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Palestina. Vincolo virtuoso o patto leonino?

di Giancarlo Paciello - 22/09/2007

Fonte: ripensaremarx

 

 

Premessa - Parte prima: la logica della falsificazione, moderati contro estremisti - La lettera del Premier -

La Voce del Padrone - La voce del servitore - Parte seconda: La verità sulla reale situazione palestinese - La

posizione “occidentale”: “Processo di pace e “Due popoli due Stati” - La posizione “islamica”: “La Palestina

ai palestinesi” - Divagazioni sulla comunità internazionale - Ancora su “Due popoli, due Stati”- Conclusioni -

Appendice I (Lettera di Prodi al Corriere sul caso Hamas) 15 agosto ’07 - Appendice II (Lettera

dell’ambasciatore americano in Italia al “Corriere”) 23 agosto ‘07- Appendice III (Articolo di Piero Ostellino

sul “Corriere” del 24 agosto ‘07)

Premessa

Il presente articolo consta di due parti. La prima prende spunto da una lettera

dell’ambasciatore americano in Italia, indirizzata al Corriere della Sera, e

polemizza con le sue posizioni, del resto assai diffuse (e condivise) sui mezzi di

comunicazione di massa di mezzo mondo. Costituisce, come si diceva una

volta, la pars destruens dell’argomentazione, dal momento che mette in

evidenza la versione falsificata della realtà, proposta in primo luogo dagli Stati

Uniti sulla questione palestinese. La seconda parte invece rappresenta un

tentativo di esplicitare con coerenza (la pars construens), a partire dal piano

storico, la reale condizione del popolo palestinese, da più di quarant’anni

sottoposto ad una feroce occupazione militare e ad un processo di

espropriazione della propria terra attraverso una sfrenata colonizzazione. Essa si

articola sostanzialmente sull’analisi critica di due espressioni, “processo di

pace” e “Due popoli due Stati”, sulle quali si fonda la mistificazione

“occidentale”.

Parte prima: La logica della falsificazione, moderati contro estremisti

Il 23 agosto 2007, il Corriere della Sera ha pubblicato una lettera, inviata al

direttore, dell’Ambasciatore in Italia degli Stati Uniti d’America, Ronald

Spogli, (che riporto in appendice), dal titolo, redazionale immagino,

Trattativa: i vincoli da rispettare”. Il giorno successivo, con zelo che lascio

qualificare ai lettori (dal momento che, in appendice, ne riporto il testo), Piero

Ostellino commenta (si fa per dire), la lettera di Ronald Spogli, visto che non fa

altro che parafrasare il contenuto della lettera, accentuando a volte il tono

intimidatorio della stessa.

Facciamo un passo indietro. Sia pure con un’ambiguità e una prontezza alla

smentita a livelli berlusconiani, nei giorni precedenti il 23 agosto, sia il ministro

2

degli esteri D’Alema, sia il primo ministro Prodi, avevano accennato alla

importanza che alle trattative sulla Palestina partecipasse anche Hamas.

Nella mattinata del 13 agosto, ospite, a Castiglione della Pescaia, di un

incontro organizzato dalla “Opera per la gioventù Giorgio La Pira” (con la

partecipazione di un centinaio di ragazzi italiani, israeliani, palestinesi e russi

sia cattolici che ortodossi), Prodi ha affrontato la questione mediorientale. E alla

domanda su come vada gestito il rapporto con Hamas, il presidente del

Consiglio ha risposto:

Stiamo aiutando fortemente, lealmente e con energia lo sforzo di Abu Mazen e Olmert

per fare gesti di pace, che sono difficilissimi. Ma sono convinto che non possiamo avere la

pace se i palestinesi sono divisi, lo capiscono benissimo anche loro. C’è la chiara

consapevolezza che non possiamo avere una pace di lungo periodo con due Palestine”,

aggiungendo subito dopo:

Hamas esiste, ed è una struttura molto complessa, dobbiamo aiutarla ad evolversi. Ma

questo deve essere fatto apertamente, con trasparenza, discutendone, come ho fatto, con Abu

Mazen e Olmert nel mio ultimo viaggio”.

E Prodi ha concluso che, se l’obiettivo della politica italiana in questa zona è

quello di avere “due popoli e due nazioni che vivono in pace come due paesi europei”,

bisogna spingere al dialogo perché questo avvenga.

Non bisogna chiudersi al dialogo con nessuno”.

Il portavoce di Hamas a Gaza, Sami Abu Zuhri accoglie positivamente le

parole del capo del Governo italiano:

Siamo pronti ad aprire un dialogo franco con la comunità internazionale come

auspicato da Romano Prodi. Noi apprezziamo molto il ruolo svolto dall'Italia, che anche

altre volte ha esortato per un dialogo con il nostro movimento. L’atteggiamento italiano

testimonia il desiderio europeo di riconsiderare la sua posizione verso Hamas”.

Secondo Sami Abu Zuhri:

il mondo occidentale sta capendo che è stato un errore non trattare con Hamas in

passato, e ora noi ci auguriamo che le dichiarazioni del primo ministro italiano vengano

ascoltate dall'Unione europea, all'interno della quale ci sono altri gruppi parlamentari che

sostengono la medesima esigenza di trattare con noi. Hamas è pronto ad aprire un dialogo

franco con la comunità internazionale”.

La replica di Israele non si fa aspettare. Giudica dannosa qualsiasi apertura

agli “estremisti” proprio mentre esiste un esile filo di trattativa con il

presidente palestinese, il moderato Mahmoud Abbas. Arriva dunque una

chiusura totale all'invito di Prodi. Mark Regev, il portavoce del ministero degli

Esteri israeliano, dichiara:

Riportare Hamas nell’attuale contesto avrebbe solo l’effetto di guastare il clima

positivo (tra Olmert e Abbas)”. Il governo dell'Autorità palestinese è guidato oggi da

moderati, impegnati per la pace e una soluzione basata su due stati. Se si riportano dentro la

cornice gli estremisti che respingono la pace e la riconciliazione, si danneggerebbe questo

processo”.

