenti facoltosi: i cosiddetti “figli di papà” che possono prepararsi meglio di coloro che hanno ridotti o nulli mezzi economici. A prescindere, ovviamente, dalle sempre possibili raccomandazioni, legate anch’esse alle relazioni familiari. E di solito più facili per coloro che provengono da ambienti benestanti, "ricchi" anche di amicizie influenti.
L’inutilità è nel fatto che nelle economie di mercato la “programmazione” dei laureati è impossibile. E per una semplice ragione: i tempi del ciclo economico e quelli del ciclo (di studi) universitario hanno scansioni differenti. Per laurearsi e specializzarsi occorrono in media sei-sette anni (se non di più), mentre il ciclo economico, pubblico e privato, è legato ai bilanci annuali e, quel che è peggio, alle fluttuazioni dei mercati del lavoro e delle professioni (vincolate, a loro volta, dai cicli speculativi e dell’ innovazione tecnologica). Di qui l’impossibilità di prevedere con precisione assoluta quale sarà il bisogno di neolaureati nell’arco di sei anni.
Per contro, la programmazione può funzionare all’interno di un’economia centralizzata, sganciata dall’economia internazionale e fondata su piani economici pluriennali (o in ogni caso, almeno di durata non inferiore ai cinque anni). Ma andando incontro ad altri limiti: mancanza di libertà individuale, crescente obsolescenza tecnologica, ecc.
Comunque sia, economia di mercato e programmazione (universitaria) sono processi antitetici.
In genere, nelle economie di mercato ci si appella, per giustificare il numero chiuso, al concetto di meritocrazia. Ma come credere, almeno in Italia, nella forza del merito, dopo quel che è accaduto all’Università di Bari?