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Le dinamiche sociali del populismo

di Carlo Gambescia - 25/09/2007

 

Come è noto, nelle democrazie liberali e parlamentari contemporanee, il populismo non è ben visto. In genere si tende a scorgervi, e in particolare nei suoi dirigenti, un tentativo di trovare consensi tra classi considerate poco evolute, puntando su luoghi comuni politici di facile presa.
Per ragioni di spazio tralasciamo qui ogni discussione sul populismo russo e americano di fine Ottocento, limitandoci a ricordare che questi movimenti, pur seguendo percorsi differenti, rappresentarono un tentativo di coinvolgere il popolo, visto come punto di riferimento etico, nella lotta culturale e politica.
Il populismo, insomma, pone al centro della sua impostazione ideologica il popolo come fonte di ogni potere democratico. I suoi critici, invece, ritengono che l’appello al popolo sia puramente strumentale e basato sul ricorso ai suoi “istinti animali”.
Tuttavia, tutti i movimenti politici moderni, nella fase di “stato nascente” si sono appellati alla sovranità popolare, persino quelli liberali (si pensi alle rivoluzioni ottocentesche per le Costituzioni). Dopo di che, nella fase post-rivoluzionaria, il ricorso diretto al popolo è caduto, in favore di forme istituzionali di tipo rappresentativo o carismatiche e/o autoritarie.
Nella politica moderna, sprovvista di altre forme di legittimazione, l'appello al popolo è un dato sociologico costante (legato alle caratteristiche della forma sociale-movimento); un fenomeno quindi che riguarda tutte le forze politiche. Di conseguenza, l’accusa di populismo è puramente strumentale perché riguarda il tentativo delle forza istituzionalizzata di tutelare il suo potere, screditando ogni opposizione movimentista, definendola come nemica della democrazia rappresentativa. Ma, attenzione, lo stesso vale per la forza populista, che in genere tende a conquistare il potere, attaccando strumentalmente le istituzioni esistenti, definendole nemiche del popolo. Per farla breve: sia le istituzioni che i movimenti populisti si ritengono depositari della sovranità popolare. Di qui quella feroce lotta, spesso sotterranea, che ha come obiettivo la conquista o la difesa della legittimità politica. Inoltre i movimenti populisti tendono ad avere maggiore forza di penetrazione nella società rispetto ai movimenti sociali e politici della sinistra classica (socialdemocratica e rivoluzionaria), perché rifiutano l’internazionalismo e puntano sull’idea del popolo-nazione. Rifiuto tanto più efficace, in tempi in cui la globalizzazione viene vissuta dal ceto medio (predominante nelle nostre società) come causa della propria disgregazione.
Ora, crediamo, che la forza del movimento come delle istituzioni, dipenda dal grado di “scollamento” tra politica e società. Non è un problema ( o comunque non solo) di “questione morale”, come si dice in Italia, ma di pura sopravvivenza della società (in termini materiali). Quanto più la soddisfazione dei bisogni sociali minimi (alimentazione, salute, sicurezza) diviene difficile tanto più la protesta dei movimenti (populisti) tende a rafforzarsi. Di qui la necessità per le istituzioni di introdurre per tempo miglioramenti e riforme, al fine di evitare che il conflitto sociale possa trasformarsi in rivoluzione politica.
Attualmente, le istituzioni, particolarmente in Italia, sembrano sorde a qualsiasi interventismo di tipo sociale. La globalizzazione e il neoliberismo si sono sostituiti alle politiche nazionali di welfare: incertezza e precarietà sociale ne possono essere le conseguenze possibili. E in un quadro del genere, la protesta dei movimenti populisti non può non svilupparsi in modo sempre più aggressivo.
E’ invece più difficile prevedere l’evoluzione sociologica di un populismo vittorioso. In genere, come mostra la storia del Novecento, la critica alle istituzioni democratiche e liberali rischia sempre di sfociare in forme autoritarie e/o carismatiche. Tuttavia non si può neppure escludere che il populismo contemporaneo possa assumere sul piano istituzionale forme nuove e democratiche.
Si tratta di una prospettiva interessante che rischia però di restare sulla carta. Per quale ragione? Perché richiede grande maturità politica e teorica; apertura tempestiva, dove questi movimenti sono in sviluppo, di una fase organizzativa; ma soprattutto che la situazione sociale non peggiori troppo rapidamente. Il che dipende dal ritmo di introduzione delle politiche neoliberiste e di apertura alla globalizzazione: quanto più è veloce tanto più il populismo tende a sviluppare componenti autoritarie.
In conclusione, qualsiasi politica del tanto peggio tanto meglio rischia di non giovare a nessuno.