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I Paiute del Nevada

di Francesco Lamendola - 22/09/2007

 

      Questo articolo è la continuazione dei due precedenti: "La fine delle guerre indiane: un popolo in ginocchio" e "La religione degli Indiani d'America prima di Wovoka", coi quali forma un trittico dedicato a delineare i presupposti della "Ghost Dance" o "Danza degli Spettri", che nel 1889-90 vide l'ultimo tentativo indiano di scuotere il giogo dei bianchi servendosi di mezzi essenzialmente religiosi. Ma le autorità di Washington ne ebbero paura, e inviarono la cavalleria contro i Sioux, la più fiera delle tribù che avevano aderito alla nuova religione: ne seguì il criminale massacro sul fiume Wounded Knee, che pose fine alla "Ghost Dance" e alle ultime speranze di riscatto degli Indiani del Nord America. Ad essi, dopo quell'ultimo sprazzo di vitalità, non rimase che una impietosa alternativa: cercare di integrarsi nel mondo dei bianchi oppure sparire lentamente, per consunzione, nello squallido scenario delle riserve governative.

 

1.     UNA TRIBU' REIETTA.

 

 

      La vasta sezione dell'altopiano occidentale nord-americano compresa fra il Colorado, la Sierra Nevada e il fiume Snake prende il nome di Great Basin, Gran Bacino. È una delle regioni più aride e squallide di tutta  l'America settentrionale, elevata in media fra 1.000 e 1.500 metri, percorsa da brulle catene montuose che scendono da nord verso sud, e fra le cui pieghe, sul bordo più occidentale,  si raccolgono alcuni laghi di origine glaciale: il Pyramid, il Walker, il Tahoe, il Mono. Il clima è di tipo continentale, con scarse precipitazioni piovose, poiché la formidabile barriera della Sierra Nevada - che raggiunge  i 4.418 metri d'altitudine col Monte Whitney - fa da scudo alle nuvole  portatrici di pioggia provenienti dall'Oceano Pacifico.  D'inverno le nevicate sono abbondanti e la temperatura è molto rigida. La vegetazione è magra e stentata: la maggior parte del Gran Bacino è un deserto vero e proprio, ove è impossibile qualsiasi forma di agricoltura.

      Le condizioni di vita sono perciò, ovunque, estremamente difficili, anche ai piedi della grande Sierra che corre per 700 km. lungo il margine dell'altopiano. Le sue pendici sono tanto dolci e splendide di vegetazione sul versante della California, caratterizzate dalle maestose sequoie e da numerose specie di tipo alpino, quanto ripide, spoglie e desolate su quello interno. Essa costituisce una formidabile barriera naturale fra il mondo californiano, con le sue fertili vallate dal clima mediterraneo, e l'inclemente altopiano interno. Storicamente, le tribù indiane stanziate sugli opposti versanti della Sierra Nevada vissero sempre in un reciproco isolamento: nonostante la vicinanza geografica, esse appartennero a due mondi culturali separati.

      La parte centrale del Gran Bacino è occupata dallo Stato del Nevada, vasto quasi quanto l'Italia (286.297 kmq.), ma che è ancor oggi, nell'èra delle comunicazioni aeree e della moderna agricoltura irrigua, il meno popolato dell'Unione, dopo l'Alaska, con una popolazione di 592.000 abitanti (1), e una densità media di 1,5 abitante per chilometro quadrato. Gli Indiani viventi nel Nevada erano 6.681 nel 1960, un numero senza dubbio inferiore a quello precedente l'arrivo dell'uomo bianco (2), appartenenti principalmente alla tribù dei Paiute.  (3) Oggi sono concentrati nelle riserve di Pyramid Lake,  Walker River,  Summit Lake,  Western Shoshone  e Goshute, ed in altre più piccole (4), mentre un tempo vivevano sparsi un po' dovunque  e si spostavano continuamente alla ricerca di cibo.

     

      La religione della Danza degli Spettri sorse fra i Paiute ed è quindi necessario soffermarsi a considerare chi erano,  come vivevano, qual era il loro  livello di civiltà materiale e spirituale  nel XIX secolo.

      I Paiute (o, secondo  altre grafie, Pahute o Piutes)  appartengono alla grande famiglia delle lingue uto-azteche, diffusa dal Messico meridionale all'estremità nord del Gran Bacino; e, più precisamente, alla sotto-famiglia linguistica degli Shoshoni. Quest'ultima comprende, oltre ai Paiute, gli Shoshoni propriamente detti, gli Ute e i Comanche.  Gli Ute, a loro volta, si differenziano in Ute e Gosiute, mentre il suffisso -ute ci informa che gli stessi Paiute  dovettero avere strette affinità con queste popolazioni.  I Bannock erano, nell'Ottocento, una importante tribù del gruppo,  che fu protagonista di una notevole guerra contro i bianchi, ma in seguito vennero pressoché sommersi dall'ondata migratoria degli Shoshoni, coi quali si confusero quasi del tutto.  Talvolta si nomina un'altra tribù della sotto-famiglia linguistica degli Shoshoni, quella dei Paviotso, ma essi non costituiscono, in effeti, che il ramo settentrionale dei Paiute.