Anche sul fronte interno, le parole di Prodi hanno una grande eco. Il

centrodestra chiede a Prodi di spiegare in Parlamento la posizione del governo

3

italiano su Hamas (Paolo Bonaiuti). Stessa richiesta fa Alleanza Nazionale.

Gasparri la spara grossa, sostenendo che Prodi

plaude ai terroristi islamici di Hamas con parole gravi e irresponsabili che confermano

il ruolo pericoloso del governo italiano, noto nel mondo per le posizioni di apertura ai

movimenti sanguinari della Palestina e del Libano”.

Ah, Gasparri, Gasparri, sempre più realista del re, anche in regime

repubblicano?

Calderoni gli fa buona compagnia, dichiarando che il presidente del

Consiglio

non esita a porsi al di fuori della comunità internazionale e ad aprire ad Hamas, ovvero

a ciò che per la comunità internazionale resta un pericolo terrorista”.

Ovviamente, i partiti della sinistra dell’Unione difendono l’apertura del

premier, ma il portavoce del governo, Silvio Sircana comincia con i distinguo,

per chiarire la posizione di palazzo Chigi:

Prodi ha detto che con Hamas è necessario lasciare aperto un canale di dialogo, che è

cosa ben diversa dal negoziato, portato avanti da Olmert, da Abu Mazen e dal Quartetto

guidato da Blair. Questo negoziato, ha ribadito Prodi, ha il pieno appoggio del governo

italiano”, aggiungendo che Prodi

ha parlato di lasciare aperto uno spiraglio di dialogo con Hamas per aiutarli a uscire

da questa situazione, per scongiurare il pericolo che ci si trovi di fronte a due Stati

palestinesi. Ad Hamas sono stati dettati paletti ben precisi, dal riconoscimento dello Stato di

Israele alla fine del terrorismo, che rimangono e su cui nessuno intende soprassedere o

dimenticare”. E Sircana si affretta concludere che:

chi vuole leggere nelle parole un cambio di rotta rispetto alle politiche europee si è

sbagliato di grosso”.

Piero Ostellino scrive lo stesso giorno, il 14 agosto, un commento alle

dichiarazioni di Prodi. Non l’ho letto, Prodi ne fa cenno nella sua lettera di

Ferragosto al Corriere, immagino si sarà trattato di una critica alle dichiarazioni

del premier, una prova per l’articolo del 24 agosto, scritto dopo aver ascoltato

the master’s voice!

Ma non anticipiamo. Siamo arrivati al giorno di Ferragosto e Prodi ritiene

opportuno scrivere la lettera cui ho appena accennato e che riporto in

appendice.

La lettera del Premier

In essa, il premier ribadisce le linee portanti della politica italiana in Medio

Oriente, sintetizzandole nella formula:

cercare di favorire in ogni circostanza le prospettive di pace e di stabilità della

regione”, sempre consapevoli che la pace si fa con gli avversari, (e forse avrebbe

fatto meglio a dire, più correttamente, con i nemici).

Per Prodi, la politica italiana in Medio Oriente si articola in 4 punti:

1) Presenza nel Libano meridionale, con un'azione di leadership apprezzata

da tutta la comunità internazionale per mettere fine al conflitto che si era

innescato l’anno scorso (Missione Onu dell’Unifil), contribuendo con 3.000

4

uomini a garantire il cessate il fuoco fissato dalla risoluzione 1701 e la

sicurezza della frontiera settentrionale di Israele.

2) Opera di coinvolgimento della Siria nelle dinamiche negoziali della

regione. Un’azione non facile ma ormai (a detta di Prodi), riconosciuta e seguita

da tutti i paesi dell'Unione Europea. E che sembra dare segnali di una ripresa

del dialogo tra Israele e Siria, e anche nel campo arabo se si pensa alla scelta di

Damasco come sede del prossimo Vertice della Lega Araba. Un’importante

apertura di credito questa per il Presidente Assad, che Prodi si augura venga

colta al volo. Senza però attendersi risultati immediati.

3) Fermo sostegno sul fronte del processo di pace israelo-palestinese,

sostenendo con profonda convinzione e con atti concreti il rinnovato dialogo tra

il Primo Ministro Olmert ed il Presidente Abbas, nonché i coraggiosi sforzi di

riforma dell'Autorità Nazionale Palestinese del neo Primo Ministro Fayyad, con

la convinzione che non esistono alternative a questo dialogo. Prodi ci tiene poi a

sottolineare di essere stato, nel quadro di questo sostegno, uno dei primi leader

politici mondiali ad affermare pubblicamente il diritto all’esistenza di Israele

come Stato ebraico (sottolineatura nostra). E a ribadire però che:

l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno in questo momento è che si crei una frattura

incolmabile nel popolo palestinese e che si possano creare due entità palestinesi”.

4) Posizione su Hamas. Per Prodi le condizioni per il ritorno nel gioco

politico palestinese di Hamas dipendono da loro stessi, nel senso che le regole

sono quelle fissate dal Quartetto nel gennaio 2006: cessazione della violenza,

riconoscimento degli accordi precedenti sottoscritti da Olp ed Israele e

riconoscimento del diritto all’esistenza dello Stato ebraico. E il premier ne

aggiunge una e cioè la necessità di ripristinare la legalità nella striscia di Gaza,

confidando

anche sugli sforzi di Tony Blair in nome e per conto del Quartetto nonché sull'opera

paziente di paesi della regione mediorientale, dall'Egitto, all'Arabia Saudita, alla

Giordania”.

