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Video-Bertinotti. Il Kaká dei politici un fuoriclasse da Porta a Porta

di Aldo Cazzullo - 23/09/2007


Settantanove convocazioni da Vespa, più di Totti in Nazionale; e senza mai sbagliare l'abbinamento calzini-cravatta. Dev'essersi sentito chiamato in causa Fausto Bertinotti, tra i primi a lodare «la saggezza » di Napolitano: «La politica non è passerella, troppi politici in tv…». Il presidente della Camera detiene il record assoluto di presenze a «Porta a Porta», staccando nettamente Berlusconi, Fassino, Mastella.
E poi: assiso sul trono di Anna La Rosa a Telecamere. Plurinvitato da Santoro, da Formigli, da Floris, da Piroso, da Mentana, che ancora l'altra sera ha mandato in onda l'imitazione pressoché perfetta di Max Tortora, ultima di una lunga serie inaugurata da Corrado Guzzanti (l'imitato andò ad applaudirlo al teatro Olimpico, e poi nei camerini a congratularsi per la precisione del timbro di voce) e da Stefano Masciarelli, che a Bertinotti si era ispirato per il personaggio del comunista che con la erre blesa sdottoreggia in tv di piattaforme contrattuali e riforme di struttura.
Prima di salire sullo scranno più alto di Montecitorio e girare il mondo ad abbracciare leader sudamericani in maglione etnico o uniforme, Bertinotti era il politico più coccolato in televisione. Non senza motivo. «Fausto davanti a una telecamera è come Kaká in Champions League: un fuoriclasse — teorizza Vespa —. È tra i pochissimi che parla di contenuti. E, se per una volta i contenuti scarseggiano, li incarta con tale maestria che comunque si è meritato l'invito».
Per un comunista, non è scontato. E infatti spesso si sono levate voci, anche da sinistra, a rimproverargli un presenzialismo eccessivo. Lui ha risposto così: «Io posso fare queste cose perché non temo la contaminazione. Vado serenamente in tv, nei salotti, sui rotocalchi perché chi ha valori radicati, chi è di sinistra nella profondità del suo animo, non può essere contaminato». Neppure da Fiorello, che alla radio gli tese un agguato maligno: lettura integrale dell'inno di Forza Italia, omettendo solo il «forza» («Italia/ è tempo di credere/ Italia/ che siamo tantissimi...»); Bertinotti ci cascò clamorosamente e lesse tutto d'un fiato interrompendosi una volta sola a protestare, per l'eccesso di erre.
Gli va riconosciuto di non essere mai caduto nella rissa, ma di aver sempre tentato di volare alto. In tv Bertinotti ha citato Gandhi e Brecht, San Paolo e Kavafis, e poi finalmente Tex Willer, Fausto Coppi e Dylan Dog; talora con sigaro spento, quasi sempre con portaocchiali civettuolo. Non sono in molti a poter evocare il materialismo dialettico senza provocare crolli di audience; lui sì, anche se il ragionamento complesso e la pronuncia imperfetta non aiutano la comprensione. Insomma, Bertinotti padroneggia il mezzo. Al punto da non sembrare comunista. O, comunque, non un ribelle, un antagonista, un antisistema; semmai, un liberal italiano, compreso il gesticolare rapido ma non scomposto, l'eloquio profondo ma non noioso, e ovviamente la ricercatezza maniacale. A commentare i risultati elettorali dell'aprile 2006 andò in gessato, come un altro arbitro d'eleganza, l'amico Mario D'Urso (le cravatte sono di Luca Roda, lo stilista che rifornisce pure Bush e Marcello Pera e firma le pashmine di Lilli Gruber. Ma, intervistato da Alain Elkann, Bertinotti chiarì: «Ho messo la cravatta per la prima volta a cinquant'anni, come antidoto al tempo che passa». Sia chi ne è affascinato, sia chi lo considera un simpatico istrione può uscire da una sua performance televisiva rinfrancato nelle proprie convinzioni. E comunque, in una delle 79 volte a Porta a Porta
(che diventano di più considerando le interviste fuori studio), colse l'occasione di spiegare di non aver mai comprato un solo capo in cachemire, tranne un golfino regalato di cui promise solennemente in diretta di disfarsi al più presto.
Tutto si poteva dire di lui, prima dell'ascesa al posto che fu del suo mito Ingrao, tranne che temesse la sovraesposizione. Un getto continuo di libri a sfondo autobiografico che nemmeno Proust: «Tutti i colori del rosso», «Io ci provo», «Il ragazzo con la maglietta a strisce» (oltre ai saggi «Due sinistre» e «La città degli uomini»). Serate a casa delle dame romane, dalla gauchiste Sandra Verusio come da Maria Angiolillo vedova del fondatore del
Tempo, ampiamente documentate sul sito Dagospia. E frequenti esternazioni della moglie signora Lella, di cui non si può non ricordare l'intervista del 2004 ad Antonella Piperno di Panorama: «Sono io che tengo l'agenda a Fausto, ed è una faticaccia. Passo i pomeriggi al telefono con gli amici che mi chiedono "dai Lella dammi una data", "Lella ti prego quando avete un buco?". E io niente, non so come accontentarli; la prima sera libera è tra un mese». Talora ricevono anche i Bertinotti, magari per una serata di musica napoletana con il cantautore Mimmo Di Francia quello di «Champagne».
Ogni volta che l'Osservatorio di Pavia annunciava un nuovo primato di presenze tv, il leader storico di Rifondazione era subissato di critiche. Gli ultimi a invitarlo a boicottare almeno Porta a Porta sono stati Katia Bellillo, Furio Colombo, Claudio Martini presidente della Toscana («Vespa mi aveva chiamato a commentare le regionali; avrei potuto fare bella figura visto che avevo vinto, ma ho preferito essere coerente e ho detto no!»). Bertinotti disse invece: «Nel '98 siamo stati massacrati sistematicamente dalla televisione di centrosinistra, con un'operazione di regime; e devo ringraziare un uomo autorevole come Vespa che mi ha tenuto aperto uno spazio ». Siderale, si direbbe. Ma non c'è da temere, assicura Fausto: «Mi sento forte delle mie idee, del mio impegno, della mia storia di trent'anni di lotte in difesa dei lavoratori. E vado dappertutto ».