      Di queste tribù le più potenti e bellicose erano quelle dei Shoshoni, a nord del fiume Snake e a sud del territorio occupato dai Nez Percés; e dei Comanche, stabiliti inizialmente ad est dei Soshoni, nel Wyoming, donde nel corso del 1700 furono respinti verso sud, fino al Texas, dalla pressione dei Sioux. I Bannock vivevano a nord del Gran Lago Salato, i Paiute nel Nevada e nell'angolo dell'Arizona, fino al Gran Canyon del fiume Colorado. I Paiute settentrionali o Paviotso, cui apparteneva il messia Wovoka, occupavano la sezione del Gran Bacino a nord-ovest del fiume Humboldt, ossia la regione dei laghi ai piedi della Sierra Nevada.

      Secondo i dati forniti dal professor Omer C. Stewart, docente di antropologia  presso l'Università del Colorado, i Paiute settentrionali assieme ai Bannock contavano 8.000  individui nel 1870 (prima  della "Bannock War", la "guerra dei Bannock") e i Paiute meridionali 2.527, per un totale di 10.527.  Alla stessa data gli Ute erano 4.000, i Gosiute 256, i Comanche 4.000 (nel 1872), dati tutti precipitati tra la fine dell'Ottocento  e gli inizi del Novecento. (5)

 

     Ma chi erano i Paiute, che tipo di vita facevano,  qual era la loro reputazione fra gli Indiani delle altre tribù? Abbiamo visto che abitavano una terra quanto mai ingrata e difficile, forse addirittura la più ingrata e la più difficile di tutta l'immensa regione corrispondente agli odierni Stati Uniti d'America. Sulle lande desolate del Nevada non era praticabile una agricoltura sedentaria e la stessa selvaggina era estremamente scarsa e misera. I Paiute, quindi, erano raccoglitori nomadi, e le loro principali risorse alimentari erano costituite da semi e radici commestibili, tanto che ricevettero dai bianchi l'appellativo di "diggers", "scavatori" o, meglio, "sterratori". La caccia era limitata alle poche specie esistenti  nell'area del Gran Bacino, ossia alcuni montoni selvatici, antilocapre, ma soprattutto conigli, topi e lucertole.(6) Non c'erano, sul loro territorio, le grandi mandrie di bisonti; di tutto il gruppo linguistico shoshone, solo i Comanche godevano della fortuna di poter cacciare il bisonte. I più fortunati fra i Paiute erano quelli che abitavano nella zona del Grand Canyon, dove abbondavano i cervi. Questi animali servivano non solo per il fabbisogno alimentare, ma anche per fornire delle ottime camicie, pratiche e resistenti, che erano un capo d'abbigliamento pregiato; proprio come nel caso del bisonte, anche qui nulla dell'animale ucciso andava mai sprecato.(7) Quando non trovavano alcun tipo di selvaggina verterbata, tuttavia, i Paiute - specialmente quelli dislocati nelle zone più aride e povere di fauna - non disdegnavano di cibarsi d'insetti.

       La necessità di disperdersi su un ampio raggio per non doversi contendere l'un l'altro le magrissime risorse della regione, aveva prodotto una estrema frammentazione sociale. Non v'erano tribù nel senso genuino della parola e nemmeno "clan", ma solo piccoli gruppi d'individui eternamente vaganti alla ricerca di cibo. Come fra certe popolazioni della Nuova Guinea, dell'Artide e di altre regioni del globo ove le condizioni di vita sono durissime, non c'era posto per delle bocche inutili da sfamare. I vecchi e i bambini malati venivano frequentemente abbandonati al loro destino. (8) La situazione era un po' migliore per i Paviotso, stanziati presso i laghi pre-cordiglierani, come il Pyramid, ove vivevano varie specie di pesci, compreso il salmone. Questi Indiani conducevano una vita meno errabonda ed erano conosciuti presso le tribù della Prateria  con il nome significativo, e non privo di una sfumatura di disprezzo, di "mangiatori di pesce." (9)

 