La lettera si conclude con una dichiarazione:

L’Italia sia bilateralmente che in ambito europeo ed alle Nazioni Unite continuerà a

lavorare in questa direzione ed a dare il proprio contributo ad una positiva evoluzione della

situazione. Pur nella consapevolezza della sua complessità e dei vincoli entro cui ci

muoviamo, continueremo ad incoraggiare tutte le parti a dare prova di coraggio politico e di

leadership, che sono le vere condizioni in base alle quali si potrà assicurare una pace

duratura e stabile in Medio Oriente”.

La Voce del Padrone

Passano pochi giorni e arriva la lettera di Spogli al Corriere. Uno splendido

esordio:

alcune popolazioni del Medio Oriente dovranno fare scelte importanti

molto presto”,

di una vaghezza impressionante (se si pensa alla specifica presenza degli

USA in Medio Oriente), seguito da:

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e noi, quali membri della comunità internazionale, abbiamo la

responsabilità di aiutarle a prendere decisioni che favoriscano la stabilità

regionale e mondiale, a optare per la moderazione contro l’estremismo

violento, e a fare scelte che promettano un futuro migliore”.

Quale ipocrisia! Sono decenni che gli USA si intromettono dovunque e in

ogni modo, ignorando la comunità (e il diritto) internazionale, ed ecco il suo

ambasciatore in Italia che rivendica “un noi”, dopo decenni e, in particolare

dopo l’11 settembre, di totale unilateralismo.

Ma proseguiamo. Sembra che l’ambasciatore voglia entrare nel merito, si

riferisce a “israeliani e i palestinesi” ma subito dopo parla di loro come soggetti

[che] hanno l'opportunità di fare progressi” e ritorna sugli Stati Uniti, la

comunità internazionale, sotto la guida del Quartetto, “[che] devono aiutare

entrambe le parti a perseguire tale obbiettivo”. Da far concorrenza al papa!

Insomma, in una situazione che vede precipitare le sorti di un popolo, quello

palestinese, nella più cupa disperazione, sottoposto com’è ad un’occupazione

militare da quarant’anni, ad un embargo della “comunità internazionale” per

aver eletto liberamente il proprio governo (che la comunità internazionale non

ha riconosciuto), e ad una sollecitazione aperta alla guerra civile, il

rappresentante in Italia del più potente Stato del mondo, delinea così i compiti e

gli interlocutori di questa drammatica situazione che “la comunità

internazionale” ha completamente determinato, permettendo allo Stato d’Israele

anche di ignorarla? Capisco la diplomazia, ma “est modus in rebus” avrebbe

detto il mio corregionale Orazio!

Proviamo a dire sinteticamente come stanno veramente le cose. In una

ventina di righe, a far data da oggi, 18 settembre 2007.

Sessant’anni fa, c’era la Palestina, sotto mandato britannico e non c’era lo

Stato d’Israele. Quasi sessant’anni fa, il 29 novembre 1947, una risoluzione

dell’ONU propose di dividerla in tre parti: uno stato ebraico, uno stato arabo e

un territorio sotto controllo internazionale.

Il 14 maggio 1948 nacque lo Stato d’Israele, che, nel corso della guerra del

1948, conquistò, con le armi, un ulteriore 22% del territorio della Palestina

mandataria e una metà di Gerusalemme. Durante la stessa guerra, La

Transgiordania occupò la Cisgiordania (21% del territorio) e l’altra metà di

Gerusalemme. l’Egitto occupò la striscia di Gaza uno 0,015 % del territorio.

Lo stato arabo non nacque e dal suo territorio furono espulsi 750.000

profughi.Circa 20 anni dopo, con una guerra-lampo (sei giorni), lo Stato

d’Israele conquistò, con le armi, tutta la Palestina mandataria, oltre al Sinai

(egiziano) e alle Alture del Golan (siriane). Altri 300.000 palestinesi dovettero

abbandonare tutto. Una risoluzione (la 242) del Consiglio di Sicurezza

dell’ONU votata all’unanimità, in piena sintonia con il diritto internazionale,

dichiarò illegittima l’intera occupazione di detto territorio. Ma Israele l’ha

sempre ignorata. E, da 40 anni, occupa militarmente questi Territori, a parte il

Sinai restituito all’Egitto, dopo un trattato di pace, ricoprendoli di colonie!.

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Oggi, in meno di 60 anni, La Palestina è scomparsa dalla carta

geografica, sostituita da Stato d’Israele e Territori occupati. Pensate che vita,

per i palestinesi!

Fatta un po’ di concreta chiarezza sul contesto palestinese, riprendiamo a

seguire l’ambasciatore, appassionato della logica della genericità cui le figure

moderati ed estremisti” appartengono di diritto! Ed eccolo definire i ruoli da

svolgere nel processo di pace per il Medio Oriente.

i Paesi membri del Quartetto possono e devono incidere sui rapporti di forza tra

moderati ed estremisti. I palestinesi devono fare una scelta e alcuni dei loro leader, guidati

dal presidente dell'Autorità palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), sono favorevoli alla

scelta moderata”.

Dunque nessuna considerazione storico-politica. Nessun diritto per il popolo

palestinese. Sembra che tutta la questione sia affidata ai palestinesi, al loro

senso di responsabilità, alla loro scelta moderata. E i paesi membri del

Quartetto (tutto il mondo in pratica, visto che questo comprende gli USA, l’UE,

la Russia e, udite udite, l’ONU!) non devono fare altro che incidere “sui

rapporti di forza” tra moderati ed estremisti.

