La guerra civile spagnola (recensione)
di Benigno Roberto Mauriello - 22/09/2007
Benigno Roberto Mauriello
LA GUERRA CIVILE SPAGNOLA
Solfanelli, 160 pp., euro 10
I
l libro di Mauriello sulla Guerra CivileSpagnola è un buon esempio di “revisione
storica” del passato. Nel caso del testo
in questione, parlare di “revisione storica”
e non di “revisionismo” significa indicare
anche ai più scettici tra gli specialisti
un lavoro originale e di valore. Secondo
Mauriello, infatti, sbaglierebbe chi
considerasse ancora la Guerra Civil una
semplice contrapposizione tra fascismo e
antifascismo o l’inevitabile preludio della
Seconda guerra mondiale. Prima di tutto,
andrebbe sempre rimarcato come sia
improprio parlare di fascismo relativamente
al complesso di forze che riuniva i
seguaci dell’Alzamiento. Per esempio, gli
uomini della Falange spagnola (che, rappresentava
il connubio fra la tradizione
iberica, cattolica e nazionalista, e le teorie
corporativiste diffuse in molte zone
d’Europa) si consideravano fondamentalmente
i diretti discendenti degli hidalgo
e i custodi della grandezza dell’Impero.
Josè Antonio Primo de Rivera seppe poi
raccogliere le speranze e le aspirazioni di
quei militari ostili alla Repubblica e che
non nutrivano più alcuna fiducia nella corona
di Spagna. Il fascismo fu invece un
movimento popolare corporativo, ma di
derivazione socialista e anticattolico (almeno
fino a un certo periodo).
Uno degli indubbi pregi del testo di
Mauriello è quello di evidenziare le cause
più remote all’origine della Guerra Civil.
Lungi dall’esaurirsi nel tempo, esse si
trasformarono nel cancro che distrusse la
società spagnola. Già all’epoca delle invasioni
napoleoniche, di fatto, vi fu una
profonda e talvolta violenta contrapposizione
fra il tradizionalismo, rappresentato
soprattutto dalla chiesa, e le correnti di
pensiero illuministiche che iniziarono a
diffondersi a partire dal XVIII secolo.
Dalle riflessioni laiche e liberali - inadeguate
a comprendere il forte radicamento
nelle società del nazionalismo e del
cattolicesimo fino dai tempi della Riconquista
- sorsero le fanatiche rivendicazioni
alla base del conflitto. Nella diffusione
di quelle idee, fu poi molto importante il
ruolo avuto dalla massoneria iberica. Anche
se restarono a lungo confinate a una
ristretta minoranza intellettuale del paese,
esse alimentarono nel tempo le lotte
anticattoliche. Basta ragionare su un fatto:
le riforme agrarie “democratiche” del
’31-’32 che spianarono la strada all’Alzamiento
sono in qualche modo figlie del
Rapporto sulla legge agraria di G.M.de Jovellanos
o delle leggi sulla liberalizzazione
delle vendite dei beni ammortizzati
promulgate dal ministro Mendizabal
(1837) e completate in seguito da Madoz
(1855). Queste ultime, privando la chiesa o
i municipi del loro patrimonio immobiliare,
invece di alleviare la fame dei braccianti
agricoli, “servirono solo a procurare
proprietà e prestigio alla borghesia liberale
arricchita”. Nacque così il latifondo
e la coltivazione a bassa rendita, che
resero ancor più poveri i contadini impossibilitati
ad esercitare quei diritti di cui
godevano sulle terre di demanio ecclesiastico
e municipale. Le riforme del ’31-’32
acuirono il problema e i contadini ebbero
la possibilità di ottenere piccoli appezzamenti
solo pagando un forte riscatto.
Il libro insiste, inoltre, sul fatto che la
Guerra Civil non fu affatto il banco di prova
della Seconda guerra mondiale. Fu,
piuttosto, conseguenza di precari equilibri
resi possibili dalla minor importanza
strategica dell’evento. L’Urss era ancora
troppo debole per competere con la Germania
in piena espansione bellica e Stalin
aveva l’interesse a ordinare al Comintern
una collaborazione a tutto campo con
le sinistre riformiste. “L’intervento sovietico
in Spagna doveva mostrare la ‘moderazione’
della politica estera stalinista, la
possibilità della convivenza con la liberaldemocrazia
e l’affidabilità dell’Unione
Sovietica come alleato per l’occidente”.
In una simile prospettiva, Stalin – liberatosi
di Trockij – riportò sotto un rigido
controllo la componente anarchica e i militanti
del Poum. Il dittatore georgiano
era troppo abile per non comprendere come
le democrazie occidentali, costrette a
scegliere tra due mali, avrebbero probabilmente
appoggiato una crociata antibolscevica
della Germania e dell’Italia, tanto
più in un teatro limitato quale era quello
spagnolo. Certo, a Stalin non sarebbe dispiaciuta
una testa di ponte comunista
nell’Europa occidentale, ma più per saggiare
le reazioni delle democrazie capitaliste
o la forza del nazionalismo tedesco
che per reale convinzione strategica. Le
esecuzioni in massa degli anarchici furono
pertanto ordinate dal Comintern, che
vide in Palmiro Togliatti uno degli esponenti
più intransigenti e autorevoli. Egli
espresse molto chiaramente la sua posizione
affermando: “Per noi è assolutamente
fuori discussione che esiste una identità
di obiettivi fra la politica di pace dell’Unione
Sovietica e la politica della classe
operaia e dei partiti comunisti dei paesi
capitalistici… Noi non difendiamo soltanto
l’Unione Sovietica in generale, ma
difendiamo in concreto tutta la sua politica
e ogni suo atto”. (
Bruno Pampaloni)