      Wovoka nacque e predicò fra costoro.  Le loro abitazioni erano quelle che ci si può aspettare da un popolo di raccoglitori nomadi  in ambiente steppico semi-arido:  delle miserrime capanne di cespugli intrecciati (10), non molto dissimili, ad esempio, da quelle dei Boscimani del Kalahari (Africa meridionale) o da quelle degli aborigeni dell'Australia. Wickiup era il nome che si dava alle capanne di canne tipiche del Gran Bacino.  Mancando il bisonte, non c'era la possibilità di rivestirle con pelli, e la scarsità di alberi d'alto fusto impediva la costruzione di ricoveri meno precari.  Del resto, dato il nomadismo dei Paiute e l'estrema scarsità di precipitazioni piovose, le capanne di cespugli erano sufficientemente pratiche; non offrivano, però, una protezione adeguata all'epoca delle nevicate invernali, quando il termomentro scende fino a 10 gradi centigradi sotto lo zero.(11)

       Negli ultimi decenni dell'Ottocento vi fu un mutamento estremamente significativo nella vita materiale e culturale dei Paiute. Molti di essi, infatti,  accettarono di lavorare nelle fattorie degli uomini bianchi; allora l'antico nomadismo si attenuò e venne meno e, all'interno dei wickiup, fecero la loro comparsa vari oggetti sconosciuti alla loro cultura tradizionale. Con la sedentrarizzazione e con l'adozione di uno stile di vita influenzato dagli usi dei bianchi e dalle loro tecniche materiali - oltre, naturalmente, alla diffusione del cristianesimo - si può dire che gli Indiani del Gran Bacino vissero una autentica "svolta" antropologica, passando a una fase storica totalmente nuova.

 

 

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    I Paiute non godevano di una buona fama presso gli altri popoli indiani del Nord America. Essi erano disprezzati per le loro abitudini di vita primitive e trattati alla stregua di "grandi reietti". (12) Non avevano nemmeno una fama guerriera, quantunque prendessero parte coraggiosamente alla guerra del 1878 contro i bianchi; e le virtù guerriere erano, notoriamente, quelle più apprezzate nella società indiana. Vivevano sparpagliati su di un territorio vastissimo, semplicemente perché nessun'altra tribù aveva mai avuto alcun interesse a scacciarli dalle misere sedi in cui abitavano.

     Ha scritto uno studioso americano:

 

      "Gli altri Indiani consideravano gli 'scavatori' con molta pietà e con molto disprezzo. Nei primi anni del 1800 alcuni gruppi di Pah-Ute vivevano entro i confini dell'attuale riserva dei Navaho nelle zone più occidentali e più aride. Gli Hopi avevano qualche contatto con loro, ma Pah-Ute era sinonimo di ignoranza. Ancor oggi, se un Hopi parla di argomenti connessi con il rituale segreto delle cerimonie davanti a un bambino o a una persona non appartenente alla tribù, c'è sempre qualcuno che lo invita a tacere, dicendo: 'Non vedi che c'è un Pah-Ute?" (O. LA FARGE, Il mondo degli Indiani, tr. it. Milano, 1969, pp. 145-46).

 

      Non erano sempre stati così, i Paiute. Un tempo la loro civiltà materiale e, per conseguenza, spirituale, era stata molto più evoluta. Originariamente, infatti, essi avevano praticato delle forme rudimentali di agricoltura semi-sedentaria, sfruttando le vallate dei fiumi Humboldt, Owhyee, Walker e Carson. Questa condizione durò fino a tutto il XVIII secolo, cioè fino a quando l'altipiano compreso fra le Montagne Rocciose e la Sierra Nevada era rimasto fuori della portata dell'avidità di terre degli uomini bianchi.

      Allora i Paiute avevano sviluppato forme di artigianato artsitico ammirate e invidiate dagli altri popoli indiani dell'Ovest, in particolare l'arte di costruire canestri, cappelli e reti per la caccia. Scrive ancora lo storico sopra citato:

 

      "Molto diffusa era l'arte di costruire canestri e reti per la caccia. I canestri dei Pah-Ute erano molto belli, e fu probabilmente da questo popolo che i Navaho e gli Apache appresero tale forma di artigianato.

      "Le donne fabbricavano pure cappelli con la tecnica impiegata per i canestri. I cibi venivano cucinati nei canestri con il procedimento chiamato della 'bollitura con le pietre'. Alcune pietre arroventate sul fuoco venivano gettate una dopo l'altra in un canestro pieno d'acqua, finchè questa bolliva. Il sistema era diffuso in tutte le zone del Nord America dove i cibi venivano cotti senza la possibilità di usare recipienti resistenti al fuoco. Anche gli Indiani della prateria usavano lo stesso sistema di cottura, ma impiegando al posto dei canestri lo stomaco accuratamente lavato dei bisonti. Alcuni canestri fabbricati nel Grande Bacino presentano singolari somiglianze con quelli della cultura dei 'canestrai'. È molto probabile che le tribù del Gran Bacino abbiano a suo tempo ereditato alcuni elementi della cultura dei 'canestrai' prima che questi imparassero le tecniche agricole, mantenendoli immutati perché l'ambiente impediva ogni modificazione." (O. LA FARGE, Op. cit., p.145).