Ossessiva e monomaniacale la lettera! Un problema irrisolto da più 60 anni

può trovare soluzione oggi, strozzando Hamas. E già, perché avevamo

dimenticato il male! Sentite come insiste Spogli:

Spetta ai politici di quell'area e alla comunità internazionale sostenere i leader del

governo palestinese disposti a cogliere le opportunità di pace, poiché essi rischiano molto ed

è nostro dovere aiutarli. Molti, anzi direi la maggioranza, sia sul fronte israeliano che su

quello palestinese concordano sui principi fondamentali della pace”.

Ed ecco, subito dopo, il diktat, il patto leonino.

Principi molto chiari: la soluzione che prevede due Stati, il rifiuto della violenza e del

terrorismo, il riconoscimento a entrambe le parti del diritto di esistere, e l'adesione al

processo di pace. Coloro che rifiutano di accettare tali principi non meritano il nostro

sostegno e non dovrebbero sedere al tavolo dei negoziati.

Non una parola sul ritiro dello Stato d’Israele dai territori occupati, non una

parola sulle colonie create a centinaia sul territorio palestinese in barba ad ogni

diritto (compreso quello internazionale) e contro i diritti dei palestinesi, non una

parola su quella mostruosità, il Muro della vergogna, costruito su terre

palestinesi con il solo scopo di rendere impossibile la nascita di uno Stato

palestinese. Arrendetevi, poi si vedrà!

Seguono poi parole dolci verso la Lega araba che nel decidere la sua

iniziativa di pace, “segnalava il desiderio di pace da parte araba”. E di nuovo,

la reiterazione:

Del resto, gli Stati Uniti non si sarebbero lanciati nell'impresa se non avessero creduto

che nella regione esiste il desiderio di intraprendere la strada della pace. Per unirsi a loro e

a noi a quel tavolo, i palestinesi e i loro leader devono optare per le stesse cose: la soluzione

che prevede due Stati, il rifiuto della violenza e del terrorismo, il riconoscimento a entrambe

le parti del diritto di esistere, e l'adesione al processo di pace”.

A questo punto l’ambasciatore si dilunga, spiegando che:

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gli Stati Uniti stanno prendendo le proprie decisioni in merito a coloro che governano

secondo le norme internazionali”.

Ma ecco la ciliegina sulla torta “Ordini imperiali”, Dopo l’affermazione

precedente, la lettera continua:

Ciò è largamente condiviso a livello internazionale, incluso il Quartetto di cui fanno

parte l'Italia come membro dell'Unione Europea e gli Stati Uniti, e alle cui decisioni gli

stessi Stati Uniti come anche l'Italia sono vincolati”.

Orazio avrebbe detto: in cauda venenum.

L’ambasciatore non ce la fatta più e ha dovuto tirare in ballo l’Italia, il vero

obiettivo della lettera. L’Italia deve scegliere e non può che scegliere quello che

ordinano gli Stati Uniti. Che Prodi non meni il can per l’aia!

Tutto il popolo palestinese, non importa se residente in Cisgiordania o a Gaza, ha

rappresentanti legittimi con i quali riteniamo di poter ottenere risultati in tal senso. E'

fuorviante nei confronti dei palestinesi sostenere che si possa evitare di fare quella scelta.

Non è possibile. Ed è altrettanto fuorviante sostenere che coloro che rifiutano le condizioni

del Quartetto possano far parte dell' accordo. Non possono”.

Finalmente il nostro si è liberato del rospo, può anche parlare di quello che

dovranno fare gli israeliani, “affrontare l'enorme sfida di un nuovo modello di

sicurezza”(?!?) E di tutto lo scempio fatto in Cisgiordania? Avamposti

israeliani non autorizzati dovranno essere rimossi e l'allargamento degli

insediamenti fermato. Dunque basterà autorizzare e mai eliminare colonie!

Sentite come si esprime ancora l’ambasciatore (ben sapendo che le sue parole

saranno messe al vaglio israeliano), per indicare gli ulteriori (?) compiti dello

Stato d’Israele:

Gli israeliani dovranno trovare il modo di alleggerire concretamente la loro presenza

fisica all'interno dei territori (il grassetto è nostro), senza tuttavia ridurre il livello di

sicurezza. Alla fine, si dovrà giungere a un accordo territoriale, con confini concordati

reciprocamente sulla base di status precedenti, di realtà correnti e di correzioni decise

congiuntamente”.

Poi, sicuro di aver fatto il suo dovere, l’ambasciatore torna nel regno della

totale genericità.

Il risultato per i palestinesi [di un meeting sul Medio Oriente] sarà un fattore

determinante per la stabilità regionale e mondiale negli anni a venire e dipenderà dalla

scelta a favore della moderazione, contro l'estremismo violento. Un accordo equo tra

israeliani e palestinesi aiuterà a prosciugare il pantano di instabilità nel quale il terrorismo

e l'estremismo si alimentano. La comunità internazionale deve aiutare a formulare tale

scelta stabilendo incentivi per coloro che scelgono il cammino della moderazione e

disincentivi per coloro che optano per la violenza”.

La lettera si chiude poi con un contentino per l’Italia

[che] ha svolto e continua a svolgere un ruolo fondamentale. Ne abbiamo bisogno e

contiamo sul suo impegno costante”. Ma attenta! “Siamo pronti a lavorare con l'Italia per

promuovere le aspettative di pace e stabilità nel Medio Oriente, e per isolare le forze che

praticano la violenza e l'intolleranza, il cui scopo è quello di ostacolare tali aspettative”.

