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La follia dei biocarburanti da colture alimentari e non alimentari

di Pietro Perrino - 24/09/2007

 

Un’altra minaccia alla biodiversità, inquinamento e fame nel mondo

Riassunto

1. Introduzione

2. I biocarburanti non sono neutrali rispetto all’emissione di C

3. La domanda di biocarburanti

4. La Direttiva dell’UE porta l'industria dei biocarburanti nei paesi poveri

5. Deforestazione, estinzione di specie e incremento dei prezzi degli alimenti

6. Non c'è terra di scorta (spare land) per colture bioenergetiche

7. La deforestazione accelera in Brasile, Malesia e Indonesia

8. Aumento dei prezzi degli alimenti a causa dei biocarburanti

9. Altre preoccupazioni ambientali

10. Bilancio energetico e risparmio complessivo di C

11. Falsi crediti di C da biodiesel di Jatropha nell’Africa meridionale

12. Verifica trasparente del ciclo di vita, accertamento dell’impatto ambientale e necessità di uno

schema di certificazione obbligatoria.

13. Il Brasile, la Repubblica dei biocarburanti

14. La situazione italiana

Conclusioni

Bibliografia consultata

Autore:

Pietro Perrino - Dirigente di Ricerca del CNR di Bari c/o Istituto di Genetica Vegetale

Via G. Amendola 165/A 70126 Bari

Lavoro presentato al 6° Convegno sul tema: “Dalle antiche Teorie Cinesi allo Sviluppo Sostenibile

Pianesiano”, svoltosi a Roma presso l’università “La Sapienza”, il 24 aprile 2007, e pubblicato sui relativi

Atti del Convegno a cura di Mario Pianesi, Presidente dell’Associazione Nazionale ed Internazionale “Un

Punto Macrobiotico”.

Riassunto

La riduzione delle scorte di carburanti fossili (carbone, gas e petrolio), l’incremento dei relativi

prezzi e le pressioni per ridurre l’emissioni di carbonio (C) e gas serra, causa del surriscaldamento

globale, fanno crescere l’interesse per fonti d’energia alternative, come idroelettrica, eolica, solare,

oceanica, geotermica e da biomassa.

Di fronte a tante fonti e diverse risorse organiche (piante, rifuti industriali e rifiuti agricoli: vegetali

ed animali), si sta puntando all’uso di piante coltivate per produrre biocarburanti, indicando questa

come una delle principali soluzioni.

E’ una vera follia. Infatti, secondo numerosi studi, un litro di biocarburante, ottenuto, per esempio,

da semi di colza (biodiesel) o da barbabietola da zucchero (bioetanolo), richiede più energia di

quella fornita e il C liberato non è sensibilmente diverso da quello della benzina. I bilanci energetici

ed i risparmi di C si fanno risultare positivi perché si ignorano, forse volutamente, i costi energetici

e le emissioni di C relativi a: semina, fertilizzazioni, trattamenti, mietitura, trebbiatura, trasporto,

conservazione, trasformazione, raffinazione, distillazione, infrastrutture e distribuzione. Attività che

consumano carburanti fossili.

I bilanci diventano ancora più negativi se i biocarburanti o la materia prima per produrli devono

essere trasportati da un paese all’altro. E’ quanto già avviene.

E’ chiaro, quindi, che i biocarburanti, presentati come prodotti agricoli, sono carburanti fabbricati

quasi interamente con combustibili fossili.

Contro queste evidenze, George W. Bush prevede per il 2050 di sostituire il 30% della benzina

consumata negli USA con biocarburanti; Tony Blair prevede di usare biocarburanti da olio di semi

di ricino e di palma importati; l’UE prevede per il 2015 di arrivare all’8% di biocarburanti e sta

coltivando piante bioenergetiche, garantendo sgravi fiscali, mentre la normativa sulla messa a

riposo dei terreni (set-aside), indispensabile per conservare la biodiversità, rischia di essere ritirata

per favorire le piante bioenergetiche, che farebbero risparmiare lo 0,3% d’emissioni di C.

Queste valutazioni pessimistiche hanno spinto le industrie a produrre biocarburanti nei paesi del

Terzo Mondo, dove, ora ci viene detto, c’è molta terra per piante bioenergetiche. Quando volevano

favorire le colture geneticamente modificate c’è stato detto, invece, che non c’era abbastanza terra e

che queste colture erano necessarie per sfamare il mondo. Ora, le Biotech le vogliono usare come

bioenergetiche, sperando in meno regole da rispettare.

La pressione sulla terra da parte di colture alimentari e bioenergetiche accelererà la deforestazione,

il riscaldamento globale e l’aumento dei prezzi degli alimenti.

I crediti di C chiesti dai paesi ricchi che importano biocarburanti sono falsi, in quanto l’emissioni

vengono caricate ai paesi produttori del Terzo Mondo.

Per questi ed altri motivi, i biocarburanti ottenuti dalle colture sono insostenibili.

Se tra le fonti d’energia alternative facciamo riferimento solo a quella contenuta nelle biomasse,

dobbiamo pensare di sviluppare modelli che prevedono conservazione e riciclaggio a livello locale,

riducendo i trasporti, responsabili del 25% dell’emissioni di C.

Il bioetanolo da celluolosa, possibilmente di scarto, è una delle possibili strade da percorrere, ma

questa ricerca è più impegnativa e forse per questo attualmente ancora non finanziata.

Autore: Pietro Perrino- Dirigente di Ricerca del CNR di Bari

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1. Introduzione

I biocarburanti sono combustibili ottenuti da biomasse, compresa quella ottenuta dalle piante.

L’idea di produrre biocarburanti dalle colture alimentari e non alimentari scaturisce dalla necessità

di trovare una fonte d’energia alternativa ai carburanti fossili (petrolio, gas e carbone), dai quali

dipendono i paesi ricchi più dei paesi poveri.

La sete non d’acqua ma di biocarburanti dell'Europa sta incrementando la deforestazione e

l’aumento dei prezzi degli alimenti, esasperata da un calcolo sbagliato che assegna falsi crediti di C

a paesi che sperperano. E’ necessaria la certificazione dei biocarburanti se vogliamo proteggere gli

ecosistemi forestali più sensibili, stabilizzare il clima e salvaguardare la nostra sicurezza alimentare.

