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Una camorra globalizzata: il vulcano ci salverà

di Lello Ragni - 22/09/2007

 

Alle elezioni amministrative napoletane del giugno 1992, il Pci di Antonio Bassolino ottenne un misero 11%, contro il 20% del Psi e il 30% della Dc. Nei mesi successivi Antonio Gava, Vincenzo Scotti e Paolo Cirino Pomicino furono accusati di associazione camorristica.
Nell’ottobre del 1993 Bassolino fu eletto sindaco di Napoli con il 70% dei consensi. A travaso di voti avvenuto, i tre democristiani furono prosciolti con formula piena. Il regime che malgoverna la Campania è iniziato così, con Bassolino garante di vecchi e nuovi equilibri, prima come sindaco del capoluogo e poi come presidente della giunta regionale, il tutto intervallato da incarichi ministeriali e rafforzato da poteri straordinari per alcune ataviche emergenze di questa terra.

Per esigenze di sintesi evitiamo di elencare i primati negativi del bassolinismo, come d’altro canto tralasciamo ogni riferimento ad un presunto rinascimento napoletano celebrato da autorevoli opinionisti di regime. Qualche dato tuttavia bisogna citarlo. La Campania ospita il 10% della popolazione italiana, ma produce solo il 6,5% del reddito nazionale. La quota degli occupati in rapporto alla popolazione residente è del 29%, contro il 39% della media italiana. Nel 1990 gli occupati erano 1.928.000. A dicembre 2006 erano scesi a 1.727.000 con un calo superiore al 10%, sebbene qualcuno continui a giustificare le politiche di sostegno al capitale straniero con la scusa di creare occupazione. Vincolati dall’esigenza di vendere fumo e mostrare un incremento del Pil regionale non troppo lontano dalla media nazionale, si preferisce tutto ciò che fa immagine e gonfia i dati, piuttosto che incentivare un’imprenditoria diffusa e lo sviluppo endogeno dei territori.

All’accusa di sperperare fondi pubblici e di non reagire allo sconforto dell’imprenditoria locale, l’assessore alle attività produttive Andrea Cozzolino risponde citando due casi di multinazionali straniere che si sono insediate in Campania col sostegno finanziario della regione. Sono l’americana Prysmian Cable&Systems (fibre ottiche per telecomunicazioni) - che ha rimpiazzato la Pirelli Cavi con 3 stabilimenti tra Battipaglia e Pozzuoli - e l’indiana Videocon (componentistica elettronica) - insediata in provincia di Caserta con un contributo pubblico di 220 milioni di euro, di cui 40 provengono direttamente dal suo assessorato. Così i soldi pagati dai contribuenti finiscono ad incentivare le strategie di globalizzazione delle grandi multinazionali. A nulla servirebbe una protesta fiscale di tipo localista, come quella proposta dalla Lega nel lombardo-veneto, perché drenare fondi dallo Stato a quest'amministrazione regionale non farebbe che aumentare lo spreco.

Simili forme di sudditanza ad interessi stranieri segnano un ritorno di fatto all’epoca del colonialismo, quando Napoli era governata da un Vicerè del sovrano spagnolo. Oggi Abbiamo Bassolino come referente locale dell’oligarchia mondialista, fin dagli albori del suo regime. Pochi forse ricorderanno l’emissione di Boc in dollari a tasso fisso avvenuta nel giugno 1996, prestito che fu collocato dalla Merril Lynch e consentì al comune di Napoli di rastrellare 300 miliardi di lire ad un costo annuo superiore all’11%, mentre avrebbe potuto rivolgersi alla Cassa Depositi e Prestiti che all’epoca erogava mutui agli enti locali ad un tasso fisso del 9% annuo o addirittura del 7% per specifici progetti.

Su questa operazione un giovane consigliere comunale scrisse un libro di denuncia intitolato “Bassolino e la nuova camorra”, termine riferito non alle forme di devianza metropolitana, ma al potere della grande finanza cosmopolita. Per una strana coincidenza l’autore dell’inchiesta, che era un brillante imprenditore del turismo, vide revocarsi tutti i fidi bancari.
Contemporaneamente, pur essendo tra gli illustri invitati al matrimonio di una ricca ereditiera napoletana con uno zampugnaro ‘nnamurato, smise di fare carriera anche all’interno del suo partito, che era all’opposizione in comune e formalmente al governo in regione. Ma queste sono storie di un’altra camorra, né locale né globale, semplicemente nazionale. Il bassolinismo vince finché altri in Campania preferiscono perdere.

