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Ottobre rosso: Russia, Iràn e Iràq

di George Friedman - 22/09/2007




Il corso della guerra in Iràq, per quanto riguarda il prossimo anno, sembra essere stato tracciato. Delle quattro opzioni da noi delineate alcune settimane fa, l'amministrazione Bush pare aver scelto una via di mezzo tra la prima e la seconda: mantenere la missione in corso con l'attuale livello delle forze, oppure riducendolo gradualmente. L'obiettivo finale – creare a Baghdad un governo stabile e filo-americano, capace d'assumersi il ruolo di garante della sicurezza – non è mutato. La strategia è quella d'utilizzare al massimo le forze disponibili per garantire la sicurezza finché gl'Iracheni non saranno in grado d'assumersi l'onere in prima persona. Le forze saranno ridotte di 30.000 unità rispetto al “picco” recente, ma solo perché quelle truppe in primavera non saranno più disponibili: non c'è altra scelta. Le forze che rimarranno saranno il massimo possibile, e verranno ridotte solo qualora le circostanze lo permetteranno.
L'alto comandante statunitense in Iràq, il generale David Petraeus, ed altre personalità hanno fatto proprie due argomentazioni. Il primo è che, se la precedente strategia non è riuscita a fare progressi, una nuova (che combina operazioni offensive col reclutamento di personale politico a livello subnazionale; ad esempio gli Sceicchi sunniti nella provincia di al-Anbar) ha avuto un impatto positivo e, concedendole più tempo, potrebbe far sì che la missione sia completata. Perciò, avendo già speso sangue e oro fino ad oggi, sarebbe sciocco per gli Stati Uniti non insistere per gli ancora uno o due anni necessari. Il secondo argomento fa riferimento alle conseguenze di un ritiro. La segretaria di Stato Condoleezza Rice l'ha riassunto in un'intervista con “NBC News”: «E vorrei notare che il presidente [Mahmud] Ahmadi Nejad ha affermato che, se gli Stati Uniti dovessero lasciare l'Iràq, l'Iràn sarebbe pronto a riempire il vuoto. Ecco qual è la posta in palio». Abbiamo suggerito che il modo migliore per contenere l'Iràn sarebbe cedere l'Iràq e difendere la Penisola Arabica. Un motivo è che così facendo si libererebbero truppe per eventuali operazioni in altre parti del mondo. L'amministrazione ha deciso di provare a tenere l'Iràq – in ogni sua parte – lontano dalle grinfie iraniane. Ovviamente, se avrà successo, ciò sarà di gran beneficio per gli Stati Uniti. Se fallirà, gli Stati Uniti potranno scegliere un'altra opzione.
Entro la regione questa appare una scelta ragionevole, posto che i fondamenti politici di Washington possano essere mantenuti; fondamenti che per ora appaiono saldi. Il tallone d'Achille di tale strategia è il fatto che implichi una “finestra di vulnerabilità”, di cui già abbiamo discusso alcune settimane or sono. La strategia e la missione delineate da Petraeus impegnano in Iràq quasi tutte le forze di terra statunitensi, con l'Afghanistan e la Corea del Sud ad assorbire il resto. Lascia disponibili la forza aerea e quella navale, ma impedisce agli Stati Uniti d'affrontare qualsiasi altra crisi che richieda la minaccia d'intervento da terra. Ciò comporta delle conseguenze.
Il ministro degli esteri iraniano Manuchehr Mottaki ha presenziato all'incontro della Commissione Economica Congiunta Russo-Iraniana, tenutosi a Mosca nel corso del fine settimana. Trovandosi nella capitale russa, Mottaki ha incontrato anche Sergej Kirienko, capo dell'agenzia atomica russa, per discutere dell'assistenza al completamento dell'impianto nucleare di Bushehr. Dopo l'incontro, Mottaki ha dichiarato d'aver ricevuto assicurazioni, da parte di funzionari russi, riguardo l'impegno a completare la centrale energetica. Il negoziatore capo sul nucleare iraniano Alì Larijani ha dichiarato: «Per quanto concerne l'impianto di Bushehr, abbiamo raggiunto un buon compromesso con i Russi. È stata fissata una tabella di marcia per la fornitura del combustibile nucleare e l'inaugurazione dell'impianto». Sebbene la realtà delle assicurazioni russe sia dubitabile – per buona parte degli ultimi tre anni Mosca è stata a poche settimane di lavoro dalla messa in opera di Bushehr, e davanti alla prospettiva d'un Iràn militarmente nuclearizzato mostra lo stesso entusiasmo di Washington – rimane il fatto che la cooperazione russo-iraniana continua ad essere sostanziale ed alla luce del sole.
