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Pensare che l'America possa essere all'infinito una potenza egemone è un'illusione

di David Rieff - 28/09/2007

Una potenza in declino?  



A Washington si fa un gran parlare del consenso bipartisan sulla politica estera che c'era ai tempi della guerra fredda e che oggi è in crisi. Ma nonostante le aspre polemiche sull'Iraq o sulla "guerra al terrorismo", c'è ancora un principio fondamentale della politica estera americana che è sempre bipartisan.

E cioè che gli Stati Uniti continueranno a essere l'unica superpotenza del mondo, il garante della sicurezza internazionale e del commercio mondiale. Questa tesi poggia su due presupposti.

Il primo è che nessun paese e nessuna alleanza tra stati sembra voler sfidare l'egemonia statunitense o avere i mezzi per farlo. La Cina ha interessi soprattutto regionali, mentre l'Unione europea è ancora troppo divisa e debole per costruire una forza militare temibile. Quanto alla Russia, il calo demografico e l'eccessiva fiducia nelle sue risorse energetiche le impediranno di avere un ruolo centrale sulla scena internazionale.

Il secondo presupposto è che il mondo ha bisogno degli Stati Uniti e apprezza il ruolo che svolgono. Gli Usa forniscono quelli che gli esperti di politica estera chiamano "i beni globali": custodiscono la stabilità politica ed economica del mondo, garantiscono un ordine mondiale capitalistico-democratico e, in virtù della loro potenza militare, fanno da gendarme del mondo in caso di emergenza.

La tesi vale quel che vale, ma è significativo che a sostenerla siano soprattutto analisti politici e funzionari governativi statunitensi. Dalla pax romana passando per la pax britannica fino all'odierna pax americana, gli imperi hanno sempre giustificato la propria potenza sostenendo di non servire solo i propri interessi, ma di fare il bene comune.

Questa fiducia si ritrova oggi in personalità americane di tutte le idee politiche, da Barack Obama a Rudy Giuliani. Sembrano tutti convinti che senza la leadership dell'America il mondo diventerebbe più pericoloso, anarchico e povero. Se così fosse, allora l'unica minaccia seria all'egemonia statunitense potrebbe venire dal popolo americano, che potrebbe stufarsi di sostenere il suo paese in questo ruolo.

E se quelli che credono a questa tesi non fossero osservatori equilibrati della scena mondiale? Se fossero caduti nello stesso autoinganno in cui si cullava la classe dirigente britannica prima della Grande guerra, convinta che il suo impero fosse indispensabile per la stabilità mondiale e che avrebbe resistito a qualsiasi sfida?

Visti i precedenti storici, si può dire che amor proprio e imperialismo procedono mano nella mano. Ma l'analisi storica dimostra anche un'altra cosa: gli imperi sono transitori e ognuno dura meno del precedente. Se l'impero romano durò più di 700 anni, l'impero britannico è durato poco più di 300 anni in India e meno di un secolo in buona parte dell'Africa.

E con le sfide economiche che gli Stati Uniti hanno di fronte oggi, la loro egemonia rischia di essere molto più breve.

Gli americani non ci credono. Ma nei prossimi decenni l'America dovrà adattarsi a un mondo multipolare in senso geoeconomico, via via che la Cina e l'India riprenderanno il ruolo centrale che svolgevano cinquecento anni fa nell'economia globale.

Pensare che possa continuare all'infinito a essere una potenza egemone in termini geopolitici, non è un'analisi razionale ma un'illusione. Forza economica e forza politica sono sempre andate di pari passo.

Visto che nessuno nega che gli Stati Uniti vivranno un declino economico relativo, l'unico modo per credere che anche la geopolitica non diventerà multipolare è illudersi che gli Usa possano in qualche modo sfuggire a una delle poche leggi ferree della storia. Ma questa non è più analisi: è fede. Ancor di più dopo che la guerra in Iraq ha mostrato i limiti della potenza militare americana.

Con questo, non voglio negare che gli Stati Uniti continueranno a essere una delle potenze più importanti del pianeta. Voglio solo dire che poiché l'America è diventata una nazione debitrice non potrà continuare per molto a essere il paese che prima detta, e poi garantisce, le regole.

In ogni caso, le istituzioni internazionali create dopo la seconda guerra mondiale si stanno sgretolando, e dopo oltre sessant'anni è normale: tutti sanno che quelle strutture devono essere ripensate.

Ma invece di cullarci nell'illusione che gli Stati Uniti continueranno a essere l'unica superpotenza, dovremmo darci una politica estera intelligentemente "egoistica", cioè fare il possibile per plasmare secondo le nostre priorità più urgenti le norme internazionali che governeranno i rapporti tra gli stati una volta che il secolo americano – com'è inevitabile – sarà finito.

L'alternativa è percorrere la strada seguita dai britannici prima del 1914, immaginando che il nostro assetto politico ideale sia perfetto anche per il resto mondo, e quindi destinato a valere per sempre. La scelta che abbiamo di fronte non è tra un secondo secolo americano e l'anarchia, ma tra un mondo multipolare in cui gli Stati Uniti abbiano un ruolo importante e un secolo antiamericano.