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La voce del servitore

Quando ero ragazzo, il che vuol dire molto tempo fa, c’era una casa

discografica famosissima The Master’s Voice (la Voce del Padrone) e il suo

logo era costituito da un grammofono a tromba e da un cagnolino molto attento

all’ascolto. Un’immagine fissa nella mia memoria, avendola vista centinaia,

forse migliaia di volte sul frontespizio dei dischi, i 78 giri di una volta in

particolare, e che mi è tornata in mente alla lettura dell’articolo di Piero

Ostellino a commento della lettera di Spogli, dal titolo:

L' appello dell’ambasciatore Usa Spogli IL VINCOLO VIRTUOSO

Ostellino ha colto entrambi gli aspetti della lettera “americana” e cioè il

linguaggio “imperioso” e la reprimenda a Prodi ed esordisce dunque così:

Con il “soffice” linguaggio della diplomazia, l' ambasciatore degli Stati Uniti a Roma,

Ronald P. Spogli, ha spiegato ieri a nuora (i nostri lettori), affinché suocera (il nostro

governo) intenda, che quando si partecipa a una iniziativa multilaterale internazionale,

come quella in corso in Medio Oriente, ci sono delle regole da rispettare”. Onde evitare

che il lettore perda il filo, continua evidenziando le aperture al “dialogo” di

D’Alema, e di Prodi, nei confronti di Hamas, dei giorni passati, senza trascurare

di definire Hamas come “il movimento terrorista che si è installato con la

violenza a Gaza e che persegue la distruzione di Israele”. Poi Ostellino

evidenzia la delicatezza di Spogli. “Nessun accenno, da parte del diplomatico

americano, a queste parole; nessuna critica, neppure indiretta, anzi, al nostro governo, che

avrebbe rischiato di suonare come un processo alle intenzioni. Ma pur sempre

un'inequivocabile presa di posizione politica, per non dire una lezione di buone maniere

diplomatiche”. Capito, “diplomaticamente maleducati”, D’Alema e Prodi? Il

seguito è una lunghissima citazione della lettera di Spogli, che potete andare a

leggere in appendice. Quando Ostellino arriva al brano che in precedenza ho

chiamato la ciliegina sulla torta “Ordini imperiali” non sa trattenersi dallo

spiegare quali siano i vincoli cui tutti, Italia compresa, debbono attenersi

secondo Spogli, citandolo: “Gli Stati Uniti sono pronti a lavorare con l'Italia per

promuovere le aspettative di pace e di stabilità in Medio Oriente, e per isolare le forze che

praticano la violenza e l' intolleranza”.

A questo punto, Ostellino si interroga retoricamente sul “Come interpretare

la lettera dell' ambasciatore americano al Corriere?”, per poi fornirne tout court

la sua personale interpretazione: “…una coerente riflessione sui rischi dell'unilateralismo

nella partita diplomatica e politica mediorientale”. E fa notare che: “non è la prima volta che

Spogli scrive al Corriere per ricordare quali dovrebbero essere le regole quando si gioca.

Era già accaduto quando i possibili acquirenti americani della Telecom erano stati indotti a

rinunciarvi per le eccessive pressioni politiche nella vicenda. Non si era trattato, allora, di

un'interferenza nei nostri affari interni. Non lo è oggi. La sinistra italiana ha invocato il

ritorno a una diplomazia multilaterale - fino al punto di fare dell’Onu una sorta di

improbabile “governo mondiale” - ogni volta che gli Stati Uniti, come nel caso della guerra

in Iraq, si sono esposti all' accusa di volersi muovere da posizioni unilaterali.

Una triplice excusatio non petita (Telecom, Israele, Iraq) che la dice

veramente lunga sulla fedeltà di Ostellino. La conclusione dell’articolo ci esime

da fare ulteriori considerazioni sul titolo del paragrafo. “Sarebbe davvero singolare

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se - adesso che Washington partecipa a una iniziativa multilaterale - il governo di

centrosinistra si comportasse in modo unilaterale, violando i «vincoli» multilaterali che le

impone la sua partecipazione all' iniziativa di pace in Medio Oriente. Il sospetto di

pretestuosa multilateralità, prima, e di pelosa unilateralità, poi, entrambe dettate solo dal

pregiudizio anti-americano, sarebbe allora legittimo. E non solo da parte di Washington.

Parte seconda: La verità sulla reale situazione palestinese

Ci siamo dilungati così tanto nella polemica con la Voce del Padrone e le

relative appendici non certo per un “pregiudizio antiamericano”, quanto

piuttosto per lo stravolgimento e la falsificazione della situazione palestinese in

atto in tutto il mondo occidentale, con risultati drammatici soprattutto per la

popolazione palestinese, nei territori occupati. Da ora in poi sarà dunque

necessario precisare analiticamente il processo di falsificazione in atto,

ripercorrendo la storia della Palestina.

A proposito della questione palestinese, si sono ormai consolidate, a livello

dell’opinione pubblica mondiale, due posizioni che chiamerò “occidentale” e

“islamica”, per civettare con il linguaggio che si è ampiamente diffuso sui

mezzi di comunicazione di massa, mentre una terza posizione, quella sionista,

resta debitamente in ombra. Queste due posizioni vengono utilizzate da Stati,

partiti, organizzazioni, associazioni, attribuendo loro particolari significati, uno

diverso dall’altro, a seconda degli interessi che Stati, partiti, organizzazioni,

associazioni intendono difendere, quasi sempre strumentalizzando la tragedia

palestinese. E quella che potrebbe sembrare una divisione netta, addirittura

manichea, finisce col nascondere tutta una serie di “usi” dell’una o dell’altra

posizione.