 

      Ma il 7 novembre 1805 gli esploratori M. Lewis e G. R. Clark giunsero per la prima volta, provenienti dal Missouri, in vista del Pacifico; e da quel momento l'equilibrio ecologico e sociale del Gran Bacino, già tanto delicato e precario, venne definitivamente rotto. J. C. Frémont, a sua volta, penetrò in California nel 1843-44 e nel 1845-47 e subito dopo, nel 1848, vi fu scoperto l'oro. Ondate sempre rinnovate di coloni, cercatori e avventurieri bianchi si rovesciarono verso la costa, passando per le terre dei Paiute.

      All'inizio essi non erano tentati di fermarsi nelle squallide lande del Gran Bacino, tranne una colonia di mormoni, stabilitasi nella Carson Valley nel 1849. I mormoni avevano fondato la città di Salt Lake City nel 1847, e nel 1850 erano stati riconosciuti dal governo di Washington quali fondatori del Territorio dell'Utah. Il Nevada fu dapprima incluso nell'area della comunità mormone. (13) Intanto l'avanzata dei bianchi stava scacciando i Paiute dalle zone più fertili e li stava facendo regredire allo stadio di cacciatori e raccoglitori nomadi, la stessa involuzione toccata ai Comanche sotto la spinta espansionistica dei Sioux. (14) I Paiute reagirono violentemente e nella cosiddetta "guerra shoshone" del 1854-55 si batterono con il coraggio della disperazione contro lo strapotere dei bianchi. La loro sconfitta segnò anche per essi l'inizio di una fase storica nuova, già conosciuta da molte tribù delle Praterie: la relegazione nelle riserve.

 

      Nel 1859 sui Monti Virginia, che dominano la riva occidentale del Lago Pyramid, fu scoperto l'oro. Non un filone qualunque: il Comstock Lode, ossia il giacimento aurifero più grande del mondo (15). Ebbe inizio una corsa febbrile da parte di innumerevoli coloni in cerca di fortuna; nacquero dei contrasti fra mormoni e minatori, e questi ultimi chiesero al Congresso l'annessione del Gran Bacino. Il governo centrale rispose dapprima proclamando la nascita del Territorio del Nevada, nel 1861; e poi, nel 1864, ammettendolo al rango di nuovo Stato - il trentaseiesimo - dell'Unione. Sottoposto a uno sfruttamento frenetico, il Comstock Lode poco alla volta si andava esaurendo, ma nel 1873 avvenne una nuova, fantastica scoperta:  la miniera d'argento della Grande Bonanza. Le cittadine dei minatori sorgevano sul desertico altipiano come per incanto, brulicanti di un'effimera vita, turbolenta e chiassosa, per poi trasformarsi - altrettanto bruscamente - in spettrali città-fantasma, dopo l'esaurimento dei giacimenti. 

    La popolazione indiana della regione, che non era mai stata numerosa,  venne completamene soverchiata dagli allevatori e dai minatori bianchi, nel ventennio fra il 1870 e il 1890 (16); e questo, secondo il professor O. C. Stewart, è almeno in parte all'origine dei due culti messianici sorti a quell'epoca fra i Paiute settentrionali, quello di Wodziwob e quello di Wovoka.

      Nel 1877 vi fu un crollo improvviso del valore dell'argento ed ebbe inizio il riflusso della marea bianca. Più di un terzo degli immigrati abbandonarono il Nevada negli ultimi anni del 1800, anche per la diminuzione del minerale nel Comstock Lode. (17)  Le condizioni di vita degli Indiani confinati nelle riserve  non trassero però alcun giovamento da questo momentaneo regresso. Esse erano così cattive che nel 1878 scoppiò una vasta rivolta, cui presero parte i Paiute, i Bannock e gli Shoshoni e che ebbe dai bianchi il nome di "guerra dei Bannock". Si trattò, in effetti, del più importante tentativo di riscossa degli Indiani a ovest delle Montagne Rocciose, e anche dell'ultimo.