Le ricerche di numerosi scienziati mostrano che la produzione di biocarburanti, così com’è oggi

concepita, non è sostenibile. L’obiettivo di questo lavoro è di riassumere le ragioni di questa

insostenibilità.

2. I biocarburanti non sono neutrali rispetto all’emissione di C

Sono detti biocarburanti il biodiesel, ottenuto dalla spremitura e transesterificazione con metanolo

di semi oleaginosi, ed il bioetanolo, ottenuto dalla fermentazione di semi, liquidi, grassi, paglia e

legna. I biocarburanti ottenuti dalle colture sono stati promossi ed erroneamente percepiti come “C

neutrali”, cioè come carburanti che non aggiungono all’atmosfera alcun gas serra; secondo i

sostenitori bruciarli significherebbe semplicemente emettere nell’atmosfera l’anidride carbonica che

le piante hanno assorbito dall’atmosfera durante il loro ciclo vitale. Ciò è falso, in quanto ignora i

costi d’emissione di C (C) e d’energia dei fertilizzanti e pesticidi usati per l’allevamento delle

colture, l’uso delle attrezzature agricole, il processamento e la raffinazione dei prodotti agricoli, il

trasporto e le infrastrutture per il trasporto e la distribuzione. Questi altri costi per la produzione

d’energia ed emissioni di C possono essere piuttosto consistenti, specialmente se i carburanti sono

prodotti in un paese per essere esportati in un altro, oppure, peggio ancora, se la materia prima,

come l’olio di seme, è prodotta in un paese per essere rifinita in un altro. Queste situazioni sono

molto frequenti e probabili se si considerano le attuali tendenze (sul bilancio energetico ed

emissione di C vedi anche punti successivi).

3. La domanda di biocarburanti

La domanda di biocarburanti sta crescendo come conseguenza della riduzione delle scorte mondiali

di carburanti fossili o convenzionali (petrolio, gas e carbone). I prezzi della benzina e del gas sono

saliti vertiginosamente negli anni passati, mentre la pressione per ridurre le emissioni di C per

mitigare il riscaldamento globale sta puntando, in modo crescente, ai biocarburanti come ad una

delle principali soluzioni. George W. Bush ha offerto biocarburanti per ridurre la dipendenza degli

USA dalla benzina. E’ stata prospettata la possibilità di rendere disponibile 1,3 miliardi di tonnellate

di biomassa (secca) per alimentare l'industria dei biocarburanti entro la metà di questo secolo, per

fornire il 30 % della benzina usata dagli USA, se tutto funzionerà a pennello, cioè se ci sarà un

aumento del 50 % della produzione di colture. La Corporation Plc di Biocarburanti, il primo

impianto industriale, aperto da Tony Blair alla fine di giugno del 2006, destinato alla produzione di

250.000 Mt di biodiesel nell'UK, userà olio di ricino e di palma, importato, alla stessa stregua della

colza coltivata nel Regno Unito (UK). Da notare che l’UK è in forte ritardo rispetto agli altri paesi

dell’Unione Europea (UE) nell’uso di biocarburanti, mentre si legge che l’Italia è al terzo posto in

Europa, dopo la Francia e la Germania. A tale riguardo le notizie sono contrastanti, in quanto si

legge anche che l’Italia è fanalino di coda.

Autore: Pietro Perrino- Dirigente di Ricerca del CNR di Bari

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4. La Direttiva dell’UE porta l'industria dei biocarburanti nei paesi poveri

L'Unione Europa ha adottato una Direttiva per biocarcuranti nel mese di maggio del 2003, allo

scopo di promuovere l'uso di biocarburanti nel settore dei trasporti a 5.75 % della quota comune di

mercato entro il 2010, aumentandolo all’8 % entro il 2015. Questi obiettivi difficilmente saranno

colti sulla base delle attuali proiezioni. La quota di partecipazione per l’UE a 25 è 1,4 %; l’Austria è

in testa con il 2.5 %, mentre la quota dell’UK è solo dello 0.2 %.

Alla fine del 2006 la Commissione Europea ha prodotto una relazione aggiornata; Alla fine di luglio

del 2006 la Commissione aveva prodotto anche un documento per la consultazione del pubblico.

Tra gli argomenti considerati c’era il bisogno di produrre uno schema di certificazione per

biocarburanti basato su standard di sostenibilità.

I paesi dell’UE stanno già coltivando piante bioenergetiche, principalmente olio di seme di colza; in

dieci o più paesi sono già garantiti tasse ridotte ed incentivi per produrre biocarburanti. La messa a

riposo dei terreni (set-aside) che aveva il significato di proteggere e conservare la biodiversità è

probabile che sia ritirata per poter consentire la coltivazione di piante bioenergetiche.

Un rapporto pubblicato nel 2002 dal gruppo CONCAWE – le compagnie del petrolio,

l’Associazione Europea per l’ambiente, la salute e la sicurezza nella raffinazione e distribuzione del

petrolio – stimava che se tutti i 5.6 milioni d’ettari di terreno messi a riposo (set-asides) dell’UE a

15 fossero intensivamente coltivati con piante bioenergetiche, potremmo risparmiare soltanto da 1,3

a 1,5 % delle emissioni di C dovute al trasporto stradale o circa lo 0,3 % delle emissioni totali dei

15 paesi. Queste ed altre stime pessimistiche simili stanno stimolando la crescita d’industrie per

biocarburanti nei paesi del Terzo Mondo, dove, ora ci viene detto, c’è molta terra disponibile

(spare-land) per coltivare piante bioenergetiche e dove il sole splende di più, lungo tutto l’arco

dell’anno, tanto che le colture crescono più rapidamente, producono di più ed il lavoro costa meno.