La posizione “occidentale”: “Processo di pace” e “Due popoli, due Stati”

La posizione “occidentale” è riassunta in due slogan Processo di pace” e

Due popoli, due Stati”. E’ assai diffusa proprio nell’occidente e sembra porsi

in modo equidistante dalle parti. Partiamo dal secondo slogan e analizziamolo.

Esso riconosce il popolo israeliano ed il popolo palestinese, il loro diritto ad

avere uno Stato, prescindendo sostanzialmente dalla terra, dal territorio sul

quale questi Stati avranno il diritto di esercitare il loro potere, o meglio, (dal

momento che lo Stato d’Israele esiste già, ed occupa tutta la Palestina

mandataria), su quale porzione della Palestina dovrà nascere lo Stato di

Palestina e dunque quali territori Israele sarà disposto a lasciare, quasi si tratti di

un accordo con i palestinesi e non dell’obbligo, per Israele, di rispettare il diritto

internazionale.

In sostanza, la nascita dello Stato palestinese viene affidata ad un “processo

di pace”, legato alle concessioni cui è disposto lo Stato d’Israele in relazione al

territorio, oltre che al comportamento dei dirigenti palestinesi dell’ANP. Il

“processo di pace” dovrà definire perciò i confini dei due Stati, uniformandosi

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immagino (dal momento che non c’è uno straccio di esperto che lo dica

esplicitamente), o almeno ispirandosi al diritto internazionale che, a partire dal

29 novembre 1947, suggerì che la Palestina mandataria venisse divisa in uno

Stato ebraico, in uno Stato arabo e in un territorio sotto gestione internazionale

comprendente Gerusalemme e Betlemme, i Luoghi santi per eccellenza.

Di “processo di pace” ce n’è già stato un esempio disastroso, dal 1993 al

2000, e sono stati gli USA e Israele a decretare le modalità del suo svolgimento,

a decidere se fosse credibile o no la rappresentanza palestinese, via via

dichiarata terrorista o troppo debole per contrastare il terrorismo, e infine a

decretarne concretamente la morte. Dunque a decidere le modalità del processo

sono state le stesse forze che potevano essere (e che sono) scarsamente

interessate alla nascita dello Stato palestinese, visto che l’ideologia dominante

in Israele era (ed è) il sionismo, un’ideologia fondata su un ben diverso slogan:

Una terra senza popolo per un popolo senza terra”.

Sulla base di questa ideologia, del resto, i sionisti hanno sempre puntato, da

più di un secolo, alla creazione di uno Stato ebraico, lo Stato degli Ebrei, come

avrebbe detto Theodor Herzl (1896), fondato dunque su una etnia e una

religione, visto che si è ebrei per discendenza materna (matrilinearità), anche se

sono molti i rabbini che sostengono che spetti soprattutto a loro decidere chi è e

chi non è ebreo.

La posizione “islamica”: “La Palestina ai palestinesi”

La posizione “islamica” si fonda su di una rivendicazione storica. Prima

della Risoluzione 181 dell’Assemblea generale dell’ONU (sempre 29 novembre

1947), i palestinesi costituivano la maggioranza in Palestina, prima del Mandato

(1922) costituivano una grande maggioranza, prima della Prima guerra

mondiale (1914), costituivano la grandissima maggioranza del paese, provincia

dell’Impero ottomano.

Questo vulnus (la partizione della Palestina mandataria) costò l’espulsione di

750.000 abitanti palestinesi nel 1948, e la perdita di terre e di abitazioni, oltre

che lo spazio di vita, diventato una lunga serie di campi profughi, nei paesi

confinanti. Nel 1967 poi, ci fu una nuova guerra ed un’ulteriore espulsione, con

l’avvio di una colonizzazione dei Territori occupati con la guerra, mai

arrestatasi anche in pieno processo di pace, per culminare infine nella recente

costruzione del Muro che ha stravolto quel che restava di una vita quotidiana

comunque assai drammatica.

L’aspirazione di questa posizione consiste nel recupero totale del territorio

palestinese da parte della comunità araba, ignorando la storia, o meglio

ipotizzandone cicli più ampi, all’interno dei quali lo Stato d’Israele potrebbe

rappresentare una parentesi. Questa posizione viene da lontano, già dai primi

anni del 1900, era rappresentata dal rifiuto, da parte dei palestinesi, del

sionismo prima, della dichiarazione Balfour poi, della logica imperialista del

Mandato successivamente e infine della decisione dell’Assemblea generale

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dell’ONU di “suggerire” di dividere la Palestina, anche con modalità

decisamente asimmetriche tra arabi ed ebrei, tutte a favore degli ebrei che

rappresentavano soltanto poco più del 30% degli abitanti (e soltanto il 5% della

proprietà privata).

E’ in questo quadro che si coglie assai bene l’essenzialità del problema del

ritorno dei profughi, cacciati dalle loro case e dalle loro terre, la cui espulsione

non è in ogni caso attribuibile alla partizione ma soltanto alla guerra seguita alla

partizione stessa, prima tra palestinesi (arabi ed ebrei) e poi tra lo Stato

d’Israele e gli Stati arabi, contrari alla partizione (e desiderosi di partecipare alla

spartizione della Palestina (Transgiordania ed Egitto in primo luogo).

Il rifiuto di cui abbiamo appena parlato, si riassume nel non riconoscimento

dello Stato d’Israele da parte di chi, oggi, si fa portabandiera della posizione

islamica, in primo luogo Hamas che preferisce evidenziare la presenza

ingombrante ed illegale dell’esercito israeliano e quindi non intende riconoscere

nessuno prima che questo nessuno non abbia abbandonato i Territori

illegalmente occupati nel 1967. Soltanto dopo, Hamas si dichiara disposto a

trattare in un quadro strategico più ampio.

