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Verso la nuova inquisizione del pensiero unico scientista

di Francesco Lamendola - 26/09/2007

 

Che cosa succede se una persona che ritiene di essere posseduta dai demoni chiede l'aiuto di un sacerdote cattolico per sottoporsi al rito dell'esorcismo, consenziente anche la propria famiglia, e se alla fine muore per la denutrizione e gli atti di autolesionismo, avendo interrotto  le cure mediche-peraltro del tutto inefficaci -  e rifiutato di proseguirle? Avviene una cosa molto semplice: che le leggi dello stato, alleate alla casta dei medici "ufficiali", processano quel sacerdote e lo condannano per omicidio colposo, giudicandolo colpevole di aver causato l'interruzione della terapia che avrebbe potuto salvare quella vita umana. In altre parole, rimproverandogli di non essersi sottomesso al paradigma scientista secondo il quale non esistono terapie alternative a quelle della medicina accademica ed è irrilevante la scelta liberamente espressa dal paziente e dai suoi familiari. La presunta possessione diabolica, infatti, non è che un caso particolare della medicina (psichiatrica, nella fattispecie) e il fatto che le autorità dello Stato considerino un crimine il sottoporsi a cure diverse da quelle della scienza "ufficiale" significa, né più né meno, che la commedia della democrazia è finita. ed è finita proprio lì dove incomincia la sfera di più immediata rilevanza per la vita del singolo cittadino: la lotta contro il dolore e la malattia, la difesa della salute e della vita umana. Complimenti alla nuova Santa Inquisizione, che processa un prete per aver praticato l'esorcismo e non apre alcun procedimento a carico di quei milioni di medici che, con le loro diagnosi sbagliate, con la prescrizione di farmaci dannosi e con l'esecuzione di interventi operatori in cui il paziente ha peso la vita o ha subito danni irreversibili per una serie di effetti collaterali, hanno segnato il destino di innumerevoli persone ma sono stati protetti dal muro di gomma dell'omertà professionale. Oppure vogliamo parlare di tutti i bambini che hanno subito gravissimi danni permanenti per le vaccinazioni obbligatorie a base di farmaci ai quali erano allergici, o delle migliaia e migliaia di vittime del famigerato talidomide?

Queste riflessioni ci son venute alla mente dopo aver assistito alla proiezione del film The Exorcism of Emily Rose, realizzato nel 2005 dal regista americano Scott Derrickson. Il film, a sua volta, è tratto da una storia realmente accaduta, non negli Stati Uniti ma in Europa e, precisamente, in Germania: la drammatica vicenda che condusse alla morte una ragazza tedesca, di nome Anneliese Michel (nata il 21 settembre 1952 a Leiblfing in Baviera), il 1° luglio 1976 a Klingenberg am Main, dopo che per mesi si era sottoposta, ma invano, al rito dell'esorcismo cattolico. Ella riteneva di essere posseduta da almeno sei demoni e la sua famiglia, profondamente religiosa (i genitori Josef e Anna e tre sorelle), condivideva tale opinione. I suoi inspiegabili malesseri avevano cominciato a manifestarsi fin dall'età di sedici anni e avevano tribolato la sua frequenza nelle ultime classi del liceo.

