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Iraq, gli intoccabili della Blackwater

di Ornella Sangiovanni - 25/09/2007


Tanto rumore per nulla? A pochi giorni dalla sparatoria nella quale sono rimasti uccisi 28 civili iracheni, la Blackwater ha ripreso a lavorare in Iraq, scortando le missioni dell’ambasciata Usa, sia pure in modo “limitato”.

Questo, nonostante il premier iracheno Nuri al Maliki avesse chiesto il congelamento delle sue attività, e il ministero degli Interni di Baghdad avesse detto di avere revocato la licenza alla società privata di “sicurezza”.

Il fatto è che la Blackwater, oltre a essere americana, è protetta dal Dipartimento di Stato, dato, tra i suoi principali compiti in Iraq, c’è quello di garantire la sicurezza dell’ambasciatore Usa e degli altri diplomatici.

E’ il Dipartimento di Stato che le ha permesso di operare senza la licenza del ministero degli Interni iracheno, che la società non ha mai avuto, anche dopo che era diventata un requisito essenziale per lavorare in Iraq.

“Erano intoccabili”, ha detto al Washington Post Matthew Degn, uno dei tanti “consulenti” Usa dislocati in Iraq, che è tornato di recente Baghdad dove ha lavorato per il ministero degli Interni iracheno.

"Erano al di sopra della legge”, ha aggiunto, descrivendo come gli elicotteri della società di sicurezza privata americana – del tipo Little Bird – spesso sorvolassero a bassa quota il tetto del ministero, come a voler dire 'Guardate, possiamo volare dove vogliamo'.

Il fatto è che la regolamentazione dell’attività delle società private di sicurezza straniere che operano in Iraq – un numero imprecisato, i cui dipendenti secondo alcune stime sarebbero attorno ai 48.000 – è quasi inesistente.

Un’ordinanza – la no.17 – emessa nel 2003 dall’allora amministratore civile Usa dell’Iraq, Paul Bremer, e riconfermata il 27 giugno 2004, un giorno prima che lo stesso Bremer lasciasse il Paese, trasferendo la “sovranità” agli iracheni, garantisce al loro personale l’immunità rispetto alla legge irachena.


Quanto alle linee guida operative, esse rimangono ancora quelle stabilite nel Memorandum no.17, del 26 giugno dello stesso anno – un’altra eredità dell’amministrazione Usa di occupazione – in cui, a proposito dell’uso della forza, si legge scritto in caratteri maiuscoli: "NIENTE DI QUESTE REGOLE LIMITA IL VOSTRO DIRITTO INERENTE A FARE QUANTO NECESSARIO PER DIFENDERVI".


Niente licenza, nessun monitoraggio


Nell’ultimo anno, le forze armate statunitensi hanno emesso una serie di cosiddette “fragos”- ovvero “ordinanze frammentarie” con l’obiettivo di imporre una maggiore responsabilità al personale delle società di sicurezza private che operano in Iraq sulla base di contratti con il Pentagono.

Queste tuttavia non riguardano la Blackwater, il cui contratto è con il Dipartimento di Stato.

Le nuove regole includono procedure per la registrazione delle armi, ed è sempre il Washington Post a riferire che il responsabile delle forze armate Usa per la sicurezza nella Green Zone di Baghdad, dove hanno sede circa una trentina di queste società, ha effettuato diverse retate, che hanno portato al sequestro di centinaia di armi non autorizzate.

Anche in questo la Blackwater l’aveva fatta franca. Almeno finora.

Secondo quanto riferito dal News & Observer, un giornale del North Carolina, investigatori federali statunitensi starebbero infatti investigando se la società abbia inviato armi automatiche e attrezzature militari in Iraq senza la necessaria licenza. In parole povere: fatto contrabbando di armi.

Il Dipartimento alla Giustizia Usa non ha voluto confermare se sia in corso un’indagine, e la Blackwater, in un comunicato diffuso ieri, nega qualunque responsabilità.

Dall’ottobre 2005, le società di sicurezza private straniere che operano in Iraq devono avere una licenza del ministero degli Interni di Baghdad.

Ancora una volta fa eccezione la Blackwater, che dal 2003 ha avuto contratti per 678 milioni di dollari dal Dipartimento di Stato, e opera sotto la sua esclusiva autorità.

