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Santa Sofia a Istanbul

di Matteo Metta - 22/09/2007

   
In mostra a Rimini le immagini fotografiche di Santa Sofia, la basilica di Costantinopoli eretta - per ordine di Giustiniano I e su progetto degli architetti Antemio di Tralle e Isidoro di Mileto - sulle macerie della chiesa fatta costruire da Costantino il Grande e abbattuta da un terremoto.
Trasformata in moschea dopo la conquista dei Turchi, fu infine adibita a museo nel 1934, su decisione del primo Presidente della Repubblica turca Mustafa Kemal Atatürk; le sue gigantesche proporzioni ne fanno uno dei monumenti chiave dell’architettura di tutti i tempi. La grande cupola focalizza verso l’alto tutto l’ambiente architettonico.
Oltre alle riproduzioni fotografiche, sono esposti anche preziosi cimeli e oggetti di pregevole fattura, testimoni delle pratiche religiose e delle incoronazioni degli imperatori romani d’Oriente.


I fasci di luce che penetrano dalla cupola si incrociano a diverse altezze con quelli che entrano dalle massicce pareti. Sembrano tante sciabole luminose che si sfidano per smaterializzare il grandioso complesso architettonico e dilatarne la spazialità, complice l’effetto riverbero degli sfondi dorati dei mosaici. Ci si sente davvero creature minuscole nella basilica di Santa Sofia a Istanbul, sovrastati dall’immensa cupola che supera i trenta metri di diametro. È un dominio che sembra elevare più che schiacciare, innalzare più che investire, quello della grande cupola, «aurea sfera sospesa al cielo», come la definì lo storico Procopio di Cesarea, che assistette alla costruzione di quest’architettura rivoluzionaria voluta dall’imperatore Giustiniano per colmare il vuoto lasciato dalla chiesa di Costantino, distrutta da un terremoto nel 532. Il rischio che un così ardito articolarsi di volumi non potesse reggere era così elevato che gli stessi architetti, Antemio di Tralles e Isidoro di Mileto, esposero a Giustiniano molte perplessità sul progetto. L’invito dell’imperatore bizantino fu di proseguire senza indugi perché sarebbe bastata la fede a sostenerlo, e naturalmente la forza del Supremo Architetto. A distanza di pochi anni, i segni di cedimento non tardarono a manifestarsi; il problema rimaneva la vertiginosa cupola. Tuttavia, dopo un primo “ritocco” e le continue minacce di crollo, dobbiamo ammettere che il sovrano giurista ci aveva visto giusto: regge ancora nonostante siano trascorsi quindici secoli. Questi non seppe trattenere un moto di orgoglio di fronte all’opera conclusa: «O Salomone, ti ho superato!». E pare che un poeta di corte apprezzato come Paolo Silenziarlo, guardando la cupola, a bocca aperta esclamò: «Sembra scendere dal cielo appesa a una catena d’oro».
Chi voglia fotografare questo gioiello architettonico, simbolo dell’antica Costantinopoli, si renderà conto che è difficile catturare con l’obiettivo la visione che si ha quando si è nell’edificio, tanto è volubile il gioco di luci e riflessi che la caratterizzano. La sua trasformazione nel 1935 in museo, per volontà di Atatürk, nulla ha tolto alla fluttuante e mistica sacralità del luogo di culto, prima come chiesa dedicata alla Divina Sapienza (“Haghia Sophia”) e poi, dopo la caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi Ottomani, come moschea. Non un fotografo da cavalletto quindi avrebbe potuto portare a casa un reportage su Santa Sofia come quello che si può ammirare a Rimini, nelle sale di Castel Sismondo (fino all’11 novembre), nella mostra inaugurata durante i giorni del Meeting. L’autore, Franco Pagetti, è un fotoreporter di guerra [...] Solo un fotografo abituato all’azione e alla concitazione, più che al raccoglimento silente, poteva restituire davvero un’immagine così vibrante di Santa Sofia [...]. Pagetti e i curatori della mostra sono interessati soprattutto all’anima cristiana di Santa Sofia, che trasuda dagli spazi architettonici sì, ma anche dai meravigliosi mosaici figurativi con i volti del Cristo e dei santi, anche se molto del loro passato splendore è purtroppo scomparso sotto l’intonaco sparso dai mussulmani per cancellare le figura umane vietate dall’Islam. Un mostra non solo fotografica. Il ricordo delle pratiche religiose, ma anche delle incoronazioni degli imperatori romani d’Oriente, è affidato infatti a una selezione di oggetti di pregevole fattura, usciti nel corso dei secoli dalle famose officine costantinopolitane e da altre botteghe bizantine: oreficerie, smalti, avori, mosaici e cristalli Alcuni sono davvero notevoli. Spiccano il Ciborio di Anastasia (conservato nel Tesoro di San Marco a Venezia): un reliquiario che ha le forme di un prezioso monumento in marmo ed esemplifica le costruzioni bizantine a pianta centrale del VI secolo. Dai Musei Vaticani arriva invece lo stupefacente trittico in avorio, datato agli inizi del secolo XI. Nell’insieme delle decorazioni, che coprono tutta la sua superficie e che un tempo dovevano essere impreziosite da gemme e perle, campeggiano le longilinee ed eleganti figure di santi: di una perfezione commovente.