I Michel erano gente semplice, di condizione sociale modesta; solo in un secondo tempo Anneliese trovò la forza di chiedere il loro aiuto. Il male di cui la ragazza soffriva si manifestava sotto forma di atroci convulsioni muscolari e, in seguito, furono accompagnati da una grave crisi depressiva, tanto che ella dovette ricorrere a un lungo periodo di degenza ospedaliera. A tutto ciò si aggiunse una rigidità delle membra, un rifiuto ostinato del cibo (per ordine dei demoni, a suo dire), una intensa attività autolesionista consistente nell'infliggersi ferite; e, ancora, il mangiare insetti, bere la propria urina, cadere in violente convulsioni davanti al sacro o cercar di distruggere rosari e crocifissi. Il tutto era accompagnato da visioni spaventose di demoni che la minacciavano continuamente e, sembra, dalla facoltà della xenoglossia, ossia di parlare lingue sconosciute. La situazione divenne insostenibile, tanto più che le cure ospedaliere e il trattamento farmacologico non producevano alcun effetto positivo. Benché imbottita di tranquillanti e sottoposta ad alimentazione forzata, Anneliese non migliorava: fu a quel punto che i suoi genitori si rivolsero al loro parroco, Ernes Alt, chiedendo che venisse tentata la strada dell'esorcismo. Annaliese, infatti, affermava di vedere il diavolo e di essere posseduta da non meno di sei demoni (ai medici dell'ospedale, però, ne aveva accennato solo vagamente, per spiegare il suo rifiuto del cibo). Il vescovo di Würzburg, Josef Stangl, tuttavia, in un primo momento rifiutò di aderire alla richiesta; anche se le condizioni della ragazza, dopo il suo ritorno a casa, peggiorarono ulteriormente, tanto che era necessario l'intervento di parecchi uomini robusti per tenerla ferma quando cadeva in convulsioni.  Fu solo più tardi, nel 1975, che il vescovo si decise ad autorizzare la cerimonia dell'esorcismo, affidandola allo stesso parroco Alt e a un altro sacerdote, padre Arnold Renz. Quando essi chiesero allo spirito maligno, secondo la procedura, di rivelare il suo nome, ottennero la risposta che vi erano parecchi demoni all'interno della loro vittima, tra i quali Lucifero, Giuda, Caino e Hitler. L'esorcismo non ebbe successo e si decise di prolungarlo nel tempo, ripetendolo a intervalli regolari.

In simili condizioni, sfruttando i periodi di relativa tregua, la povera Anneliese riuscì eroicamente a concludere gli studi liceali, a diplomarsi e ad iscriversi all'università di Würzburg. Ma la situazione peggiorava rapidamente, il suo corpo era coperto di piaghe e le sue ginocchia si fratturarono nelle cadute che vi verificavano durante gli attacchi del male; inoltre tutto l'organismo era gravemente debilitato per la mancanza di alimentazione adeguata. I due sacerdoti proseguirono con gli esorcismi, una volta alla settimana, per un anno intero. Ma ormai la resistenza della ragazza era  giunta alla fine: ammalatasi di polmonite moriva, dopo aver domandato e ricevuto l'assoluzione, il 30 giugno 1976. La notizia delle sue terribili sofferenze si era frattanto diffusa  a Klingenberg e la sua tomba, coperta di fiori, diveniva meta di pellegrinaggio; ma una commissione di vescovi tedeschi incaricata di far luce sulla vicenda avrebbe finito per concludere che Annaliese non era  stata posseduta dal demonio.

Intanto si metteva in moto, lentamente e faticosamente, il meccanismo giudiziario: e questa (anche nel film di Scott Derrickson) è, per certi aspetti, la parte più significativa dell'intera vicenda. Benché  il parroco Alt avesse informato subito le autorità delle circostanze in cui si era spenta Anneliese Michel, le indagini avviate dal procuratore capo di Aschaffenburg durarono ben due anni, alla fine dei quali si svolse il processo penale a carico dei genitori della ragazza e dei due sacerdoti cattolici che le avevano praticato l'esorcismo. L'accusa era di "omicidio colposo e omissione di soccorso" per aver interrotto le appropriate terapie mediche della povera Anneliese in favore dell'esorcismo e averne così provocato, indirettamente, il decesso. A nulla valse la testimonianza di sua sorella, secondo la quale ella aveva rifiutato di tornare a farsi ricoverare in ospedale per la sua presunta "malattia mentale", nonché l'audizione delle audiocassette con le quali i due sacerdoti (in questa parte il film The Exorcism of Emily Rose è fedele alla vicenda originaria) avevano registrato le varie fasi dell'esorcismo e nelle quali si udivano le voci dei presunti demoni che parlavano per bocca di Anneliese.  Gli psichiatri che si erano occupati di lei, al tempo della sua degenza ospedaliera, testimoniarono contro i sacerdoti e i suoi genitori, formulando una diagnosi di "epilessia del lobo temporale", disturbo che avrebbe spiegato, secondo loro, le impressionanti manifestazioni che, alla lunga, avevano condotto la ragazza alla morte. Il procedimento si concluse con la mite condanna, invero piuttosto ipocrita, a sei mesi di carcere per i quattro imputati. Se davvero la corte era convinta della loro colpevolezza, sei mesi erano veramente troppo pochi; se, invece, pensava che non lo fossero, gli imputati avrebbero dovuto essere prosciolti da ogni accusa. (Per questa ricostruzione ci siamo largamente serviti del settimanale virtuale di cultura e spettacolo I. H. Magazione).