Comunque, quando si voleva favorire la diffusione delle colture geneticamente modificate (GM) c’è

stato sempre detto che non c’era abbastanza terra e che c’era bisogno di colture GM per aumentare

le produzioni e sfamare il mondo. Fino ad ora e fino a prova contraria, le colture GM hanno fallito

nell’aumentare le produzioni e sono state pesantemente rifiutate a livello mondiale, specialmente

nei paesi africani, dove cibo e foraggio GM sono stati scaricati sotto forma d’alimenti d’aiuto (food

aid). Le compagnie di Biotech già stanno promuovendo le colture GM come colture bioenergetiche,

sperando che ci siano meno regole da rispettare ed un’accettazione da parte del pubblico, poiché le

colture GM non sono o non saranno usate come alimenti né per l’uomo né per gli animali. Ma cosa

succederà al nostro ecosistema e ad i nostri alimenti largamente esposti alla contaminazione di

colture GM che sono lontane dall’essere sicure? Il Centro di Ricerca sull’Energia del Regno Unito,

composto da membri dei consigli della ricerca di tutti i governi, nella sua “Ricerca a breve termine

per la contestazione“ (Short term Research Challenge) ha già incluso “la percezione pubblica

nell’uso di tecnologie GM per bioenergie”. A che punto è l’Italia? Cosa fa il nostro Comitato

Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie? Esiste questo Comitato? Qual’è l’atteggiamento

degli scienziati negli altri paesi dell’UE?

Autore: Pietro Perrino- Dirigente di Ricerca del CNR di Bari

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5. Deforestazione, estinzione di specie e incremento dei prezzi degli alimenti

I biocarburanti sono cattive notizie, specialmente per i paesi poveri del Terzo Mondo. Le colture

bioenergetiche impegnano sicuramente terra preziosa che potrebbe essere usata per coltivare piante

alimentari, per cui con la diffusione di colture bioenergetiche la sicurezza alimentare diventa un

problema che scotta ancora di più. La produzione di grano nel mondo nel corso di sei dei sette anni

trascorsi è crollata, portando le riserve mondiali al valore più basso degli ultimi trent’anni.

L’impoverimento cronico di acque nei maggiori granai del mondo, la siccità e le alte temperature

stanno raggiungendo il loro massimo, mettendo sempre più a dura prova la produzione d’alimenti.

La pressione sulla terra da parte di colture alimentari e bioenergetiche certamente accelererà la

deforestazione e l’estinzione di specie, e allo stesso tempo farà aumentare i prezzi mondiali degli

alimenti, colpendo duramente i paesi più poveri e più affamati.

6. Non c'è terra di scorta (spare land) per colture bioenergetiche

Calcoli basati sul migliore scenario di irrealistiche alte produzioni alimentari e alte produzioni di

biocarburanti finiscono tuttavia per richiedere il 121 % di tutta la terra agricola degli Stati Uniti per

produrre abbastanza biomassa da sostituire i combustibili fossili che si consumano ogni anno. Il

rapporto tecnico dell’UE pubblicato nel 2004 mostra che l'obiettivo di sostituire il 5.75 % di

combustibili fossili con biocarburanti richiederà almeno dal 14 al 19 % di terra agricola per le

colture bioenergetiche. Pertanto, non ci sarà nessuno terreno messo a riposo (set-aside) per

proteggere la biodiversità naturale, in quanto il “set aside” dell’UE è solo il 12 %.

I dati satellitari rivelano che il 40 % della Terra ferma è già usato per l’agricoltura, sia per

colture alimentari sia per pascoli e praterie. Non c’è altra terra di scorta per le colture alimentari,

figuriamoci per le colture bioenergetiche.

7. La deforestazione accelera in Brasile, Malesia e Indonesia

Le foreste tropicali rappresentano il serbatoio più ricco di C ed allo stesso tempo il più efficace

bacino di raccolta di C del mondo. Le stime calcolano valori alti, tali come 418 t C/ha depositato e

da 5 a 10 t C/ha sequestrato in un anno, di cui il 40 % è sotto forma di C organico. Il deposito di C

durante la crescita di vecchie foreste sarebbe persino maggiore, e secondo un nuovo studio svolto

nel Sud-Est della Cina, il C organico del suolo, solo nei primi 20 centimetri più superficiali del

suolo di tali vecchie foreste, aumenta in media con una percentuale di 0,62 t C/ha ogni anno, in un

periodo compreso tra il 1979 ed il 2003. Quando le foreste tropicali sono tagliate con una frequenza

di più di 14 mila ettari all’anno, circa 5,8 Gt C (Giga: Miliardi di tonnellate) sono liberati

nell'atmosfera, di cui solo una frazione viene risequestrata dalle piante.

Questa ulteriore pressione sulla terra svolta dalle colture bioenergetiche significherà ancora più

deforestazione, maggiore accelerazione nel riscaldamento globale ed estinzione di specie.

Vaste estensioni della foresta Amazzonica in Brasile sono state già distrutte per coltivare soia

destinata ad alimentare l'industria della carne. Aggiungere alla richiesta anche i biocarburanti di

soia causerebbe la morte dell’intera foresta. Allo stesso tempo, piantagioni di canna da zucchero che

alimentano l’enorme industria di bioetanolo del paese hanno invaso anche l’Amazzonia, anche se

non tanto quanto la foresta Atlantica ed il Cerrado, un ecosistema di prateria molto bio-diverso, di

cui due-terzi sono stati già distrutti o sono degradati.

La pressione sulle foreste in Malesia e Indonesia è ancora più devastante. Un Rapporto

dell’Associazione “Amici della Terra”, Il Petrolio per un Pazzo Scandalo (The Oil for Ape

Scandal) rivela che tra il 1985 ed il 2000 lo sviluppo di piantagioni di palme da olio fu responsabile,

secondo una stima, dell’87 % di deforestazione in Malesia. In Sumatra e Borneo, sono stati distrutti

Autore: Pietro Perrino- Dirigente di Ricerca del CNR di Bari

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4 milioni di ettari di foreste per coltivare palme ed è stata programmata la deforestazione di altri 6

milioni di ettari in Malesia e 16.5 milioni di ettari in Indonesia.

La palma da olio ora viene considerata come “diesel da deforestazione”, in quanto la produzione di

palma da olio in Indonesia e Malesia è proiettata ad aumentare drammaticamente con la febbre del

biocarburante. La palma da olio è già ampiamente usata come alimento e come materia prima

nell’industria dei cosmetici, avendo sostituito la soia come pianta leader mondiale nella produzione

di olio commestibile. E poiché i prezzi del petrolio e del gas hanno sforato il tetto massimo, la

palma da olio si sta piazzando come maggiore coltura bioenergetica. Con produzioni di 5 tonnellate

(6.000 litri) di olio greggio per ettaro e per anno, la palma da olio produce di più grazie agli steli che

sono più lunghi di ogni altra coltura da olio; Infatti, a confronto la soia ed il mais generano,

rispettivamente, solo 446 e 172 litri di olio greggio per ettaro e per anno.

