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Se le pareti del Palazzo tremano

di Alessio Marri - 21/09/2007





 

Lo straordinario successo del movimento di massa guidato da Beppe Grillo non è quantificabile esclusivamente nelle trecento mila firme raccolte durante il V-Day, ma andrebbe riconsiderato a partire dall'attenzione e dalla tensione suscitata all'interno del mondo mediatico. La risoluzione di Grillo fa paura e nonostante siano trascorsi più di dieci giorni dalle manifestazioni che hanno coinvolto l'Italia intera, l'attualità delle iniziative politiche del comico genovese non accenna a diminuire.

A rendere evidenti ancora una volta le crescenti preoccupazioni della classe dirigente è stato il direttore del Tg2, Mauro Mazza. Nel corso di un eccezionale quanto improbabile editoriale, criticato persino dal suo mentore Gianfranco Fini, il giornalista ha sfoggiato un'estrema disinvoltura nel denunciare una possibile deriva brigatista e terrorista del “grillismo” di piazza. Nel giustificare il gesto, il direttore ha superato sé stesso: “I toni del comico sono troppo accesi e anche se i politici spesso ricorrono tra loro al turpiloquio, è la casta a decidere il linguaggio appropriato”. In parole povere chi detiene il potere può permettersi il lusso di insultarsi, chi ne è al di fuori deve fare attenzione a ciò che dice. Il tutto in un eloquente saggio di servilismo giornalistico.

Viene da pensare che l'unica effettiva patologia del potere sia proprio nel suo manifestarsi. Per esistere e resistere ad attacchi esterni il sistema appare costretto a mostrare il proprio volto, e laddove vorrebbe sfoggiare muscoli svela invece le sue più autentiche debolezze.

L'Italia di oggi si presenta immobilizzata in un gioco di poteri autonomi che si sorreggono gli uni con gli altri. Il giornalista difende il politico, perché senza le sue argomentazioni non esisterebbe alcunché da riportare. Il politico difende il giornalista, perché senza telecamere e taccuini perderebbe ogni visibilità. Ed è qui che si inserisce con tutta la sua dirompenza Beppe Grillo, che scavalca costantemente quel sistema mediatico che aveva bloccato in passato altri e forse più validi movimenti. Attraverso l'interattività della rete, attraverso la sua totale orizzontalità comunicativa, il blog di Grillo ha reso vano ogni tentativo di censura, dando vita a un'esistenza totalmente autonoma a un dissenso radicato in tutta la nazione. Il fallimentare tentativo di etichettare, discriminare e minimizzare questo fenomeno non fa altro che rafforzarlo. A riconoscerlo si è distinto il politologo Giovanni Sartori che ha ammonito i tuttologi del buon salotto ad accostare il fenomeno del V-Day ai girotondini: mentre i secondi vivevano di luce riflessa nei media - ha spiegato Sartori - i “grilliniani” grazie alla rete godono di un livello organizzativo e comunicativo senza precedenti storici.

Uno dei fattori che più spaventa la casta descritta con cura da Stella e Rizzo non appare concretamente la formazione di un nuovo blocco partitico anti-politico, come avvenne in precedenza con la Lega Nord, ma semmai la potenziale diffusione di una coscienza critica in quote sempre maggiori di cittadinanza. Lo zoccolo duro dei fedelissimi di Beppe Grillo non è infatti stratificato politicamente, le radici appaiono trasversali. Ma ciò che accomuna questo agglomerato multiforme sembra una buona padronanza dei meccanismi mediatici di costruzione del consenso e una forte dose di rabbia e di stanchezza causata da un sistema politico parassita. Il benessere dell'Italia di un tempo si assottiglia e la rivendicazione del vistoso declino delle condizioni di vita non contribuisce altro che a rafforzarne la partecipazione. La rappresentazione che Grillo offre della società italiana passa proprio da questo punto: la comicità smaschera le origini di questo malessere economico diffuso, accompagnando alla sonora risata un successivo momento di riflessione. Non tanto sul singolo fatto specifico, ma sull'esigenza di un reale cambiamento. Il flusso ininterrotto di paradossi all'italiana nella politica, nella finanza, nella società nel suo insieme crea un'esclusiva necessità nel suo pubblico: quella di esigere come cittadini istituzioni più trasparenti e funzionali. Ed è da qui che nasce il potere e allo stesso tempo il limite del movimento di massa in questione: una volta individuato il cancro che logora il Bel Paese la prospettiva propositiva si arena in un qualunquismo giustizialista fine a sé stesso. (Possiamo veramente credere che basti eliminare semplicemente i corrotti per fermare la corruzione?) L'azione politica di Grillo è di sicura rilevanza, ma è difficile che trovi un adeguato sviluppo se non sarà convogliata in un programma e in un format politico ridefinito ad hoc. L'occasione sarebbe ghiotta, perché nella sinistra, che di radicale al momento mantiene solo il dispregiativo, il dibattito per un nuovo soggetto unico pare affossato nell'attesa di capire le evoluzioni del futuro Partito Democratico.

Le pareti del Palazzo intanto iniziano a tremare. Si notano alleanze quantomeno imbarazzanti tra chi sia a destra chi a sinistra boccia Beppe Grillo senza appello, quasi come se il malcontento raccolto dal comico genovese fosse causato da altri e non dalla straripante degenerazione della classe politica stessa. Ma se gli altri si occupano di demonizzare, dalla nostra parte della barricata è il caso di mobilitarsi perché una forza popolare come quella che si sta muovendo in questi ultimi mesi oltre a ridere e pensare necessiterà proprio di una adeguata rappresentanza.