Non serve una grande sensibilità politica, né particolari titoli accademici, per capire che le principali difficoltà dell’economia campana dipendono da una carenza di potere pubblico che incide sul tessuto produttivo. La mancanza di sicurezza di persone e beni scoraggia gli investimenti. La criminalità dilagante innalza i costi delle imprese (es. premi assicurativi) e incoraggia il sommerso. Lo scarso spirito civico rallenta la formazione di un solido tessuto connettivo tra imprese, istituzioni e comunità locali. Eppure il regime bassoliniano ha avuto a disposizione notevoli risorse finanziarie per risolvere questi problemi.
Ci riferiamo, ad esempio, ai fondi strutturali europei per la programmazione 2000/2006, pari a 7,7 miliardi di euro.
Tuttavia, a fine dicembre 2006, i fondi europei direttamente amministrati dalla regione Campania risultavano spesi solo per il 55% del totale.
Tuttavia Bassolino sostiene che i fondi pubblici non bastano, e pretende dal governo Prodi nuove elargizioni. Attualmente il tesoro della regione Campania è così composto: 6,8 miliardi di euro (fondo europeo di sviluppo regionale), più 1,2 miliardi di euro (fondo sociale europeo), più 4 miliardi di euro (fondo per le aree sottosviluppate). La giunta regionale ha calcolato che, negli anni 2007-2013, la Campania riceverà ben 3,5 miliardi di euro in più di quelli ottenuti da Bruxelles e Roma nel periodo 2000-2006. Ma anche queste risorse aggiuntive sarebbero insufficienti a finanziare un piano strategico con ben 141 obiettivi ed il 40% del preventivo di spesa destinato a progetti del costo superiore a 50 milioni di euro. Servono altri soldi, che sicuramente arriveranno.
Così, in un clima di ottimismo per nulla guastato dal munnezzagate che coinvolge direttamente i vertici del regime bassoliniano, Napoli continua a sognare. Alla consueta effervescenza teorica dei documenti di programmazione elaborati dalla regione Campania, si aggiungono iniziative private di grande impatto sul territorio. Non lontano dal Vesuvio, il vulcano cattivo che ha vomitato l’ultima volta nel 1944 sulla testa di sciuscià e liberatori americani, sta nascendo il vulcano buono, un centro commerciale la cui struttura richiama la celebre montagna da cartolina. Da qualche tempo, tarantelle e mandolinate si suonano intorno a questa nuova roccaforte dell’orgoglio partenopeo. Poco importa se sarà gestito dal gruppo francese Auchan, che è socio al 45%. In fondo chi ama definirsi meridionale, attributo che rivela sudditanza psicologica, deve necessariamente esserlo rispetto a qualcuno che sta al di sopra. Ben vengano allora i francesi, che richiamano alla memoria la repubblica giacobina del 1799, tanto celebrata dalla sinistra napoletana, quella obbediente e acculturata che sostiene Bassolino.

Il nuovo centro commerciale, che ospiterà 200 negozi al dettaglio ed un ipermercato di 80 metri lineari di fronte cassa, sorge a margine dell’interporto di Nola e del Cis. Questa è un’area di 6 milioni di metri quadri, che ospitano circa 1000 grossisti consorziati, 7 sportelli bancari con 330 milioni di euro di raccolta, ed una ferrovia da cui parte un treno merci al giorno diretto a Milano con un carico equivalente a 25 tir. L’iniziativa partì da 12 grossisti napoletani che, negli anni settanta, lasciarono piazza mercato e si trasferirono alla periferia di Nola. Presto divennero 189 e fondarono il Cis.

Con la costruzione del vulcano buono ed il previsto collegamento a rinnovate strutture ferroviarie ed aeroportuali, dovrebbe nascere un sistema ingrosso-dettaglio-trasporti che mira a diventare un modello, vendibile ed esportabile, per una corretta gestione integrata dei servizi. Indipendentemente dai buoni affari che faranno gli ideatori del progetto ed i loro soci illustri - tra cui Luca Cordero di Montezemolo e Diego Della Valle - quel che interessa a noi che viviamo in prossimità di questa struttura è il suo rapporto col territorio. Non parliamo d'impatto ambientale, considerato che al vulcano buono fanno già da cornice montagne perforate dalle cave che riversano sui centri abitati polveri sottili e fiumi di fango.

Ci chiediamo invece cosa accadrà a questa enorme contrada quando nascerà l’area metropolitana di Napoli, prevista dalla legge 143/1990 e dal Codice delle Autonomie varato dal governo di centrosinistra nel marzo 2007 in forma di decreto di legge delega.
Se consideriamo la posizione geografica di tutto il sistema interporto-Cis-vulcano, che è situato al crocevia delle cinque province, bisognerà mantenerlo al di fuori dell’area metropolitana. Se invece ne venisse assorbito, avrebbe inevitabilmente un effetto attrazione specie sulla provincia di Caserta, che si troverebbe di fronte ad un’alternativa: restare autonoma o farsi inglobare integralmente nell’area metropolitana partenopea. Verrebbe così istituzionalizzato ciò che di fatto sta avvenendo da quando vige il regime bassoliniano: Caserta e la sua provincia trasformate in periferia di Napoli.

E’ una grande opportunità per i suoi politicanti, che andrebbero a spartire i finanziamenti a pioggia che inonderanno le aree metropolitane, specie quelle in perenne emergenza. Quali benefici possano derivarne per la popolazione casertana, è presto per dirlo. Al momento la parola d’ordine, categorica ed impegnativa per tutti, è una sola: vincere il pessimismo.
Così parlò l’assessore Cozzolino in piedi sul davanzale della fenestra a'marechiaro.

Ed allora benvenuti in Campania, paradiso governato da diavoli, vicereame dell’Economic Empire Building (EEB), zona franca di tutte le camorre, terra dei due vulcani, che si fronteggiano come le due torri di Tolkien in un panorama reso apocalittico dalla devastazione ambientale. Il vulcano buono contro il vulcano cattivo. Uno dei due ci salverà.