E’ stato programmato che la produzione attuale mondiale di olio da palma, superiore a 28 milioni di

tonnellate per anno, deve raddoppiare entro il 2020. La Malesia, leader nella produzione ed

esportazione di olio da palma, sta per rendere obbligatoria la presenza del 5 % di diesel ottenuto da

palma da olio entro 2008, mentre l'Indonesia prevede di dimezzare il suo consumo nazionale di

petrolio entro il 2025, da rimpiazzare con biocarburanti. La Malesia e l'Indonesia hanno annunciato

un impegno comune per cui ciascuna deve produrre 6 milioni di tonnellate di olio da palma greggio

per anno per aumentare la produzione di biocarburanti.

8. Aumento dei prezzi degli alimenti a causa dei biocarburanti

La domanda di biocarburanti ha trasformato le colture alimentari tradizionali in colture

bioenergetiche. Cibo ed energia ora competono per la stessa materia prima (feedstock), col risultato

che i prezzi degli alimenti sono sostanzialmente saliti al disopra del prezzo del petrolio e del gas

naturale che normalmente sono usati per produrre alimenti. Entro il 2006, circa il 60 % di tutto

l’olio di colza prodotto nell'UE è stato usato per produrre biodiesel. Il prezzo dell’olio di colza è

salito di circa il 45 % nel 2005, quindi si è avuto un aumento supplementare del 30 % fino a

raggiungere il prezzo di 800 $ USA per tonnellata. La Uniliver, un gigante nella produzione di

alimenti, ha stimato un ulteriore aumento del prezzo di circa 200 euro per tonnellata per il prossimo

anno, dovuto ad un’ulteriore domanda di biodiesel. Si stima che entro il 2007 il costo totale

supplementare per l’industria alimentare dovuto al biodiesel sarà di circa mille euro.

I prezzi dei cereali sono saliti vertiginosamente; i prezzi del mais negli USA sono aumentati

di più del 50 % da settembre del 2006 ed ora è balzato in su di 10 anni a 3,77 $ USA per staio (uno

staio = litri 18,27928). La richiesta degli USA per il bioetanolo ha fatto utilizzare mais destinato

all’esportazione, lasciando nella disperazione gli acquirenti dell’Asia. A ottobre del 2006, a causa

delle paure di una crisi d'approvvigionamento, anche i prezzi mondiali di grano sono balzati in su di

10 anni a 300 $ USA per tonnellata. Un'altra preoccupazione è l’aumento di domanda di

biocarburanti da altre colture, come grano, mais e soia.

9. Altre preoccupazioni ambientali

Le colture bioenergetiche impoveriscono di minerali il suolo e riducono la sua fertilità,

specialmente a lungo termine, rendendolo inadatto alla crescita di piante alimentari. Il trattamento

dei rifiuti di tutti i biocarburanti ha degli impatti negativi e sostanziali sull'ambiente che devono

ancora essere stimati e considerati adeguatamente. Sebbene alcuni biodiesel possano essere più

puliti del diesel, altri non lo sono. La combustione del bioetanolo genera mutageni e cancerogeni e

aumenta i livelli di ozono nell'atmosfera.

Autore: Pietro Perrino- Dirigente di Ricerca del CNR di Bari

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10. Bilancio energetico e risparmio complessivo di C

I biocarburanti sono valutati in termini di energia e di C in diversi modi, tutti non completamente

trasparenti. Tra questi abbiamo il bilancio energetico, cioè le unità di energia del biocarburante

prodotte per ogni unità di input di energia, ed il risparmio di C , cioè la percentuale di emissione di

gas serra risparmiata producendo e usando biocarburanti invece di produrre e usare la stessa

quantità di energia da carburante fossile.

In generale i biocarburanti forniscono un bilancio energetico modesto o negativo, nell’arco del ciclo

vitale della pianta. Infatti, quando il bilancio energetico è correttamente calcolato è quasi sempre

negativo, il che significa che l'energia contenuta nel biocarburante è inferiore alla somma

dell'energia spesa per produrla. È probabile che se includiamo tutti i costi anche il risparmio di C

risulta ugualmente sfavorevole.

Attualmente, la maggior parte delle verifiche energetiche che forniscono un bilancio positivo

includono l’energia contenuta nei prodotti di scarto, come i residui dei semi dopo l’estrazione

dell’olio, che possono essere usati nell’alimentazione del bestiame (che non è per niente una

regola), e dimenticano di includere gli investimenti per le infrastrutture, come il costo in termini

d’energia e di C sostenuto per la costruzione della fabbrica e degli impianti di raffineria, le strade

ed i depositi necessari per il trasporto e la distribuzione; e certamente non vengono incluse le spese

sostenute per l’esportazione in un altro paese. Nessuna delle verifiche include gli impatti

ambientali. Nell’unico caso analizzato da ricercatori del Flemish Institute for Technological

Research, finanziato dal Belgian Office for Scientific, Technical and Cultural Affairs e dalla

Commissione Europea, si mise in evidenza che “l’uso di biodiesel provocava più problemi di salute

ed ambientali, in quanto creava più inquinamento di nanoparticelle, liberava più inquinanti che

promuovono la formazione di ozono, generava più rifiuti e causava più eutrofizzazione.”

La compilazione di stime di bilanci energetici e di risparmi di C è riportata nella scheda 1.

Si stima che il bioetanolo di canna da zucchero in Brasile ha un bilancio energetico che oscilla

intorno a d un valore di 8,3 e che nei casi migliori arriva a 10,2; un valore che è di parecchio

superiore a quello di ogni altro biocarburante, specialmente di quelli prodotti in regioni temperate,

per i quali le stime oscillano da un valore massimo di 2,2 a valori inferiori ad 1, un bilancio

energetico chiaramente negativo. Anche il C risparmiato dal bioetanolo della canna da zucchero

brasiliana, compreso tra l’85 ed il 90 %, è molto più alto di qualunque altro biocarburante, per i

quali il risparmio varia da + 50 a -30 %, cioè, il biocarburante produce il 30 % in più di gas serra

rispetto a quello emesso dall’uso del carburante fossile per produrre una quantità equivalente di

energia.