La società statunitense divenne improvvisamente nota in Iraq nella primavera 2004, dopo che il linciaggio di quattro dei suoi contractor, avvenuto il 31 marzo a Falluja, offrì il pretesto per il sanguinoso assalto alla città da parte delle forze Usa nel mese di aprile.

In seguito, si decise di creare il cosiddetto Reconstruction Operation Center, che dovrebbe tenere il conto delle migliaia e migliaia di civili armati che circolano per il Paese per conto delle varie società private di sicurezza.

Ma, anche qui, la Blackwater, che pure ha avuto un ruolo nella sua creazione, non vi partecipa – e non è tenuta a comunicare i propri movimenti alle forze armate Usa.


"Non c’è alcuna supervisione o coordinamento della Blackwater da parte delle forze armate Usa", ha detto al Washington Post Jack Holly, un colonnello dei Marine in pensione, che, in qualità di direttore della logistica per l’U.S. Army Corps of Engineers [il genio militare dell’esercito Usa NdT] ha la supervisione di parecchie società private di sicurezza.


Holly sostiene che il comportamento della Blackwater irrita gli iracheni, e, a titolo di esempio, aggiunge che un po’ di tempo fa, quest’anno, alcuni dipendenti delle ferrovie nazionali si sono rifiutati di incontrare funzionari del Dipartimento di Stato che erano scortati da sue guardie.


Secondo il colonnello dei Marine, la colpa di quelle che definisce le tattiche “oppressive, quasi arroganti” della società americana, è in parte proprio del Dipartimento di Stato.


"C’è una evidente indulgenza da parte del Dipartimento di Stato, ed è ciò che esso si aspetta, perché sono loro ad avere la supervisione del contratto, e se non gli piacesse la cambierebbero", è il suo commento.


Al Dipartimento di Stato dicono che la Blackwater è sotto la supervisione del Bureau of Diplomatic Security – l’ufficio che si occupa della sicurezza dei diplomatici.


"Il personale del Dipartimento di Stato, compresi i funzionari che si occupano degli appalti, si incontra regolarmente con i contractor della sicurezza privata, sia sul campo in Iraq che a Washington, e si coordina con le altre agenzie federali statunitensi e con il governo iracheno in merito alle questioni di rispetto delle norme", è stata l’unica dichiarazione che il Washington Post è riuscito a ottenere, per e-mail, dopo ripetute richieste di delucidazioni.


Un “incidente” rivelatore


Dopo la sparatoria avvenuta a Baghdad il 16 settembre, il premier Nuri al Maliki, aveva attaccato duramente il comportamento della Blackwater, sostenendo che si trattava del settimo incidente in cui suoi dipendenti avevano aperto il fuoco contro civili iracheni.

Uno di questi “incidenti”, decisamente rivelatore, è stato raccontato al Washington Post da Matthew Degn, l’ex consulente americano del ministero degli Interni di Baghdad.

Il 24 maggio, Degn era stato evacuato dall’edificio del ministero, dopo una situazione di tensione fra alcuni suoi commando e delle guardie della Blackwater, che si era venuta a creare in seguito all’uccisione di un autista iracheno fuori dai cancelli, da parte delle guardie private.

I funzionari statunitensi e quelli iracheni temevano che l’incidente potesse portare ad attacchi di rappresaglia contro gli americani.

Dopo che i dipendenti della Blackwater avevano ucciso l’uomo, erano stati circondati da commando del ministero degli Interni, armati di AK-47. Le guardie della società privata di sicurezza si erano rifiutate di fornire i loro nomi o i particolari dell’incidente, e la cosa si era risolta solo con l’arrivo di un funzionario del Dipartimento di Stato, consentendo alla squadra della Blackwater di tornare nella Green Zone.

Successivamente, sia la società che il Dipartimento di Stato avevano negato che l’incidente fosse mai avvenuto. Costretti poi ad ammetterlo, avevano difeso il comportamento della guardie, dicendo che avevano seguito le regole sull’uso della forza.

Il Dipartimento di Stato, comunque, aveva detto che avrebbe aperto un’inchiesta.

Quattro mesi dopo, le sue conclusioni ancora non sono state annunciate.