      Benché non godessero di una fama guerriera paragonabile a quella di molte altre tribù, i Paiute possedevano però un fiero spirito d'indipendenza, e non avevano mai dimenticato le ingiustizie e le atrocità commesse dai bianchi nel passato. Ricordavano, ad esempio, il massacro di 278 dei loro, operato dal generale P. E. Connor nel 1863, quando un intero villaggio paiute era stato distrutto. (18) Ma soprattutto si erano coperti di gloria nel 1860 allorchè, attaccati da un forte gruppo di minatori cui avevano osato liberare due donne della loro tribù tenute prigioniere, armati solo di archi e frecce avevano ucciso circa 50 bianchi presso il Lago Pyramid, e messo in fuga gli altri. (19)

      Nel 1878, però, i rapporti di forza si erano troppo spostati a favore degli invasori e gli Indiani, con poche armi da fuoco, non poterono opporre che una breve resistenza.  La guerra dei Bannock si concluse com'era inevitabile e la tribù  che l'aveva principalmente animata, quella dei Bannock, venne respinta  entro le vecchie riserve dello Stato dell'Idaho. (20). Quanto ai Paiute, che - secondo la definizione di un capitano dell'esercito americano - "non valevano, come guerrieri, un fico secco" (21), essi videro precipitare definitivamente le loro speranze in un riscatto politico ancora possibile. Ormai, solamente Dio li avrebbe potuti aiutare.

      Era giunta l'ora della nuova religione.

 

 

NOTE.

 

 

1)           Ma erano solo 285.278 nel 1960, dei quali ben 200.704 concentrati nelle città: Las Vegas, Reno, North Las Vegas, Henderson, Elko, Carson City, ecc. The American Peoples Encyclopedia, vol. 13, p. 370. La popolazione del Nevada tende a rimanere stabile: nel 1994, era stimata di 286.352 abitanti (Calendario Atlante De Agostini, ed. 1997).

2)           Cfr., ad es., i dati forniti per i Paiute, Ute, Comanche da O. C. STEWART e riportati più avanti in questo lavoro.

3)           I Paiute sono dislocati nelle riserve occidentali; gli Shoshoni, il secondo gruppo indiano del Nevada, in quella al confine con l'Utah; i Waho sono un piccolo gruppo di circa 700 persone che i Paiute sottomisero nel 1860-62 e che oggi vivono in minuscole riserve presso il Lago Tahoe (contee di Washoe, Ormsby e Douglas).

4)           I Paiute hanno ripreso vitalità anche nei rapporti con i bianchi, vincendo, ad esempio, una causa nel 1972-73 contro il governo federale, la California e il Nevada riguardo al deterioramento ecologico del Pyramid Lake: cfr. W. E. WASHBURN, Op. cit., p. 297.

5)           O. C. STEWART, voce Shoshoni in The Enciclopèedia Americana, New York, 1969, vol. 24, p. 751. Nel 1910 i Paiute settentrionali erano scesi a 3.451, i meridionali a 1.079, i Comanche a 1.513.

6)           R. BIASUTTI, Razze e popoli della Terra Torino, 1967 (4 voll.) vol. 4, pp. 419-20. I frutti erano quelli del pino, del mesquite, del cactus, della Oryzopsis o "erba delle sabbie".

7)           O. LA FARGE, Il mondo degli Indiani, tr. it. Milano, 1969, p. 144.

8)           Cfr. Il Milione. Enciclopedia Geografica, Novara, 1970, vol. X, pp. 423-24. Per la Nuova Guinea cfr. A. DUPEYRAT, Nel paese degli uccelli Paradiso, tr. it. Milano, 1956, pp. 182-88.

9)           Così erano designati i Paiute, ad esempio, presso i lontani Sioux: cfr. D. BROWN, Seppellite il mio cuore a Wounded Knee Milano, 1980,  p. 437.

10)      T. T. WATERMAN, The Geographical Review, 1924.

11)      Cioè a - 50 gradi Fahrenheit: cfr. The American peoples Encyclopedia, vol. 13, p. 370.

12)      Cfr. Il Milione, cit., vol. X, p. 423.

13)      Sulla storia del Nevada si veda J. G. SCRUGHAM, History of Nevada (3 voll.), 1935.

14)      I Comanche però, unici  del gruppo linguistico uto-azteco,  avevano assimilato durante la loro permanenza  nel Wyoming la cultura tipica  degli Indiani delle praterie, basata sulla caccia la bisonte, mentre Soshoni e Ute avevano una cultura intermedia  tra quella delle Praterie e quella del Gran Bacino, fondata essenzialmente sulla racolta e su qualche  forma di agricoltura itinerante. Cfr. R. BIASUTTI, Op. cit., vol. 4, p. 420.

15)      S. E. MORISON- H. S. COMMAGER, Storia degli Stati Uniti d'America, tr. it. Firenze, 1974 (2 voll.), vol. 2, pp. 119-120.

16)      O. C. STEWART,  in The Enciclopedia Americana, cit., vol. 24, 751.

17)      The Amrerican Peoples Encyclopedia, vol. 13, p. 375.