Fatte salve due eccezioni, tutte le stime conosciute includono l’energia contenuta nei prodotti di

scarto ed escludono le spese per le infrastrutture. Nessuna stima include i danni ambientali o

l’impoverimento del suolo, o costi per l’esportazione in un altro paese. Pertanto, con la sola

eccezione del bioetanolo della canna da zucchero brasiliana, nessun’altra fonte bioenergetica

fornisce buoni e sufficienti incassi da investimenti in energia ed emissioni di C , nemmeno nella

migliore condizione possibile. Quando si fa contabilità vera e realistica, i risultati del bilancio

energetico e del risparmio di C sono sempre negativi.

Autore: Pietro Perrino- Dirigente di Ricerca del CNR di Bari

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Scheda 1

Bilancio Energetico e Risparmio di C da Biodiesel e Bioetanolo

Biodiesel Bilancio Energetico Risparmio di C

OSR (UE) 1,59 52%

OSR (UK) 1,78

OSR (UE) 1,90

OSR (Australia) 50%

Soia (USDA o USDE) 2,22 40%

Soia (USA) 0,53*

Bioetanolo

Grano & Barbabietola (UE) 1,08 27%

Mais (USA) 1,13-1,34 13%

Mais (USA) 0,78*

Mais (USA) 1,14 11%

Mais (USA) 0,61 - 30%

Mais (USA) 1,65

Mais (Francia) 1,03 24%

Mais (Francia) 0,94 17%

Barbabietola (UE) 1,18

Legna (USA) 0,64

Legna (Scandinavia) 0,80

Canna da zucchero (Brasile) 8,30– 10,20 85 – 90%

OSR: oil seed rape (olio di seme di colza)

*Include costi per infrastrutture ed esclude prodotti di scarto

Ci sono dei motivi che spiegano il relativo successo del bioetanolo da canna da zucchero. A parte

l’alta velocità di crescita della coltura nell’area tropicale del Brasile, la produzione richiede un

ciclo chiuso, dove l'energia per la raffineria e processo di distilleria proviene dalla bruciatura del

residuo della canna da zucchero; quindi senza fare ricorso a combustibili fossili. La raffinazione e

distillazione richiedono un’alta intensità d’energia, specialmente per il bioetanolo. L’alto bilancio

energetico potrebbe ridursi consistentemente se fossero inclusi anche i costi per le infrastrutture e le

esportazioni, benché il bilancio potrebbe ancora risultare positivo.

Ma anche a voler considerare un bilancio energetico positivo ed un abbattimento della produzione

di C , ci sono seri dubbi sulla sostenibilità del bioetanolo ottenuto da canna da zucchero. Tra le

principali preoccupazioni ci sono gli impatti ecologici e sociali, inclusa la sicurezza alimentare.

Queste preoccupazioni sono importanti, specialmente in un paese dove i diritti dell’uomo e degli

agricoltori sono un vero problema.

Ci sono molti calcoli sbagliati che gonfiano i risparmi di C . Per esempio, non è stata considerata

l'enorme perdita di C organico del suolo a causa della coltura della canna da zucchero che

sostituisce foreste e pascoli, né è stato considerato il fatto che le foreste naturali permettono una

rigenerazione d’anidride carbonica di 7 t/ha/anno in più rispetto al risparmio di C per/ha/anno del

bioetanolo da canna da zucchero. E non sono gli unici calcoli sbagliati.

Autore: Pietro Perrino- Dirigente di Ricerca del CNR di Bari

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11. Falsi crediti di C da biodiesel di Jatropha nell’Africa meridionale

Per accordi internazionali, nessun gas serra connesso alla produzione di biocarburanti è attribuito al

settore dei trasporti. L'emissione legata alla produzione di biocarburanti è conteggiata come

emissione dei settori agricoltura e industria e/o energia. Inoltre, tutte le emissioni che provengono

dalla coltivazione e raffinazione nei paesi del Terzo Mondo, sono conteggiate come emissioni di

quei paesi, per cui un paese che importa biocarburanti può usare questi risparmi d’emissione per

migliorare il suo inventario di gas serra. Questo permette alle nazioni ricche che importano

biocarburanti di ridurre le proprie emissioni e chiedere crediti sotto l’Accordo di Kyoto. Questo

spiega perché piantagioni d’alberi di Jatropha sono state stabilite in Malawi e Zambia.

La Jatropha è una pianta resistente alla siccità che richiede poco o nessun trattamento con pesticidi

o fertilizzanti. I frutti di Jatropha possono essere raccolti 3 volte all’anno ed i sottoprodotti possono

essere usati per fare sapone e persino medicine. La raffinazione è fatta in Africa Meridionale. Molti

coltivatori sono passati dal tabacco alla Jatropha, considerata una buona cosa poiché il tabacco è

una pianta difficile da coltivare. Ci sono quindi 200.000 ettari di Jatropha in Malawi e 15.000 ettari

in Zambia, pressoché tutti sotto un contratto d'affitto formale o accordi presi con la Compagnia D1-

Oils, residente nell’UK.

L’Africa Meridionale è una delle regioni più vulnerabile nel mondo al cambiamento climatico. Tutti

i modelli climatici prevedono che la regione (escludendo Lesotho e Swaziland) diverrà molto più

calda e più arida, con siccità più frequente e più intensa, intervallata da alluvioni più severi. Questo

potrebbe provocare perdite massicce di raccolto ed un collasso della produzione alimentare.

Circa l’80 % della popolazione dello Zambia conta su una biomassa sufficiente per tutta o per la

maggior parte dell’energia di cui ha bisogno, con solo il 12 % avente l’accesso all’elettricità. In

Malawi, il 90 % di produzione dell'energia primaria viene da biomassa, cioè legna da ardere e

carbone. La maggior parte delle persone rurali dipendono dalla legna da ardere, spesso da stufe

inefficienti per la cottura, che causano seri inquinamenti e sono la causa principale di una cattiva

salute e morte. Le donne e le ragazze sono particolarmente colpite.

Le piantagioni di Jatropha possono avere impatti seri sul cibo e la sicurezza energetica della

regione, specialmente se si espandono. Finora non c'è stato alcuno studio d’analisi del ciclo vitale o

di sostenibilità sul biocarburante di Jatropha.

12. Verifica trasparente del ciclo di vita, accertamento dell’impatto ambientale e necessità di

uno schema di certificazione obbligatoria.

