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Il Destino... rimanifestato

di Ugo Gaudenzi - 26/09/2007

 

Il Destino... rimanifestato

All’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il dittatore buono e democratico, George W. Bush, ha inopinatamente cambiato bersaglio. Nel mirino del timoniere della Casa Bianca non più quella terribile... canaglia di Mahmud Ahmadinejad, il presidente di un Iran che si è permesso di sfidare la supremazia atlantica dichiarando la sua volontà di troncare il giogo del petrolio soggetto ai mercati e alle multinazionali d’Occidente insediando centrali per produrre energia civile dall’uranio, ma quel crudele dittatore di Cuba, Fidel Castro, che si sta , fortunatamente (dice lui), avvicinando alla fine della sua vita.
Un mutamento di rotta nell’ export di democrazia ritenuto “strano” dalla gran parte dei media accreditati a Nuova York.
Accecati dalla routine di trascrizione delle varie veline che provengono da Washington, i signori della stampa non hanno fatto nemmeno lo sforzo di interpretare le sparole di Bush proiettandole nell’immediato futuro.
No. Non è stato affatto un fulmine a ciel sereno. Questo “nuovo” obiettivo degli strali della Casa Bianca - peraltro condito da tutte le consuete dichiarazioni di guerra ai Paesi non omologati del mondo - è un segnale preciso, per acquetare, sì, gli istinti più reazionari degli wasp e dei latini degli Stati Uniti, ma anche per ricordare urbi et orbi il destino manifesto di guida del mondo donato da Dio agli Usa, alla Nuova Israele. Un “destino” scritto che non può evidentemente non riguardare quanto accade nel “cortile di casa” degli States, nell’America latina, dove i governi di liberazione nazionale stanno trasformando una terra-colonia in un fronte di totale rivolta contro il dominio nord-americano.
La corretta interpretazione, la corretta traduzione, del discorso di Bush, è semplicissima. E’ la dottrina Monroe ripresa e rilanciata - perché tutti i subgoverni coloniali intendano - nell’accogliente sala del migliore strumento statunitense di indirizzo della politica internazionale, l’Onu. E’ la pacca sulle spalle al Giappone che - sperano gli Usa - con l’avvento del governo Fukuda tornerà ad essere un fedele esecutore dei propri ordini di Sistema (e quindi anche nell’Onu), senza più salti nazionalisti nel buio. E’ la pacca sulle spalle al presidente brasiliano Lula, rimasto naufrago, contestato e isolato nel suo stesso Paese, che lascia intendere nuove iniezioni di prestiti (ad usura) della Banca mondiale. E’ il disegno di aiuto ai governi-fantoccio di Iraq, Afghanistan e Libano - eufemisticamente chiamate “giovani democrazie” - da contrapporre ai “regimi brutali” di Bielorussia, Corea del nord, Siria e Iran. O ai destabilizzati Myanmar, Zimbabwe e Sudan.
E poi l’attacco “cristiano” (l’augurio cioè di una rapida morte) del sessantunenne Bush all’ottantunenne Castro.
Un attacco “perché altri intendano”. Un attacco al sempre più vasto fronte latino-americano di liberazione dal dominio atlantico. Un attacco indiretto al venezuelano Chavez, al boliviano Morales, all’ecuadoriano Correa, al nicaraguegno Ortega, alla sicura prossima presidente dell’Argentina, Cristina Kirchner. A tutti quelli che sono usciti dal “cortile di casa” Usa.
E’ l’altro fronte della guerra che gli Stati Uniti d’America sono costretti a portare ovunque, nei quattro angoli del mondo. Anche sotto casa. Appena saranno - meglio: se saranno... - liberi di investire nuove armate per (ri)esportare la democrazia nel Sud del loro continente.
Se lo saranno...