Mottaki ha pure confermato – e ciò è significativo – che il presidente russo Vladimir Putin sarà a Tehrān il 16 ottobre. L'occasione è un convegno delle nazioni litoranee del Mar Caspio, gruppo che comprende Russia, Iràn, Azerbaigian, Kazakistan e Turkmenistan. Stando agl'Iraniani, Putin ha acconsentito non solo a presenziare alla conferenza, ma anche a sfruttare la visita per conferire con i massimi dirigenti del paese.
Si tratta più o meno dell'ultima cosa che gli Stati Uniti vorrebbero veder fare ai Russi – motivo per cui è proprio la prima cosa che i Russi fanno. I Russi sono piuttosto compiaciuti dell'attuale situazione in Iràq e Iràn e non desiderano turbarla. Dal loro punto di vista, gli Statunitensi sono impantanati in un vasto conflitto che ne prosciuga le risorse ed esaurisce le possibilità strategiche. C'è qualche similitudine col Vietnam. Quanto più le forze statunitensi erano trattenute in Vietnam, maggiori erano le opportunità per i Sovietici. Oggi le risorse della Russia sono molto minori di quelle dei Sovietici, e la Russia ha una gamma d'interessi ben più contenuta. L'obiettivo primario di Mosca è riconquistare una sfera d'influenza entro l'ex Unione Sovietica. Qualsiasi ambizione Mosca possa sognare, questo è sempre il punto di partenza. I Russi ritengono che gli Statunitensi siano ostacolando i loro progetti usando i servizi segreti per appoggiare elementi anti-russi lungo tutta la periferia del paese eurasiatico.
Se gli Stati Uniti intendono stare in Iràq fino alla fine della presidenza Bush, allora c'è qualcosa che necessitano fortemente dalla Russia: ch'essa non fornisca armi, soprattutto anti-aeree, ai Siriani e specialmente agl'Iraniani. I Russi non debbono fornire aerei da caccia, sistemi di comando-e-controllo o qualsiasi altro degli armamenti bellici che stanno sviluppando. Più d'ogni altra cosa, gli USA non vogliono che i Russi diano agl'Iraniani qualsiasi tecnologia relativa al nucleare.
Non è perciò un caso che, durante il fine settimana, gl'Iraniani abbiano riferito con precisione quanto sarebbe stato detto loro dai Russi. Ovviamente la discussione verteva su una natura puramente civile, ma gli Stati Uniti sanno che i Russi possiedono un'avanzata tecnologia nucleare militare, e la distinzione tra civile e militare è assai sottile. In breve, la Russia ha voluto segnalare agli Statunitensi come sia in suo potere materializzare il peggiore incubo degli USA.
Gl'Iraniani, piuttosto isolati nel mondo, sono stati avvertiti anche dai Francesi che la guerra è una possibilità reale. È quindi ovvio che diano un enorme valore agl'incontri coi Russi. Russi che non hanno interesse a vedere l'Iràn devastato dagli Stati Uniti. Essi vogliono che l'Iràn continui a fare esattamente quel che sta facendo ora: trattenere le forze statunitensi in Iràq e costringere gli USA in un pantano strategico. E sanno bene di possedere le tecnologie adatte a rendere assai più onerosa una campagna aerea contro l'Iràn. Infatti, mancando una forza di terra statunitense in grado di sfruttare gli attacchi aerei, i Russi potrebbero rendere estremamente costosa la soppressione delle difese aeree nemiche (SEAD = “suppression of enemy air defenses”; la prima fase d'una campagna aerea degli USA), e la seconda fase – l'attacco alle infrastrutture – rischierebbe di diventare una guerra di logoramento. Gli Stati Uniti potrebbero vincere, nel senso d'ottenere alfine il controllo dei cieli, ma non riuscirebbero a provocare un cambio di regime – e pagherebbero un prezzo molto alto.
