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Sembra proprio che uno spettro si aggiri se non in Europa almeno nelle patrie lettere: Evola

di Marino Freschi - 26/09/2007

Fonte: libreriaar

 

 

 

Sembra proprio  - per parafrasare il Manifesto di Marx - che uno spettro si aggiri se non in Europa almeno nelle patrie lettere: Julius Evola, ovvero come si firmava quando era dadaista Jules Evola, ovvero seconda la meno immaginifica anagrafe Giulio Evola, personaggio quanto mai discusso e discutibile, che dopo decenni e decenni di ostracismo torna ogni tanto a essere ripubblicato, rivalutato e di nuovo condannato. Questa volta l’affaire rinasce con la ripubblicazione di una sua opera filosofica giovanile, Fenomenologia dell’individuo assoluto che piacque perfino a Benedetto Croce e che segna il passaggio dalla filosofia all’esoterismo magico dell’inquieto intellettuale – pardon dell’inquieto barone siciliano: Evola disprezzava gli intellettuali come del resto i “vociani”, i futuristi e i vari avanguardisti dalle varie camicie colorate. Una volta gli telefonai per l’indicazione di un suo libro che non riuscivo a trovare e lo chiamai <<Signor Professore>>, mi gelò replicando che non era un professore. Era, quello, un altro modo di essere intellettuale ed Evola trascorse gran parte della sua vita studiando e scrivendo una mole immensa di libri, articoli, saggi e traducendo un po’ da tutte le lingue, perfino dal cinese (il Tao Te ching), le sue migliori traduzioni sono dal tedesco, che conosceva bene, come dimostra la traduzione ancora valida dell’opus mastodontico di Spengler, Il tramonto dell’Occidente. Uomo di pensiero che divideva e divide ancora gli animi, scontroso guru della destra radicale, che però non aveva mai aderito al fascismo, che riteneva colpevole di aver accettato il Concordato, anche se poi contemplò con interesse e ammirazione estetizzante il Terzo Reich. Fu la sua colpa massima, che ha gettato e getta discredito su tutta la sua opera che gli valse la damnatio memoriae. Da ragazzo chiesi un suo libro alla libreria Rinascita e il commesso – un signore altre volte gentile e ironico – mi fulminò con lo sguardo, dicendomi che le opere del <<filosofo pazzo>> non erano ammesse in quella libreria. E siffatta scomunica non accenna ancora a tramontare, come conferma l’articolo – Per favore, Evola no! - sul supplemento culturale del Sole-24 Ore del 16 settembre della filosofa Roberta De Monticelli, che contesta, indirettamente, l’intervento, sostanzialmente positivo, di Dario Fertilio sul <<Corriere della Sera>> a proposito dell’introduzione di Massimo Donà, filosofo politically correct, alla Fenomenologia evoliana, ristampata dalla Edizioni Mediterranee. La De Monticelli, studiosa del pensiero agostiniano, è scandalizzata dall’attuale apologia del filosofo siciliano, e lo critica ricorrendo addirittura a San Francesco che, ancorché mistico, sapeva bene che la violenza delle tenebre si sconfigge con la luce del sapere. Il suo argomento si sviluppa rapido puntando al cuore del discorso che è quello dei valori. Per la De Monticelli il valore è nel <<sapere che vede nel confronto la vita della ricerca, e non il luogo dello scontro amico-nemico>>. La sua critica si ampia coinvolgendo Schmidt e Heidegger e, non menzionati, gli italiani Cacciari e Volpi. Si resta francamente perplessi nel leggere espulsioni così totali, condanne sommarie. Evola per decenni è stato uno dei rari intellettuali italiani che studiava, praticava, frequentava culture inconsuete con interessi profondi e autentici, che lo portarono a scrivere libri non tramontati sull’alchimia, sullo yoga, sul buddismo in anni in cui in Italia non se ne sapeva quasi nulla di tali esperienze culturali che oggi sono fin troppo banalizzate. Il cammino intellettuale di Evola è uno dei più straordinari e rari che richiama la temperie spirituale di Michelstaedter (ben noto alla De Monticelli), del Papini della <<Voce>>, di pochi altri italiani, mentre in Europa da Yates a Jung, da Guénon a Jűnger, da Rilke a Scholem era sorto un intenso dibattito e una febbrile ricerca interiore. Credo che la cultura non deve chiudersi a nulla. Evola ha pagato duramente le sue scelte controcorrente, non è mai stato al servizio del Principe, prima contro il fascismo, poi contro l’antifascismo, finendo perfino in carcere, processato e trascinato in aula nonostante la sua grave infermità. Non è un martire né una vittima, né mai l’ha voluto essere. La sua opera resta e ha diritto a essere discussa, critica, superata e rappresenta un autentico contributo alla apertura universale della nostra cultura dagli esperimenti dadà della sua giovinezza alle opere tarde, come Cavalcare la tigre, che piace perfino ai contestatori e ai no global.