È piuttosto chiaro che gli attuali biocarburanti sono prodotti in diversi modi, la maggior parte dei

quali non sono C neutrali. C'è bisogno urgente di una certificazione trasparente del ciclo di vita con

le relative emissioni d’energia e di C e d’altri criteri di sostenibilità che devono tener conto degli

impatti sulla salute, l’ambiente ed il benessere sociale. Molti hanno richiesto uno schema di

certificazione obbligatoria basato su chiari criteri di sostenibilità che permettono una salvaguardia a

lungo termine degli ecosistemi forestali più sensibili come della fertilità della nostra terra e del

nostro suolo. Questi criteri dovrebbero garantire anche la sovranità alimentare (i diritti della

sicurezza alimentare nelle proprie scelte personali) e i diritti di tutti alla terra ed al lavoro.

Agli attuali biocarburanti abbiamo molte alternative come energie rinnovabili e veramente

sostenibili. Alcuni studiosi e ricercatori hanno proposto di mettere insieme queste alternative in una

soluzione denominata “Fattoria da Sogno” con zero-emissione e zero sprechi sia di cibo sia

d’energia. Una delle tecnologie centrali usata è la digestione anaerobica che trasforma gli sprechi (e

sostanze inquinanti ambientali) in nutrienti per colture e bestiame ed energia sotto forma di biogas,

consistente nel 60 % o più di gas metano, che può essere usato per alimentare autovetture così come

per generare elettricità.

Autore: Pietro Perrino- Dirigente di Ricerca del CNR di Bari

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Diversi studiosi hanno stimato che se tutti i residui biologici vegetali e animali della Gran Bretagna

fossero trattati in digestori anaerobici fornirebbero più del 50 % del combustibile necessario per il

trasporto del paese. Certamente, i veicoli avrebbero bisogno di un motore diverso, ma tali macchine

sono già sul mercato, e le macchine a biogas-metano hanno tubi di scappamento così puliti che nel

2005 furono accettate come le macchine ambientali dell’anno.

Più significativa fra tutte è la “Fattoria da Sogno” che funziona completamente senza combustibili

fossili. Robert Ulanowicz, Professore d’ecologia teoretica, afferma “scommetto che la gente sarebbe

sorpresa nel vedere abbassare velocemente il livello d’anidride carbonica nell’atmosfera se la

finissimo di bruciare carburanti fossili.”.

13. Il Brasile, la Repubblica dei biocarburanti

La rapida espansione dell’industria dei biocarburanti pone serie minacce alla sopravvivenza della

gente e del pianeta. Vediamo come e perché.

Bioetanolo integrato e produzione di biodiesel

Il Presidente Lula recentemente ha inaugurato il Barralcool, il primo impianto di biocarburanti

integrato che produrrà etanolo da canna da zucchero e biodiesel da semi. Il programma per il

bioetanolo del Brasile inizia almeno con la crisi del petrolio degli anni 1970’ ed è stato il mercato

più avanzato di biocarburanti nel mondo per decadi. Attualmente ci sono quasi 300 impianti in

attività di canna da zucchero-etanolo, con 60 o più in costruzione.

La domanda globale crescente per biocarburanti ha fornito un'opportunità, non solo ad espandere

l’attività canna da zucchero-etanolo, ma anche a salvare la sua industria della soia dalla crisi,

attraverso la trasformazione della soia in un altro biocarburante: il biodiesel.

Il settore della soia è nella sua crisi peggiore da decadi e l’industria della lavorazione della soia è

stata in serio declino. Alcune Società per azioni multinazionali, come Archer Daniels Midland e

Bunge hanno, negli anni passati, chiuso molti impianti di frantumazione. I nuovi impianti

d’etanolo-biodiesel in Barra do Bugres, Mato Grosso, nel cuore della fascia della soia (soya belt)

del centro-ovest del Brasile, ha prodotto etanolo dalla canna da zucchero coltivata nei campi vicini

per più di 20 anni, ma Dedini, il principale fornitore d’impianti di canna da zucchero – etanolo -

biodiesel in Brasile, costruì proprio sul posto un impianto integrato di biodiesel, dopo avere

investito 27 milioni di Reals ($ USA: 12.5 milioni).

Di recente, il governo di Lula ha fatto passare una legge che consentirà di usare una miscela con il 2

% di biodiesel da semi di piante da olio simili alla soia, come semi di girasole o ricino presso tutti i

venditori commerciali di diesel da petrolio entro il 2008 con aumenti sino al 5 % entro il 2013.

Alcune centinaia di stazioni di rifornimento già forniscono miscele. Il Brasile ha circa 10 impianti

di biodiesel già attivi mentre altri 40 sono in costruzione.

Attualmente, circa la metà dei raccolti di canna da zucchero del Brasile è stata utilizzata per la

produzione di bioetanolo, mentre il resto è stato utilizzato per la produzione di zucchero.

Gli automobilisti, oggi, possono scegliere di fare il pieno con il 100 % d’etanolo a metà prezzo della

benzina presso più di 30.000 stazioni di rifornimento in tutto il paese, o di usare benzina miscelata

con il 20-25 % d’etanolo. L’etanolo fornisce il 40 % di tutto il consumo di carburanti non-diesel.

Nel 2005, il Brasile ha prodotto 15.9 miliardi di litri di bioetanolo, più di un terzo

dell'approvvigionamento del mondo e secondo solamente agli Stati Uniti. Il bioetanolo del Brasile è

oggi l’unico programma di produzione di biocarburante su grande scala capace di espandersi senza

sussidi del governo. In contrasto, il bioetanolo da mais degli USA è pesantemente sovvenzionato.

Il Brasile è pronto a raddoppiare la sua produzione di bioetanolo nella prossima decade, le

proiezioni di mercato per il 2005 prevedevano un incremento sino al 62 %, grazie a richieste

crescenti dell’UE, Stati Uniti, Cina, Giappone, India ed altri. È pronto anche per espandere su vasta

Autore: Pietro Perrino- Dirigente di Ricerca del CNR di Bari

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scala la produzione di biodiesel per esportazione, usando la soia, palma da olio e olio di ricino. Il

Brasile sta emergendo come la più grande Repubblica dei Nuovi Biocarburanti nel mondo.