Non va poi dimenticato che i Russi possiedono il secondo più vasto arsenale nucleare al mondo. Poche settimane fa, con molta ostentazione, i Russi hanno annunciato che i bombardieri Tu-95 (“Bear” per la NATO) avrebbero ripreso ad effettuare regolarmente voli di pattugliamento. Ciò ha divertito alcuni tra i militari statunitensi, consci giustamente dell'obsolescenza dei Tu-95. Dimenticano però che mai i Russi hanno posseduto una vera flotta di bombardieri per condurre massicci attacchi nucleari intercontinentali. L'annuncio era solo un segnale – ed un promemoria: gl'ICBM (missili balistici intercontinentali) russi possono essere facilmente puntati verso gli Stati Uniti.
La Russia, ovviamente, non progetta uno scambio di colpi nucleari con gli Stati Uniti, sebbene gradisca costringere i Nordamericani a prendere in considerazione questa possibilità. Né i Russi vogliono che gl'Iraniani acquisiscano armi nucleari. Ciò che vogliono è un lungo conflitto in Iràq e latenti tensioni tra l'Iràn e gli Stati Uniti; e non se ne avrebbero troppo a male se gli USA decidessero di far guerra pure al paese persiano. Sarebbero felici di rifornire gl'Iraniani di qualsiasi armamento utile a menomare ulteriormente gli Stati Uniti (purché sicuri che quelle stesse armi non saranno poi puntate verso nord).
I Russi sono pronti a lasciare che gli Stati Uniti se la vedano liberamente con l'Iràn, senza porre alcuna minaccia mentre le forze statunitensi sono impantanate in Iràq. Ma tutto ciò avrebbe un prezzo; e sarebbe alto. I Russi sanno che s'è ora aperta la “finestra dell'opportunità”, e che potrebbero far vedere i sorci verdi agli Stati Uniti. Perciò, pretenderanno quanto segue:
- nel Caucaso, gli Stati Uniti dovranno smetterla di sostenere la Georgia, ed anzi costringerne il governo a trovare un accomodamento con Mosca. Data l'ostilità armena verso la Turchia e la vicinanza alla Russia, ciò permetterebbe a Mosca di recuperare la propria sfera d'influenza nel Caucaso, lasciando l'Azerbaigian quale Stato-cuscinetto con l'Iràn;
- in Ucraìna e Bielorussia, gli USA dovranno cessare qualsiasi aiuto alle organizzazioni non governative che spingono per un corso filo-occidentale;
- nei paesi baltici, gli Stati Uniti dovranno contenere i sentimenti anti-russi e limitare esplicitamente il ruolo di quegli Stati nella NATO, escludendo la presenza di truppe straniere, specialmente polacche;
- riguardo la Serbia, si dovrà porre fine a qualsiasi discussione sull'indipendenza del Kosovo;
- infine, non dovrà più essere dispiegato il sistema anti-missili balistici in Polonia.
In altre parole, i Russi vogliono che gli Stati Uniti escano definitivamente dall'ex Unione Sovietica. In alternativa, sono pronti a stringere, il 16 ottobre, accordi per lo scambio nucleare e la fornitura d'armamenti, incluse quelle armi che gl'Iraniani potranno facilmente inviare in Iràq perché siano usate contro i soldati statunitensi. Se gli Stati Uniti dovessero cominciare la campagna aerea prima che tali misure abbiano effetto, allora i Russi aumenterebbero esponenzialmente le forniture di armi all'Iràn, usando i mezzi già sperimentati in Vietnam: il trasporto marittimo. Qualora gli USA sparassero sulle navi russe, Mosca potrebbe liberamente colpire la Georgia e gli Stati baltici, paesi incapaci di difendersi da sé e che gli Stati Uniti non sono in posizione d'aiutare.
È sempre più chiaro come Putin intenda cancellare in pratica, se non formalmente, le conseguenze della caduta dell'Unione Sovietica. A questo punto non s'aspetta di tornare in Europa Centrale o di competere a livello mondiale con gli USA. Sa ch'è impossibile. Ma capisce benissimo tre cose. Primo: le sue forze armate sono migliorate tantissimo dal 2000. Secondo: i paesi con cui ha a che fare non possono competere con le sue forze finché gli Stati Uniti ne rimangono fuori. Terzo: gli Stati Uniti non possono scegliere se starne dentro o fuori; finché rimangono in Iràq, sono fuori dagli altri giochi.