Il discorso si fa più complesso articolandosi su due slogan che si legano

dialetticamente, oltre ad opporsi drasticamente, anche se il primo è diventato la

condicio sine qua non perché si possa affrontare la questione palestinese, senza

essere accusati immediatamente di antisemitismo:

1) Il diritto dello Stato d’Israele ad esistere

2) L’entità sionista deve scomparire

Divagazioni sulla comunità internazionale

La comunità internazionale, alla quale l’Italia è rigorosamente allineata, non

fa alcun riferimento al diritto internazionale e alla reale illegale occupazione

della Cisgiordania e della striscia di Gaza (sì, anche la striscia di Gaza isolata

dal resto del mondo da un controllo asfissiante dell’unico legame con l’esterno,

il valico di Rafah, da parte dell’esercito israeliano e dove i carabinieri italiani

non si sa bene cosa ci stiano a fare!), e antepone a tutto il riconoscimento dello

Stato d’Israele da parte di chi non ha fatto che subire violenze e ingiustizie da

questo Stato.

A me sembra particolarmente ridicolo (ed odioso) aver preteso, dal governo

palestinese, uscito dalle elezioni democratiche del gennaio 2006, il rispetto

degli accordi di Oslo, (pena il suo non riconoscimento! Un chiaro ricatto,

portato fino alle estreme conseguenze, con l’esclusione di Hamas da qualsiasi

trattativa, in quanto “terrorista”!) dal momento che lo Stato d’Israele di fatto

non ne ha rispettato quasi nessuno ed ormai di questi accordi non ne è rimasto

in piedi nessuno, salvo il reciproco riconoscimento fra lo Stato d’Israele e

l’OLP!

E’ bene ricordare che la Dichiarazione dei princìpi (alla base del processo di

pace) comportava trasferimenti di potere, una forza di polizia palestinese,

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l’elezione a suffragio diretto di un Consiglio legislativo palestinese in

Cisgiordania e nella striscia di Gaza, “tappa preparatoria significativa in vista

della realizzazione dei diritti legittimi del popolo palestinese”, che l’offensiva

del marzo 2002 ha praticamente cancellato. Quanto al parlamento palestinese,

molti suoi membri sono nelle carceri israeliane e lo Stato d’Israele non ne

riconosce il legittimo governo.

Le regolamentazioni a venire dovevano in ogni caso basarsi sulle risoluzioni

242 e 338 del Consiglio di sicurezza dell’ONU. La risoluzione 242 del 22

novembre 1967, (lo ricordo per gli smemorati, compresi diversi miei amici)

imponeva l’instaurazione della pace e affermava il principio del “ritiro delle

forze armate israeliane dai territori occupati durante il recente conflitto”. La

risoluzione 242 inoltre, affermava il dovere "di realizzare una giusta

regolamentazione della questione dei rifugiati". La risoluzione 338 del 22

ottobre 1973, reitera queste richieste, sostiene che una potenza occupante non

può modificare, in modo definitivo, il territorio occupato o parte di esso (non

può sostanzialmente creare colonie) ed esige di porre fine ai combattimenti.

Che cosa e chi garantisce ad Hamas, governo legittimo palestinese (anche se

ora è stato messo da parte e accusato anche di un colpo di stato!) che otterrà

qualcosa di sostanziale in termini di cessazione dell’occupazione militare

israeliana e non il ritorno al tran-tran di dieci anni fa, con Stati Uniti ed Israele

alla guida e con l’ANP come ruota di scorta? Unica cosa certa, per Hamas è

che, se tutto questo avvenisse, perderebbe quel credito accumulato nei confronti

dei palestinesi, fatto di solidarietà sociale e di correttezza amministrativa!

Meglio avere qualche carta, anche se difficile da giocare sul piano dei media

occidentali, piuttosto che subire diktat e basta! E la comunità internazionale?

Via Hamas, vediamocela con Abu Mazen!

Nessuno ha paura del ridicolo in questa storia! Sapete quali sono le

dimensioni della Striscia di Gaza, lo spazio cioè sul quale Hamas avrebbe

compiuto un colpo di stato? 350 kmq! E le dimensioni della Cisgiordania? 5660

kmq! Ammesso (e non concesso dagli israeliani) che i palestinesi disponessero

di tutti i territori occupati, Hamas avrebbe fatto un colpo di stato (in uno stato

che non esiste) assicurandosi il controllo dello 0,06 del territorio, insomma il

6%. Altro che scontro religioso, ha ragione Benedetto XVI non c’è più

religione, ma tanta faccia tosta!

Ancora su “Due popoli, due Stati”

Lo slogan Due popoli, due Stati, che abbiamo visto riassume la posizione

occidentale, ma è anche condivisa dalla componente palestinese legata ad Abu

Mazen, di fatto nasconde un’ambiguità enorme, favorendo in particolare

l’opportunismo delle forze politiche.

A livello dei governi, sembra giusto (ma anche comodo) sostenerlo. Quanto

poi a riconoscere che di Stato ce n’è uno solo ed è quello che occupa il territorio

sul quale dovrebbe nascere l’altro, è un altro problema. A livello partitico la

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situazione è ancora più ingarbugliata. Tutti però fanno una premessa, come se

realmente esistesse un pericolo per lo Stato d’Israele o se il riconoscerlo ne

riduca i pericoli, e cioè che occorre riconoscere preliminarmente lo Stato

d’Israele.

Ma perché? Per un occidentale, forse, è molto più semplice capire che lo

Stato d’Israele è ormai un fatto storico e, in quanto tale, occorre farsene una

ragione, pur avendo chiara a mente la sua nascita artificiale, (come è avvenuto

anche per altri Stati), ma in ogni caso non dimenticando sulle spalle di chi è

nato, ma per un mediorientale, un arabo, un palestinese non è la stessa cosa!