Il bioetanolo ottenuto dalla canna da zucchero è sostenibile?

Il bioetanolo del Brasile è ritenuto un modello sostenibile di produzione di biocarburanti e ciò

sembra essere stato confermato da un rapporto pubblicato ad ottobre del 2006 dall’International

Energy Agency’s Bioenergy Task 40, che analizza il commercio internazionale della bioenergia e

biocarburanti. Il rapporto concludeva che, in generale, la produzione d’etanolo da canna da

zucchero come attualmente praticata in Brasile, è ecosostenibile. I biocarburanti sono valutati in

termini di bilancio energetico, cioè di unità d’energia prodotte dal biocarburante per unità d’energia

consumata, e di C risparmiato, cioè la percentuale di emissioni di gas serra risparmiata usando il

biocarburante rispetto al gas serra prodotto usando la stessa quantità d’energia liberata dal

combustibile fossile. Si stima che l'etanolo da canna da zucchero ha un bilancio energetico intorno

ad un valore di 8,3 che nel migliore dei casi potrebbe arrivare anche a 10,2. Un valore che supera di

gran lunga il bilancio energetico di qualunque altro biocarburante, specialmente di quelli prodotti in

regioni temperate. Il carbone risparmiato, tra l’85 ed il 90 %, è anche maggiore di qualunque altro

biocarburante.

Il rapporto “Sostenibilità del Bio-etanolo Brasiliano” fu commissionato da Senter Novem,

l'Agenzia Olandese per lo Sviluppo Sostenibile e Innovazione, ed eseguito dal Copernicus Institute

(Università di Utrecht) e l’Università di Campinas, Unicamp del Brasile. Secondo il rapporto il

Brasile esporterà etanolo da canna da zucchero e l’Europa sarà la principale importatrice.

Il relativo successo dell’etanolo da canna da zucchero scaturisce dalla velocità di crescita della

coltura nell’area tropicale del Brasile e dal processo di produzione a ciclo chiuso, cioè processo in

cui l’energia per la raffinazione e distillazione deriva dalla bruciatura dei residui della stessa canna

da zucchero, senza ricorrere a combustibili fossili. La raffinazione e distillazione richiedono molta

energia, specialmente se si tratta di bioetanolo.

Ma la produzione di bioetanolo è veramente sostenibile? Gli estensori del rapporto usarono criteri di

sostenibilità, abbozzati da una Commissione parlamentare in Olanda, fondamentali nella

conservazione della natura, ma ci furono molte incertezze a causa di disaccordi tra i funzionari della

Commissione. Il criteri comprendono: il risparmio di C del 30 % o più entro il 2007, aumentato al

50 % o più entro il 2011; provvedimenti per proteggere la biodiversità in aree sensibili, anche se in

realtà furono considerati provvedimenti molto deboli; fissare un limite di non più del 5 % di

conversione da foresta a piantagioni nei successivi 5 anni; nessun impatto economico negativo sulla

regione o nazione; acquiescenza con standard di benessere, come diritto al lavoro, diritti umani

basilari, diritti di proprietà e d’uso e leggi anti-corruzione; acquiescenza con leggi ambientali sulla

gestione dei rifiuti e sull'uso di organismi geneticamente modificati.

Tra le principali preoccupazioni ci sono gli impatti ecologici e sociali, inclusa la sicurezza

alimentare. Ancora non è chiaro l’impatto che avrà il maggior uso di terra per la coltivazione della

canna da zucchero sulla biodiversità o sulla competizione con altre colture per produrre alimenti. Il

rapporto non considera per niente gli aspetti sociali, e ciò in un paese dove i diritti umani ed i diritti

della terra sono ancora problematici. Inoltre, non ci sono considerazioni relative agl’impatti sulla

salute dei lavoratori e del più vasto pubblico.

Non ha ricevuto la dovuta attenzione neanche l'impatto della coltivazione intensiva della canna da

zucchero sul C organico del suolo, con particolare riguardo agli effetti dei cambiamenti nell’uso

della terra. In Brasile, uno studio pubblicato nel 1999 trovò nel suolo un calo di C organico del 24

%, 20 anni dopo che la foresta era stata trasformata in pascolo. La rimanente parte di 47 t C per

ettaro di pascolo si ridusse del 22 % nel corso dei successivi 20 anni, durante i quali la coltivazione

della canna da zucchero sostituì il pascolo.

La canna da zucchero invade l’Amazzonia, ma ancora di più la foresta Atlantica ed il Cerrado, un

ecosistema tipo-savana unico e molto bio-diverso. Due terzi del Cerrado sono stati distrutti o

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degradati. Inoltre, la canna da zucchero non garantisce un ricovero agli uccelli. Se la coltivazione

della canna da zucchero si dovesse espandere, la prospettiva per la biodiversità naturale mondiale

sarebbe piuttosto cupa.

Nel 2005, un rapporto del WWF per conto dell'Agenzia Internazionale per l’Energia suggerì che il

programma del Brasile per il bioetanolo riduceva le emissioni dovute al trasportano di 9 Mt/anno,

ma l’80 % delle emissioni di gas serra del paese derivano dalla deforestazione. Uno studio mostra

che un ettaro di terra in Brasile permette di coltivare abbastanza canna da zucchero da produrre

etanolo che fa risparmiare l’emissione di 13 t CO2 per anno. Ma se allo stesso ettaro di foresta

naturale gli fosse data la possibilità di rigenerarsi, esso assorbirebbe non 13 ma 20 t di CO2 per

anno.

Il biodiesel della soia è ancora peggio

La soia è certamente la scelta peggiore - non solo perché dà un bassissimo bilancio energetico e

risparmio di C - ma perché la monocultura della soia è responsabile della distruzione

dell’Amazzonia più di ogni altro singolo affare commerciale, incluso bestiame bovino da ranch o

l’abbattimento degli alberi. Ciò si ricollega alla distruzione delle foreste Atlantiche del Brasile.

L’intensità di deforestazione dell’Amazzonia che era diminuita nel corso degli otto anni precedenti

al 2003, è improvvisamente aumentata, quasi completamente a causa della soia coltivata in

monocoltura. L’affare è largamente controllato da una compagnia Gruppo Maggi appartenente al

governatore del Mato Grosso, uno Stato dell’Amazzonia, e la principale esportatrice è la

compagnia Cargill degli USA.

