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Blackwater killer, ora spunta un traffico d'armi

di Michelangelo Cocco - 25/09/2007

 
L'agenzia di contractors accusata del massacro di domenica a Baghdad sotto inchiesta per i suoi rapporti col Pkk, che per gli Usa è un'organizzazione terroristica


Cessione di armi al Parito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), considerato dal governo statunitense un'organizzazione terroristica. I guai per i mercenari della statunitense Blackwater sembrano non finire mai: prima l'uccisione, domenica scorsa, di almeno undici civili a Baghdad, ieri la notizia che investigatori federali stanno indagando su un traffico di materiale bellico verso la Mesopotamia che vedrebbe coinvolti uomini dell'agenzia di sicurezza e, ancora, il ministero dell'interno iracheno che accusa i contractors di essere coinvolti in altri sei «incidenti».

L'inchiesta sulla presunta esportazione illegale di decine di armi automatiche, visori notturni, armature e altre attrezzature da guerra è partita da Greenville, una cittadina di 70mila abitanti nel Nord Carolina dove, nel gennaio scorso, due ex impiegati nell'agenzia che fornisce un migliaio di Rambo a protezione delle ambasciate e dei funzionari americani impegnati a Baghdad si sono dichiarati colpevoli di reati collegati al traffico d'armi e stanno collaborando con gli inquirenti. La Blacwater ha smentito con un comunicato: «Le accuse secondo le quali la Blackwater è stata in alcun modo associata o complice di commercio d'armi illegale sono senza fondamento».
Ma secondo quanto riferito dal quotidiano locale News & Observer, potrebbe esserci stato anche un tentativo d'insabbiare tutto. Henry Waxman, un parlamentare democratico che da anni si occupa dei reati commessi dai contractors, accusa l'ispettore generale del Dipartimento di stato, Howard Krongard, di aver messo i bastoni tra le ruote agli inquirenti. Secondo Waxman, invece di un investigatore, Krongard ha «contribuito» alle indagini inviando presso gli agenti federali un membro del suo ufficio stampa.

L'altro ieri, nonostante il premier iracheno Nouri al Maliki ne avesse auspicato la sospensione a tempo indeterminato, i mercenari della Blackwater hanno ripreso servizio per le vie di Baghdad, proprio mentre sempre più imbarazzanti si facevano le testimonianze contro di loro sulla strage di domenica nel quartiere di Al Mansour, prima della devastazione di Baghdad cuore elegante della capitale irachena.
La versione fornita dai militari afferma che i soldati hanno sparato dopo lo scoppio di un'autobomba e l'esplosione di numerose raffiche di mitra contro di loro. Ma le testimonianze - civili iracheni presenti sul posto, fonti ospedaliere, della polizia e dell'esercito - raccolte sia dal quotidiano britannico Independent che dall'Associated Press, raccontano un'altra storia. Ci sarebbe stata un'esplosione, un chilometro e mezzo a nord di piazza Nisoor.

Gli uomini della Blackwater avrebbero ordinato a un gruppo di automobilisti di allontanarsi. Questi ultimi avrebbero «perso tempo» e, a quel punto, i mercenari avrebbero aperto il fuoco su auto in movimento, civili (donne e bambini) che terrorizzati si precipitavano fuori dalle macchine, poliziotti e soldati iracheni. I morti sarebbero stati una trentina. Da qui le proteste vibranti dell'esecutivo filo-Usa.
L'Independent ha definito l'episodio il «bloody sunday iracheno, che è diventato una prova di sovranità tra i poteri del governo iracheno e gli Stati Uniti». Al Maliki ha tuonato: «Non tollereremo l'uccisione a sangue freddo dei nostri cittadini» e ieri il ministero dell'interno ha reso noti altri sei casi in cui in passato, la Blackwater avrebbe ucciso o ferito decine di iracheni. Sta di fatto che, dopo le minacce del governo iracheno, è stata l'ambasciata statunitense ad autorizzare - quattro giorni dopo il massacro - la ripresa delle scorte ai diplomatici da parte della Blackwater, una delle tre aziende titolari d'appalto (300milioni di dollari) da parte del ministero della difesa Usa.

La presenza di mercenari in Iraq è stimata tra le 25mila e le 50mila unità. Spesso ex membri delle forze speciali delle nazionalità più disparate, operano in un regime giuridico che rende difficile la loro perseguibilità, non essendo considerati civili né militari. Se combattono (ne sono morti 647 dal marzo 2003) non godono di nessuna immunità per il diritto internazionale ma, in base l'Ordine numero 17 dell'Autorità provvisoria della coalizione (Cpa) - una delle tante norme varate dall'allora proconsole Usa Paul Bremer tuttora in vigore - hanno l'immunità nei confronti delle autorità irachene.