È il momento di Putin e può sfruttarlo in due modi: raggiungere un discreto accomodamento con gli Statunitensi e mollare gl'Iraniani, oppure allinearsi con quest'ultimi e mettere nei guai gli USA. Ciò può essere fatto sostenendo la Siria, armando delle milizie in Libano e persino causando grossi problemi in Afghanistan, sulla cui parte settentrionale i Russi conservano una certa influenza.
I Russi sono giocatori di scacchi e geopolitici. Negli scacchi come nella geopolitica, il gioco è monotono ma improvvisamente può esservi un'opportunità. Bisogna prenderla al volo, perché potrebbe essere l'ultima. Gli Stati Uniti sono intrinsecamente più potenti della Russia, salvo questo particolare momento. A causa d'una serie di scelte compiute dagli USA, essi si sono indeboliti in settori che interessano alla Russia. Fra due o tre anni Mosca potrebbe non trovarsi più in questa posizione. Deve approfittarne adesso.
Ecco perché Putin il 16 ottobre andrà in Iràn e lavorerà per completare il progetto nucleare civile dei suoi ospiti. Gli accordi che potrebbe stringere con l'Iràn sono forse da incubo per gli USA. Se gli Stati Uniti rifiutano che l'Iràn sviluppi il nucleare, i Russi simpatizzeranno con quelli ed armeranno Tehrān con ancora maggiore intensità. Se gli USA lanciano una vasta campagna aerea, i Russi saranno ben felici di fornire ancora più armi. Parlare di “bombardamento a tappeto” dell'Iràn è sciocco. Si tratta d'un grosso paese e gli Stati Uniti non hanno tutto questo... tappeto. I rifornimenti passerebbero comunque.
D'altro canto, gli Stati Uniti potrebbero tranquillamente concedere a Putin la sua sfera d'influenza, abbandonando gli alleati nell'ex Unione Sovietica: in cambio i Russi lascerebbero soli gl'Iraniani contro gli USA, non darebbero armi a paesi vicino-orientali né all'Iran (che poi potrebbe passarle a milizie irachene). Di fatto, Putin sta lasciando agli Stati Uniti un mese per decidere.
Non va dimenticato che all'Iràn resta un'opzione in grado di sconvolgere i piani della Russia. Tehrān non ha molta fiducia in Mosca, né desidera essere intrappolata tra la potenza nordamericana e la volontà russa di sfruttare l'Iràn nei suoi rapporti con gli USA. Ad un certo punto, presto o tardi, gl'Iraniani dovranno chiedersi se vogliono prestarsi al ruolo di drappo rosso che Mosca agita davanti al toro nordamericano. L'opzione per gl'Iraniani rimane la stessa: negoziare con gli USA il futuro dell'Iràq. Se gli Stati Uniti sono impegnati a rimanere in Iràq, l'Iràn può scegliere di sabotare Washington (al costo d'aumentare la propria dipendenza dai Russi e col rischio di guerra con gli USA) oppure di concludere un accordo con gli Statunitensi, prendendosi l'influenza sull'Iràq ma senza dominio diretto. L'Iràn è raggiante per la visita di Putin. Ma questa visita fornisce a Tehrān ulteriore potere negoziale verso gli USA. Questo rimane il jolly.
L'area operativa di Petraeus è l'Iràq. Potrebbe anche aver escogitato un ottimo piano per stabilizzare l'Iràq nel corso dei prossimi anni, ma il prezzo da pagare non sarebbe né in Iràq né in Iràn. Il prezzo sarebbe quello di lasciare la porta aperta in altre zone del mondo. Noi crediamo che i Russi stiano per varcare una di queste porte. La domanda che si debbono porre alla Casa Bianca è, perciò, questa: quanto vale l'Iràq? Vale tanto da permettere che siano rigettate le fondamenta geopolitiche dell'Unione Sovietica?

(traduzione di Daniele Scalea)

* George Friedman, politologo statunitense, è fondatore e presidente della Strategic Forecasting Inc. (Stratfor).

Fonte: Strategic Forecasting Incompany, www.stratfor.com