Questa, la vicenda di una ragazza come tante degli anni '70, graziosa di aspetto, dal viso intelligente, brava negli studi e  assidua frequentatrice della sua chiesa; una ragazza abituata alla preghiera quotidiana, cresciuta in una famiglia unita e dai forti valori religiosi; ma, a parte ciò, dalla vita assolutamente normale e trasparente. Se davvero il suo è stato un caso di possessione diabolica, non si può non restarne particolarmente sconcertati, poiché i teologi affermano che il demonio non tenta di possedere se non quelle persone che, in un modo o in un altro, hanno formulato - di solito inconsapevolmente - una sorta di "invito" nei suoi confronti, ad esempio dedicandosi a sedute spiritiche oppure frequentando sette sataniche o simili. Inoltre, fra gli esperti in materia è diffusa la convinzione che, almeno nelle fasi iniziali della possessione, il libero arbitrio della vittima non sia irrimediabilmente pregiudicato e pertanto che egli, se ricorre all'aiuto di un prete esorcista, possa sperare di liberarsi dal maligno. È questa la ragione per cui i santi (il curato d'Ars, don Giovanni Bosco, padre Pio da Pietrelcina) possono bensì essere disturbati, aggrediti e persino malmenati fisicamente dagli assalti del diavolo, ma conservano sempre la purezza dell'anima e, pur soffrendo, non perdono la libertà del volere e anzi perseverano nella loro vita di santità. Così pure, sono piuttosto rari i casi di possessione che si concludono con la morte della vittima, specialmente se essa si rivolge tempestivamente all'aiuto di un sacerdote.

Un celebre caso concusosi con la morte del "posseduto"è quello registrato a Nanchino l'11 dicembre 1937 dal sacerdote Michael Strong, alla vigilia della caduta della grande città cinese nelle mani dell'esercito giapponese che vi avrebbe commesso, forse, le peggiori atrocità mai accadute nel corso della seconda guerra mondiale. Il fatto è riportato dal teologo Malachi Martin, ex gesuita ed esperto di esorcismi, nel suo libro In mano a Satana (Milano, Sperling & Kupfer, 1978, p. 9 sgg.). Ce ne siamo occupati in un precedente articolo (cfr. F. Lamendola, Vi sono porte che dovrebbero restare chiuse), per cui non ci soffermeremo oltre su di esso. Ad ogni modo, i casi documentati da Malachi Martin nel suo libro ci ricordano che la possessione diabolica, se esiste, deve considerarsi un evento assai raro e che impegna l'esorcista allo stremo delle sue forze fisiche, psichiche e spirituali, mettendone anzi gravemente a rischio la salute e la vita stessa. In altre parole, è abbastanza realistico pensare che un esorcista possa sostenere una simile prova sovrumana non più di quattro, cinque o sei volte nella sua vita, almeno per quanto riguarda il cosiddetto "esorcismo maggiore", che consiste nella cacciata di entità demoniache che hanno preso stabilmente dimora nell'anima di un essere umano. Di conseguenza, pur con tutto il dovuto rispetto, ci lasciano alquanto perplessi quegli esorcisti, come padre Gabriele Amorth, che affermano di aver celebrato migliaia e migliaia di esorcismi nella loro vita, e che quasi quotidianamente avrebbero visto il demonio e lo avrebbero  combattuto.