Una cosa è leggere su di un libro di storia che nel 1947 l’ONU decise di

dividere la Palestina in due Stati (dei quali ne è nato soltanto uno!) e una cosa è

far parte del popolo che ha subito l’espulsione, dal 78% della propria terra, di

750.000 persone nell’arco di pochi mesi! E, come se non bastasse, il rimanente

22% della terra è occupato militarmente da 40 anni. I palestinesi non sono

tenuti a riconoscere lo Stato d’Israele, quanto piuttosto a misurarsi con questa

situazione storica che si è determinata e trovare, realisticamente, una soluzione

giusta, non certo aspettare le briciole del banchetto israeliano che sembra non

arrestarsi mai!

Analizziamo dunque un po’ meglio lo slogan Due popoli, due Stati.

Innanzitutto detta formulazione si rifà ad una situazione che vede già nato lo

Stato d’Israele e dunque trascura le ragioni dei palestinesi che, sin dal primo

congresso sionista di Basilea del 1897, si erano opposti ad uno Stato ebraico in

Palestina. Ma anche a voler trascurare questo aspetto, occorre avere il coraggio

di dire che l’ipotesi Due popoli, due Stati, è da tempo fallita.

Ripercorriamo una volta per tutte gli eventi a partire dalla Risoluzione 181.

Secondo la Risoluzione dell’Assemblea generale dell’ONU del 29 novembre

1947, la Palestina mandataria avrebbe dovuto essere divisa in:

- uno Stato arabo, con una popolazione di 758.530 arabi e di soli 9520 ebrei,

che avrebbe coperto il 42,88% della superficie totale del paese (11.287.312

dunum);

- uno Stato ebraico che si sarebbe esteso sul 56,47% della superficie

(14.864.611 dunum), con una popolazione di 905.000 abitanti di cui 498.000

ebrei e 407.000 Arabi, senza però tenere conto dei beduini presenti nell’area

assegnata allo stato ebraico (105.000). Si sarebbe trattato perciò di uno stato a

maggioranza…araba! In sede di commissione si provvide poi, a cancellare

almeno questa assurdità, assegnando Jaffa allo Stato arabo.

- la zona internazionale di Gerusalemme posta sotto l’egida dell’ONU che

avrebbe coperto il restante 0,65% (171.100 dunum), con una popolazione di

105.000 Arabi e 100.000 ebrei.

Dunque la Risoluzione 181 dell’ONU sanciva la nascita di due Stati, che

sarebbe dovuta avvenire due mesi dopo la fine del Mandato britannico, fissata

dalla Gran Bretagna per il 15 maggio 1948. A parte il fatto che, dopo il voto, i

delegati arabi dichiararono di non sentirsi legati ad essa ed abbandonarono la

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seduta, ascoltiamo cosa disse in quella occasione, il delegato del Pakistan,

Zafrulla Khan:

[...] È stata appena presa una grave decisione. Cala il sipario. Il

presidente americano ha detto: ‘Abbiamo fatto tutto quello che potevamo per

fare il bene così come Dio ce lo ha mostrato’. Egli è effettivamente riuscito a

persuadere un numero sufficiente di nostri colleghi-rappresentanti perché

vedessero il diritto così come lui lo percepiva, senza permettere loro di

sostenere il diritto per come loro lo concepivano.

I nostri cuori sono tristi, ma la nostra coscienza è tranquilla. Non lo sarebbe

se avessimo fatto parte dell’altro schieramento. Gli imperi appaiono e

scompaiono [...]. Oggi non si parla che di Americani e di Russi. [...] Nessuno

può dire se la proposta che questi due grandi paesi hanno patrocinato e

appoggiato sarà benefica o nefasta. Noi temiamo tuttavia che gli effetti

benefici, se ce ne saranno, saranno poco importanti se confrontati con i danni

causati da questa spartizione.

Questa decisione è priva di qualsiasi validità legale. Noi non proviamo

alcun rancore verso coloro che sono stati spinti, con pesanti pressioni, a

cambiare schieramento e a dare il loro voto per appoggiare una proposta, che

consideravano ingiusta. Proviamo anche simpatia nei loro confronti”.

Di fatto, dopo la guerra del 1948, nacque un solo Stato, quello ebraico, sul

78% della Palestina e con una popolazione per l’85% ebraica e una componente

araba pari al 15%. Nacquero anche 750.000 rifugiati e il quadro non sarebbe

completo se non si ricordasse che del restante 22%, l’Egitto occupò l’1% (la

striscia di Gaza) e la Transgiordania il 21% (la Cisigiordania), mentre

Gerusalemme diventava un po’ ebraica (Gerusalemme Ovest) e un po’

transgiordana (Gerusalemme Est).

Forse ci si sarebbe dovuto aspettare che la risoluzione 181, unica a

legittimare Israele a livello internazionale, venisse fatta rispettare per intero! E

invece niente di niente. Due popoli, due Stati? Un completo fallimento!

Nel 1967, Israele conquistò con la guerra, oltre al Sinai e alle alture del

Golan, anche il restante 22% della Palestina, quel territorio cioè dove, dal 1948,

avrebbe potuto nascere uno Stato palestinese. Nascono invece i Territori

occupati. La Risoluzione 242, adottata il 22 novembre 1967, dal Consiglio di

sicurezza delle Nazioni Unite, all’unanimità, […]

1. Afferma che il compimento dei princìpi della Carta esige l’instaurazione

di una pace giusta e durevole nel Medio Oriente, che dovrebbe comprendere

l’applicazione dei due princìpi seguenti:

i) ritiro delle forze armate israeliane dai territori occupati durante il recente