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Heidegger e la Norimberga dei filosofi

di Armando Torno - 25/09/2007




Nell'estate del 1945, con la resa incondizionata della Germania, ci fu chi pensò, dopo un processo esemplare ai capi politici, anche a una Norimberga degli intellettuali nazisti. Furono sostanzialmente esclusi, per quel che è noto sino a oggi, gli scienziati che avevano aderito al Terzo Reich e che si divisero tra Urss e Usa, senza problemi. Ma con un artista quale Arno Breker, che pur aveva aiutato Picasso durante la guerra, gli Alleati si comportarono diversamente: i suoi studi furono confiscati e distrutti, circa l'80% delle opere a lui attribuite venne disperso e qualcosa si ritroverà soltanto negli anni '60 in una fonderia, dove le sculture erano vendute a peso (una legge del 1947 gli impedirà anche il riacquisto di quanto fosse riuscito a rintracciare). Né andò meglio per i filosofi.
Già all'indomani del 28 aprile 1945, allorché le truppe francesi entrarono a Friburgo, alcuni professori vennero arrestati per collaborazionismo e l'amministrazione comunale stilò una «lista nera» di quelli che si erano compromessi con il passato regime. I loro appartamenti furono posti sotto sequestro e si formò una «Commissione per l'epurazione», della quale fecero parte docenti appena scarcerati. Sarà questo organismo a proporre di pensionare in anticipo Martin Heidegger, che a Friburgo aveva la cattedra, ma non di allontanarlo dal suo posto. Mentre il filosofo teme la confisca della propria biblioteca, il Senato accademico impugna la decisione e le indagini sul suo conto vengono riaperte.
È in questi momenti che accade qualcosa di unico nel polverone delle vicende. Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz, che insegna Filosofia della religione e Scienza delle religioni comparate alla Technische Universität di Dresda, e che è la massima specialista di Romano Guardini (1885-1968), il pensatore nato a Verona ma completamente tedesco nella vita e nelle opere (dal 1923 al 1939 cattedra a Berlino, nel 1945 a Tubinga, nel 1948 a Monaco di Baviera), ha ritrovato documenti e delineato situazioni che gettano luce sui fatti accennati. L'abbiamo incontrata nella sua casa di Erlangen, poco distante da Norimberga, dove ci ha mostrato gli appunti di un saggio che ricostruisce il rapporto tra i due. Si intitola
Romano Guardini e Martin Heidegger. Annotazioni riguardo a un dialogo che non è mai avvenuto direttamente (la traduzione italiana uscirà sul n. 4 della rivista "Humanitas", diretta da Ilario Bertoletti ed edita da Morcelliana).
La Gerl-Falkovitz parla di una serie di incontri tra i due filosofi che non si conoscevano. Per fare un esempio, se ne può ricordare uno del 1933 che vede Heidegger «in tuta blu» mentre è in gita in canoa sul Meno con la moglie. Appena viene a conoscenza di un convegno organizzato da Guardini, interrompe la vacanza per rendere omaggio «al metafisico» e fare colazione con lui. Il giorno seguente, il pensatore cattolico riassumerà quei dialoghi con una battuta a Mathilde Schütter di Monaco: «Ieri sera ho capito che non sono un filosofo». Ovviamente egli non condivide il pensiero dell'autore di Essere e tempo.
La Gerl-Falkovitz elenca le distanze che Guardini prende in diverse occasioni, soprattutto quando Heidegger accetta incarichi dal partito nazista. Ma nel 1945 le loro strade si incontrano, e sarà il cattolico a scrivere un capitolo particolare della storia dell'epurazione.
Dunque: nell'autunno di quel 1945 Guardini riceve proposte da vari atenei tedeschi, tra i quali c'è appunto Friburgo. Anzi, gli viene chiesto da Max Müller (la Gerl-Falkovitz ci mostra la lettera), professore di quella università, di sostituire Heidegger. Ricorda la studiosa tedesca: «Guardini rifiuta senza esitazioni, adducendo come motivo, cosa che comunica direttamente allo stesso Heidegger nel 1946, l'impossibilità di inquadrarsi nell'ambito della filosofia intesa come disciplina specifica». È chiaramente una scusa, un'arrampicarsi sui vetri. La Gerl-Falkovitz aggiunge: «Anche se Guardini in quei mesi soffriva di depressione e le varie proposte lo lusingavano, di fronte al nome di Heidegger non avrebbe mai accettato: lo considerava il più grande». E a chiarimento: «Va precisato che il filosofo cattolico ebbe un singolare rapporto con l'autore di Essere e tempo. Quest'ultimo ne cercò, sin dagli anni '30, sia il plauso che la confidenza. Ma Guardini tenne le distanze: lo considerava il numero uno al mondo, ma lo accusava di aver contaminato la sua filosofia con il nazismo. Anzi, più di una volta pensò fosse una persona disturbata; riteneva il pensiero di Heidegger pericoloso, da confutare ma non da martirizzare. Se lui fosse stato epurato, se si fosse realizzata una Norimberga degli intellettuali, si sarebbe trasformato in una vittima con conseguenze devastanti. La potenza del pensiero di Heidegger era diversa dal suo errore».
Per taluni aspetti, il comportamento di Guardini è parallelo a quello di Jaspers, anche se la rinuncia alla cattedra mostra qualcosa di più (la Gerl-Falkoviotz aggiunge: «Forse Heidegger avrebbe accettato senza obiezioni la chiamata di Guardini»), ma soprattutto impedì che si mettesse in moto un processo di epurazione che avrebbe utilizzato Heidegger come simbolo. In quei mesi, del resto, bastava poco. «Il movimento di denazificazione — aggiunge la studiosa tedesca — del quale stanno emergendo documenti inediti, avrebbe sicuramente travolto Heidegger se Guardini avesse accettato. Non si dimentichi che la moglie Elfride era ancora nazista nel 1945».
L'altro capitolo di questa storia riguarda la proposta che lo stesso Guardini farà l'8 febbraio 1961 alla Bayerische Akademie di belle arti di Monaco per chiamare Heidegger a farne parte. La categoria scelta è «Letteratura»: ha reso «il fenomeno del linguaggio oggetto di particolare ricerca», «ha arricchito la filosofia di una serie di parole» eccetera. Nella parte finale della proposta, Guardini dichiara di essere in disaccordo con Heidegger su importanti questioni, nonostante lo conosca da cinquant'anni. Ma, ribadisce, è un pensatore importante, ha avuto un grande influsso ed è giusto riconoscerlo. Immaginiamoci le perplessità. Tra l'altro emerge dal dibattito, sviluppatosi intorno alla chiamata, la presenza tra gli altri candidati del «comunista italiano Quasimodo», forte di numerosi appoggi. La cosa irrita Guardini. Sono sue parole: «È un dato di fatto che a fronte di uguali elementi si è più indulgenti verso quelli che stanno a sinistra che con quelli che stanno dalla parte opposta». Sottolinea la Gerl-Falkovitz: «La spunterà Guardini, anche se sarà costretto a minacciare le dimissioni. Se non avessero ammesso Heidegger, le avrebbe rassegnate dall'Accademia».
Una storia scritta con tracce di dedizione assoluta. Guardini, che avrà scambi epistolari con Pio XII e Paolo VI, stimava Heidegger sino a compromettersi, prendendo tuttavia sempre le distanze. Lo ha comunque salvato da una Norimberga forse più problematica di quella che toccò ai gerarchi di Hitler.