18)      D. BROWN, Op. cit.,p. 119. Il generale Custer sosteneva che gli Indiani andavano "cacciati come lupi" dalla regione del Platte. Il massacro del 1863 avvenne sul Bear River (Fiume dell'Orso), un immissario del Gran Lago Salato, nello Utah settentrionale.

19)      J. MOONEY, The Ghost-Dance Religion and the Sioux Outbreak of 1890, ed. A. F. C.WALLACE, Chicago, 1976, p. 13 nota.

20)      O. KNIGHT (Univ. Di El Paso, Texas), in The Enciclopedia Americana, vol. 15, p. 30.

21)      M. MONTI, Passarono di qui, Milano, 1981, p. 380.

 

 

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2.     GESU' CRISTO SULLE SIERRAS.

 

 

      Poiché la religione della Danza degli Spettri fondata da Wovoka è costituita in larghissima misura da elementi direttamente o indirettamente di origine cristiana, è necessario aggiungere qualcosa a quanto detto in precedenza circa l'influsso del cristianesimo sugli Indiani e, in particolare, sulle tribù stanziate nell'area del Gran Bacino.

      Il cristianesimo sfiorò il territorio abitato dai Paiute fin dal XVIII secolo, ma non vi mise radici fin verso la metà del XIX. All'est c'erano le missioni dei francescani e dei gesuiti spagnoli, nell'Arizona e nel Nuovo Messico attuali; all'ovest quelle dei francescani, sulla costa dell'Alta California. (1) Nel 1769 era stata fondata la prima missione dell'Alta California, San Diego, dal francescano Junipero Serra, ed altre le tennero dietro a ritmo febbrile. (2) Ma le comunicazioni via mare erano lente e malagevoli, stante la lontananza del porto di Acapulco e della parte del Messico allora effettivamente colonizzata.

      D'altra parte, nell'interno del Nuovo Messico i francescani erano attivi da quasi due secoli, poiché fin dal 1598 avevano fondato la missione di San Juan de los Caballeros, che fu anche il terzo insediamento permanente di uomini bianchi sul territorio dei futuri Stati Uniti (il primo era stato St. Augustine, in Florida, nel 1565, e il secondo Pensacola, sempre in Florida, nel 1596). I francescani tentarono perciò di stabilire una via di comunicazione con la California partendo dalle loro missioni a nord del Rio Grande, specialmente Santa Fe, e fu così che essi penetrarono nel Gran Bacino.  Ciò accadde nel 1775. Prima di allora le terre abitate dai Paiute, ove più tardi fu costituito lo Stato del Nevada, non avevano mai conosciuto impronta di uomo bianco. (3) La storia ci ha conservato il nome del coraggioso francescano spagnolo  che tentò di aprire la via interna per la California, Francisco Garcés; ma la via si rivelò troppo ardua, e le si preferì ancora quella marittima.

 

      Per alcuni decenni l'interno del Gran Bacino ripiombò nell'oscurità. Le nebbie furono in parte diradate solo nel 1825, quando l'esploratore canadese P. Ogden, associato  alla Compagnia della baia di Hudson, scoprì il fiume Humboldt, nella parte settentrionale del Nevada, che termina in una vasta palude salmastra. Nonostante la relativa vicinanza delle numerose missioni spagnole, passate peraltro al governo messicano dopo il 1820 (5), e la conversione al cristianesimo di molti Indiani della California (6), i Paiute, al di là dello schermo della Sierra Nevada, non ricevettero che un pallido riflesso di questa luce. Per essi, a differenza che per la maggior parte delle altre tribù dell'Ovest, il cristianesimo non fu portato dai missionari cattolici ma bensì dai mormoni dello Utah. Dell'influenza spagnola non era rimasto altro, nella regione centrale del Gran Bacino, che il nome (7), o poco più; tanto che ancor oggi la memoria di Francisco Garcés  è, negli Stati Uniti, quasi dimenticata, mentre come primi esploratori penetrati nell'odierno Nevada sono ricordati quelli anglosassoni del XIX secolo. E, di tutte le tribù del gruppo uto-azteco del  sud-ovest degli Stati Uniti, solo le piccole tribù dei Luiseňo, dei Gabrielino e dei Serrano, stanziate a ovest del basso Colorado e sulle isole meridionali dell'Arcipelago di Santa Barbara, subirono una massiccia opera di cristianizzazione prima dell'arrivo dei coloni bianchi provenienti da est. (8)