Sinora la soia è stata coltivata principalmente come foraggio per gli animali per soddisfare la

domanda di soia GM dell'Europa, USA e Cina. E’ sicuro che il programma per la produzione di

biodiesel dalla soia sostenuto dal governo del Presidente Lula determinerà un’accelerazione della

distruzione della Foresta Amazzonica.

La terra degli indiani Enawene Nawe in Mato Grosso è stata rapidamente disboscata per coltivare

soia ed allevare bestiame. Il governatore dello Stato e barone della soia, Blairo Maggi, uno dei più

grandi produttori di soia del mondo, sta progettando di costruire dighe idroelettriche sulla loro terra

per fornire energia all'industria della soia. Sta anche facendo pressioni sul governo federale per non

riconoscere la terra indiana nel suo stato.

Nel 2004, tre-quarti della soia dell’UK venivano dal Brasile. Oggi sono rimasti solo 420 indiani

Enawene Nawe. E’ una delle poche tribù che non mangiano carne rossa, e che dipende dalla caccia

e dal miele che raccoglie nella foresta sopravvissuta. Le organizzazioni indiane brasiliane dicono

che sotto il governo di Lula, la demarcazione della loro terra ha quasi raggiunto un limite critico. La

violenza contro gli indiani è aumentata e la salute degli indiani è seriamente peggiorata, con

bambini che muoiono di fame a livelli di record. No vi meravigliate, gli indiani Enawene Nawe

dicono: la soia ci sta uccidendo. E il biodiesel da soia può farli tutti fuori.

Una vera catastrofe per il riscaldamento globale e la biodiversità

L'Amazzonia è uno dei più grandi bacini terrestri che smaltiscono il C . La sua perdita può far

aumentare notevolmente le emissioni di C e contribuire a scaldare ulteriormente il pianeta da 0,6 a

1,5 °C in più del riscaldamento già previsto dall'IPCC (Intergovernamental Panel on Climate

Change) per questo secolo. Gli scienziati sono sempre più preoccupati sulla soglia probabile di

deforestazione, oltre la quale l’intero ecosistema potrebbe crollare e cominciare a morire. La

ragione di tutto ciò è che molta della pioggia che sostiene la foresta è riciclata; l’acqua è assorbita

dagli alberi e restituita all’atmosfera attraverso l’evapotraspirazione. Si stima che 7 miliardi di

tonnellate di acqua riciclati, aiutano a raffreddare l'atmosfera immediatamente al disopra delle

foreste. Il ciclo dell’acqua - che sostiene l’agricoltura nella regione e altrove - si potrebbe rompere,

e ciò potrebbe interessare il corn belt (la fascia del mais) degli USA. La siccità permanente sul

bacino dell’Amazzonia può ridurre seriamente l’approvvigionamento del cibo globale, già in

Autore: Pietro Perrino- Dirigente di Ricerca del CNR di Bari

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diminuzione, e allo stesso tempo lanciare nell’atmosfera sempre maggiori quantità di C in una

crescente spirale catastrofica di riscaldamento globale che può spingere la maggior parte delle

specie terrestri verso l’estinzione, inclusa la specie umana.

14. La situazione italiana

La stampa italiana riporta una serie di inesattezze, in parte dovute ad ignoranza ed in parte dovute a

sponsorizzazioni da parte di imprese interessate alla costruzione di impianti di trasformazione o

all’importazione o esportazione di biomasse o di prodotto finito. Imprese che guardano solo al

profitto in tempi brevi. Sono biomasse le piante, i rifiuti industriali ed i rifiuti agricoli. Se si

pensasse di utilizzare come fonte di energia i rifiuti industriali ed i rifiuti agricoli, escludendo le

piante, allora i biocarburanti potrebbero essere i benvenuti, ma come già sottolineato le industrie

sono invece interessate ad utilizzare soprattutto le piante.

Persino specialisti, uomini di cultura e soggetti politici di destra e di sinistra, male informati,

incoraggiano l’uso delle piante per produrre biocarburanti, anche attraverso incentivi fiscali ad hoc.

Quelli più spavaldi pensano addirittura di usare piante geneticamente modificate (GM),

dimenticando tutti gli aspetti negativi delle piante transgeniche. Per nostra fortuna l’applicazione

della direttiva europea 2003/30/CE sui biocarburanti, che fissa nel 5,75 % la quota di combustibili

tradizionali da sostituire con biocombustibili entro il 2010, è molto lenta ed il decreto legislativo n.

128 del 30 maggio 2005, con cui l’Italia recepisce la direttiva europea sui biocarburanti, ha posto

obiettivi più modesti: l’1 % entro la fine del 2005 ed il 2,5 % entro il 2010. Un altro aiuto ce l’ha

dato la finanziaria 2005, in quanto ha ulteriormente ridimensionato tali obiettivi. Così il contingente

di biodiesel è stato ridotto a 200.000 tonnellate all’anno per un periodo di sei anni. Si spera che un

maggior impulso alla raccolta differenziata dei rifiuti finisca con l’incentivare l’uso dei rifiuti

urbani, industriali ed agricoli per produrre biocarburanti, evitandoci di sottrarre superfici alle colture

alimentari e di non cambiare la buona abitudine di lasciare a riposo i terreni (set aside), che come

abbiamo ricordato più volte servono a conservare meglio la biodiversità degli ecosistemi agricoli.

Anche se in generale il mondo scientifico italiano si lascia coinvolgere da questa frenesia di

utilizzare le colture per produrre biocarburanti, non mancano esempi di buona condotta da parte di

studiosi più attenti. Tra questi vi è l’Istituto Bruno Leoni (IBL) del Dipartimento di Ecologia di

Torino, che ha fatto un’analisi oggettiva della problematica, affermando che i biocarburanti sono

un’illusione, anche se non mi pare che l’IBL sia preparato sulle piante GM, in quanto ritiene

erroneamente che queste potrebbero rappresentare una soluzione.

Autore: Pietro Perrino- Dirigente di Ricerca del CNR di Bari

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Conclusioni

Sulla scorta delle informazioni fornite è evidente che l’uso di colture alimentari e non alimentari per

produrre biocarburanti è una scelta sbagliata. Lo scenario attuale mondiale offre al problema

energetico diverse soluzioni alternative ai carburant