Sia come sia, dalla vicenda di Anneliese Michel emerge un atteggiamento, da parte delle autorità statali, che non esiteremmo a definire di vera e propria Inquisizione scientista. Chi non si sottomette alle procedure della medicina ufficiale può essere punito a termini di legge: questo è il monito che si ricava dalla sentenza emessa dal tribunale tedesco che ha giudicato e condannato i genitori della sfortunata ragazza, aggiungendo dolore a dolore, e i due sacerdoti cattolici coinvolti nell'inchiesta. Il fatto che Anneliese avesse rifiutato le cure mediche, dopo averne constatato l'inefficacia, e si fosse rivolta alla Chiesa cattolica, convinta com'era di essere vittima di una possessione demoniaca, è stato giudicato irrilevante: anzi, si è detto che la povera ragazza era stata suggestionata dagli adulti e aveva finito per autoconvincersi di essere vittima di un male immaginario. Come dire che un malato non ha il diritto né di formulare ipotesi intorno ai disturbi di  cui soffre, né, tanto meno, di adottare il tipo di cure che ritiene più adatte per il suo caso; diversamente, bisogna considerarlo incapace di intendere e di volere e "curarlo" come lo Stato ritiene più opportuno; se necessario, anche contro la sua volontà.

Bene, è confortante sapere che questi signori che si preoccupano così tanto della nostra salute e della nostra vita. Peccato che ci vedano con un occhio solo perché, se davvero le loro motivazioni sono così nobili e disinteressate, è strano che non trovino mai nulla da dire su tutti i casi di morte, invalidità e depressione cronica provocati dalla medicina "ufficiale", psichiatria in testa. A quando le liste di proscrizione per pranoterapeuti, iridologi, naturopati, maestri di Yoga  e di Tai chi chuan, seguaci di Wilhelm Reich, di Rudolf Steiner, di Christian Science, guaritori filippini, psicochirurghi e, già che ci siamo, astrologi, indovini e chiromanti?

Il fatto è che ciascun paradigma culturale, come insegnava già a suo tempo Thomas Kuhn, è assolutamente impermeabile agli altri, non può comprenderli né giudicarli. Il paradigma culturale della modernità ha fatto proprio il concetto di scienza galileiana e cartesiana, basato su una visione materialistica dell'universo, sul meccanicismo e sul riduzionismo. Per esso vi è un dualismo irriducibile di res cogitans e res extensa, di psichico e di materiale, ed è vero solo ciò che è possibile dimostrare logicamente e sperimentare in laboratorio. Altre forme di conoscenza della  realtà sono tollerate, sia pure come saperi di serie b (arte, filosofia, religione), a patto che non collidano con i dogmi del paradigma scientista e non facciano concorrenza alle sue lucrose pratiche. Basti pensare al fatturato della farmacologia chimica, che scaraventa sul mercato migliaia di prodotti assolutamente inutili se non addirittura dannosi, o al brevetto sui farmaci registrato dalle grandi aziende del settore, come quello per la cura contro l'A.I.D.S., che permette loro enormi profitti speculando sulla salute dei malati. Un medico occidentale, di norma, non è in grado di capire le modalità con le quali uno sciamano di una tribù amazzonica si accosta alla malattia dei suoi pazienti, perché le basi teoriche di quel paradigma (animismo, olismo, idea della malattia come effetto dell'aggressione di uno spirito disincarnato) gli sfuggano totalmente. È un altro universo concettuale, puramente e semplicemente; e risulta molto più facile, anziché tentare di comprenderlo, bollarlo di oscurantismo e superstizione e dichiararlo totalmente falso e privo di efficacia teorica e pratica. È sempre stato così: dall'interno di un dato paradigma non è possibile penetrare alle radici ideologiche di un altro.

È strana soltanto una cosa: che ai moderni crociati del paradigma scientista, anche se godono attualmente del sostegno del braccio secolare, non sia mai venuto in mente che i seguaci del futuro paradigma culturale, che fra qualche generazione avrà sicuramente spodestato quello odierno, noi appariremo non molto più evoluti dello sciamano amazzonico; e che i riti e i miti della nostra scienza  faranno loro di certo l'effetto di un guazzabuglio stregonesco abbastanza ridicolo se non anche, in diversi casi, francamente pericoloso.