      Abbiamo visto che i mormoni, migrando dall'Illinois, avevano fondato Salt Lake City nel 1847 e, due anni dopo, avevano stabilito una colonia nello stesso Nevada, presso il fiume Carson. Essi, che nel 1830 avevano fondato la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi dell'Ultimo Giorno, ma che non erano e non sono riconosciuti come cristiani dalle altre chiese cristiane, introdussero elementi importanti nelle religioni degli Indiani del Gran Bacino.  La loro influenza sulla Danza degli Spettri predicata da Wovoka  è un fatto riconosciuto da tutti gli studiosi che si sono occupati dell'argomento. (9)

      Quali erano questi elementi, e perché fecero presa, sia pure in forma spesso indistinta e, talvolta, perfino sotterranea (10), fra i Paiute del Nevada? Dal punto di vista dottrinale, i mormoni insistevano - fra le altre cose - sull'aspetto personale e sulla continuità della Rivelazione (per cui non consideravano la Bibbia  come un messaggio definitivo); sulla resurrezione dei corpi, sul ritorno di Gesù Cristo, che avrebbe dovuto aver luogo in America, ove del resto era già apparso subito dopo la sua resurrezione. (11)  Il principio che la Rivelazione è, teoricamente, possibile a chiunque e quello che Dio continua a rivelare agli uonìmini la sua volontà si accordavano perfettamente con la tradizione delle "rivelazioni" tipiche dello sciamanesimo indiano e, in particolare, del profetismo indiano del XIX secolo. Lo stesso fondatore della Chiesa mormone, J. Smith, aveva reso pubblica la visione avuta nel 1820, allorché - quindicenne - Dio lo aveva prescelto per annunciare i suoi disegni  agli uomini.

      La dottrina della resurrezione dei corpi, in accordo con l'insegnamento dei missionari delle altre chiese cristiane  con le quali gli Indiani vennero a contatto,  presentava delle analogie con certe credenze proprie della cultura indiana, ad esempio dei Chippewa, i quali popolano il loro paradiso di frutta e di selvaggina. (12) Si accordava inoltre, ancor più, col profetismo indiano della seconda metà dell'Ottocento, specialmente del Nord-ovest, che viveva nell'attesa  della fine del mondo e di una grandiosa palingenesi. Tutti questi aspetti troveranno piena espressione e una originale fusione nella religione predicata da Wovoka. Infine l'attesa imminente di un ritorno di Cristo, che avrebbe dovuto aver luogo in America, introdusse nelle culture indiane un elemento che, oltre a colpire fortemente l'immaginazione e ad accordarsi con la mentalità religiosa indiana - impaziente di troppo lunghe attese - coronova magnificamente le aspettative messianiche manifestatesi con frequenza negli ultimi decenni.

      Secondo il modo di pensare degli Indiani, se Gesù era venuto la prima volta fra gli uomini bianchi, voleva dire che essi, probabilmente, non erano stati sempre malvagi; lo erano però diventati dopo averlo ucciso sulla croce. (13) D'altra parte, il concetto evangelico di "non dare le perle ai porci" (14) e di non premiare gli invitati indegni (15), interpretato nella maniera più immediata e letterale, si accordava con il vivo senso indiano della giustizia, e con il rancore represso nei confronti dei bianchi. Era logico, dunque, pensare che Gesù sarebbe ritornato, ma non fra i bianchi, che non l'avevano ascoltato, bensì fra gl'Indiani. E benchè la prima volta, tanto tempo prima, Gesù avesse preso l'aspetto di un uomo bianco, ora avrebbe potuto tornare in mezzo agli Indiani come uno di loro. (16)

 

      L'influenza della chiesa mormone sulle tribù indiane del Gran Bacino e, in particolare, sulla religione della Danza degli Spettri, fu comunque per lo più di natura riflessa. I mormoni, che avevano subìto delle dure persecuzioni nell'Est (17), manifestavano un caratteristico spirito di tolleranza verso le altre religioni minacciate e, nei confronti degli Indiani, erano esenti da molti dei tipici pregiudizi che nutrivano gli altri bianchi. Essi vedevano nei seguaci del messia paiute Wodziwob, immediato predecessore di Wovoka, nientemeno che le smarrite tribù di Israele (18), e i loro reciproci rapporti furono piuttosto cordiali. Probabilmente fu un danno, per i Paiute, il passaggio del Nevada dallo Stato mormone all'indipendenza federale. D'altra parte i mormoni non si dedicavano, come  i cattolici e le varie chiese protestanti,  a un'opera pianificata di conversione degli Indiani.  Per questi ultimi, l'esperienza del contatto con la religione mormone ebbe luogo, spesso, per via indiretta.  Questo può spiegare le confusioni e gli equivoci che un tale tipo di rapporto produsse,  primo fra tutti quello - già accennato -  sulla invulnerabilità delle "camicie degli spettri"  ai proiettili dei bianchi.

