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La resistenza del Partito di Dio. Intervista al numero due di Hezbollah

di Milena Nebbia - 24/09/2007

 
 
“Resistenza, resistenza, resistenza”. Con toni pacati ma decisi giunge il messaggio dello sceicco Naim Kassem, numero due di Hezbollah, alla delegazione del Comitato Per ricordare Sabra e Chatila.

lo sceicco naim kassem riceve i suoi ospiti - foto di Laura Montanari/GraffitiPress“I popoli hanno diritto di respingere l’ingiustizia, anche con la forza. Se fosse stato sufficiente gridare lo avremmo fatto, ma non è bastato. Hanno coperto le nostre grida quindi è stata necessaria la resistenza per prendersi la terra e liberarla, così abbiamo fatto in Libano e così devono fare in Palestina. Non bastano più gli appelli degli intellettuali sulla stampa”, racconta lo sceicco. “La nostra terra è rimasta occupata dal 1978 e se non ci fosse stata la resistenza non si sarebbe arrivati al 2000”, prosegue Kassem. Lo sceicco fa riferimento alle azioni messe in atto dal Partito di Dio, Hezbollah appunto, sin dal 1985, quando cominciò una vera e propria guerriglia contro gli israeliani che furono costretti ad evacuare gran parte del territorio libanese, ritirandosi nella cosiddetta fascia di sicurezza. Negli anni successivi, a causa della ininterrotta lotta da parte di Hezbollah, controllare tale zona, che corrispondeva a circa il 10 percento del territorio libanese, si rivelò talmente oneroso che, sia pure obtorto collo, il governo israeliano si rassegnò all’evacuazione. Questa venne ultimata il 24 maggio 2000, in maniera tanto caotica da assomigliare più ad una fuga che ad una ritirata.

foto di Laura Montanari/GraffitiPress“Noi abbiamo affrontato l’occupante in quanto tale, malgrado ciò nel luglio 2006 ha colpito di nuovo, ma la resistenza ha bloccato questo progetto”. Resistenza armata, dunque per Kassem, come atto legittimo di fronte all’usurpatore.
La situazione in Libano? “E’ complicata - ammette - una forza piccola come la nostra ha sconfitto gli israeliani un anno fa (il riferimento è alle operazioni di Israele iniziate nel luglio 2006 in Libano con il fine dichiarato di liberare due dei suoi soldati catturati da Hezbollah e che si sono concluse con un nulla di fatto al momento di entrata in vigore della tregua imposta dall’Onu), ma da allora Tel Aviv cerca di influenzare la situazione interna per trasformare una sconfitta militare in una vittoria politica”. Il Governo di unità nazionale? “La maggioranza dice che è un suicidio politico, allora - abbiamo detto - mettiamo la Costituzione come arbitro, così è iniziato il gioco delle interpretazioni costituzionali. Ad ogni modo, l’attuale gruppo di potere non vuole nessuna soluzione. Vogliono governare da soli o prendono tempo per una modifica costituzionale che gli consenta di governare da soli. E’ il peso dell’influenza americana che li induce a comportarsi così. Noi continueremo ad essere positivi, ma affronteremo con determinazione la tutela e influenza americana in questo paese. Non siamo deboli, abbiamo tanta pazienza. Chi governa ha chiuso le porte di fronte a qualsiasi soluzione per il bene dei cittadini. Ora siamo in attesa di una risposta del governo e della maggioranza rispetto alla nostra mano tesa, cioè alla possibilità di rinunciare al governo di unità nazionale purché si arrivi ad un candidato “di compromesso”, cioè condiviso da maggioranza e opposizione . Il governo non ha ancora dato la sua risposta, quindi sta ostacolando le elezioni”.

lo sceicco naim kassem risponde alle domande - foto di Laura Montanari/GraffitiPressCosa pensa della situazione dei palestinesi in Libano e di Nahr el-Bared? “Rispetto alla ricostruzione del campo di Nahr el-Bared, nessuno del governo ha espresso il divieto al ritorno, ma se vedessimo un segnale che va in direzione diversa esprimeremo il nostro dissenso immediatamente. Nahr el-Bared è stato un complotto di alcuni componenti del potere che alimentavano Fatah al Islam, altrimenti come si spiegherebbe la loro forza? Il complotto si denota dal fatto che si è voluto far vedere il campo profughi come luogo di tensione da disarmare. Per quanto riguarda i palestinesi, ritengo che alcune forze politiche vorrebbero una loro stabilizzazione per evitare il loro diritto al ritorno. I nostri parlamentari invece hanno chiesto che ai palestinesi vengano concessi tutti i diritti, che sono loro negati (i palestinesi che vivono nei campi sono soggetti a leggi discriminatorie: i loro movimenti limitati e controllati dai militari libanesi, gli viene proibito di possedere o ereditare una qualsivoglia proprietà e gli viene impedito di svolgere 72 professioni) tranne quello della cittadinanza, proprio in funzione di riconoscere il loro diritto al ritorno in Palestina”.
Il rapporto con le forze internazionali schierate in Libano? ”Ci hanno contattato per sapere dove doveva mirare la missione e cosa ne pensavamo e gli abbiamo risposto che se sono qui per evitare un contatto tra Israele e la resistenza , noi non abbiamo obiezioni. Se invece fossero venuti con lo scopo di disarmarci, ci saremmo opposti. Finora osserviamo che le truppe hanno rispettato le indicazioni iniziali. Gli Usa e Israele speravano che l’Unifil (la missione Onu di cui l’Italia è a capo in questa fase) diventasse il braccio armato di Israele nel sud del Libano, ma così non è stato, almeno finora”.