       Ma più che in singoli aspetti della religione della Danza degli Spettri, l'influenza della chiesa mormone va cercata in un atteggiamento spirituale complessivo. Dai mormoni, probabilmente, gli Indiani dell'area del Gran Bacino appresero lo spirito di solidarietà che deve necessariamente unire gli aderenti allo stesso credo, anche se di provenienza diversa; la fiducia nel domani, a dispetto delle angustie presenti; e infine la tolleranza, non disgiunta da una decisa determinazione di non sopportare prevaricazioni da chicchessia.

      I mormoni erano abituati all'ostilità degli altri bianchi, ma non erano inclini a subirla passivamente. La raccomandazione evangelica di non reagire alle offese e di porgere l'altra guancia non li impressionava molto.Per conquistarsi uno spazio vitale, erano disposti alla lotta e, se necessario, allo spargimento di sangue. Allorchè, durante la loro storica migrazione verso le Montagne Rocciose, era scoppiata la guerra col Messico, avevano fornito un contingente di 500 soldati all'esercito degli Stati Uniti, per poter partecipare con pieno diritto alla futura spoliazione delle province cui erano diretti (essendo tanto il Nevada quanto l'Utah sotto la teorica sovranità messicana, insieme al resto del Sud-Ovest, California compresa). (19) Anche se un tale atteggiamento attivo e, talvolta, bellicoso era profondamente estraneo al carattere di Wovoka, esso non rimase forse senza conseguenze su altre tribù maggiormente bellicose dei Paiute, come i Sioux e i Modoc.

 

 

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      La società indiana, verso la fine dell'Ottocento, era in pieno processo di disgregazione. Osserva Arnold J. Toynbee che le civiltà in fase di disgregazione sociale, nel tentativo di sottrarsi all'incombente disastro, fanno appello alla figura di un salvatore, di un individuo creatore dalle capacità superiori. Ma poiché lo scisma non è soltanto nel corpo sociale, ma anche nell'anima (20), la sfida delle società in fase di disgregazione eccede le possibilità di un singolo individuo, per quanto geniale. I primi a fallire, rivelando la natura effimera dei propri successi, sono i salvatori armati di spada. (21)

     L'ambiente religioso e sociale in cui Wovoka compì la sua formazione umana era tale da metterlo in guardia contro qulasiasi illusione circa una soluzione di forza.Se gli Indiani avessero fatto ricorso alle armi sarebbero stati schiacciati, com'era già accaduto tante volte nel passato lontano e recente. La guerra dei Modoc (22), scoppiata quan'egli aveva circa quindici anni, e quella dei Bannock, di cinque anni dopo - che coinvolse gli stessi Paiute -  costituivano esempi eloquenti dell'impotenza militare indiana.

      Ma oltre a tali considerazioni, basate su dati obiettivi e incontrovertibili, forse anche altre ragioni ispirarono il pacifismo proprio della dottrina di Wovoka.  Egli sembra aver intuito che il salvatore armato di spada è, alla fine, comunque perdente, anche là dove sembra ottenere dei successi materiali immediati. L'esempio di Gesù Cristo, che ordina a san Pietro di rimettere la spada nel fodero e che affronta la prova tremenda della croce per insegnare la forza indistruttibile dello spirito, era predicato appunto dai missionari i quali, forse, non si rendevano conto di tutte le sue implicazioni nel contesto della presente realtà indiana. Essi insegnavano che Gesù aveva vinto lasciandosi vincere. Questa fu la grande lezione appresa dal messia paiute, la quale da sola basterebbe a porlo precchio più in alto, dal punto di vista etico, di tutti i profeti indiani che l'avevano preceduto.

 

 

NOTE.

 

 

1)        Fra i gloriosi missionari ed esploratori della regione bisogna ricordare l'italiano E. F. Chino (1645-1711), gesuita, dal 1686 attivissimo nella Pimeria Alta, che compì oltre 500 viaggi esplorativi. Cfr. E. RICCI, Il padre Eusebio Chino esploratore missionario della California e dell'Arizona, Milano, 1930; C. SPELLANZON, Il padre Eusebio Chino missionario ed esploratore dell'Arizona e della California, in Nuova Antologia, febbraio 1935; H. E. BOLTON, Rim of Christendom: A biography of Eusebio Francisco Kino, Pacific Coast Pioneer, New York, 1936.

2)        Dopo quella di san Diego, il Serra fondò le missioni  di San Carlos de Monterey nel 1670;  San Antonio de Padua e San Gabriel  nel 1771;  San Luis Obispo nel 1772;  San Francisco de Assisi e San Juan  Capistrano nel 1776;  Santa Clara nel 1777;  e infine San Buenaventura nel 1782: tutte in California.