Il modo americano di morire*
di Lewis Mumford - 19/12/2005
Fonte: ecologiapolitica.it
*Pregi e difetti dell’automobile
Come accade spesso, quando il pensiero di molte persone si sofferma sullo stesso argomento, c'e' stata di recente un'esplosione di libri, articoli e inchieste parlamentari sui difetti meccanici, i pericoli per la vita umana e gli svantaggi sociali dell'automobile.
Il tono della discussione e' stato critico, per non dire sacrilego. Alcuni dei critici hanno osato dire che la Vacca Sacra del Modo-Di-Vivere americano e' gonfia e ipernutrita; che il latte che essa fornisce ogni giorno e' velenoso; che il cibo di cui si nutre e' ottenuto sacrificando ettari di terra che potrebbero essere dedicati ad usi umani più importanti; che le mandrie di vacche sacre, lasciate pascolare dovunque, come le loro equivalenti Hindu, distruggono la vegetazione, impoveriscono la vita allo stato naturale e trasformano le zone sia urbane sia rurali in un'unica sporca terra desolata, a cui i sociologi hanno dato il nome di Megalopoli.
I sacerdoti della Vacca Sacra, molto sensibili anche alla più blanda eresia, mostrano ora chiari segni di preoccupazione, alternano piagnucolose lamentale a trombe di guerra; per la loro religione, il culto della Vacca Sacra e' strettamente legato ad un altro oggetto di culto, il Vitello d'Oro.
Con giustificata trepidazione la corporazione dei sacerdoti ritiene che la stessa loro Religione (con la lettera maiuscola) venga messa in discussione - quella religione per il cui culto di potenza e gloria il popolo americano, con occhi devotamente chiusi, e' disposto a sacrificare 59.000 vite ogni anno e a mutilare, spesso in modo irreparabile, altri tre milioni di concittadini all'anno.
Solo la guerra puo' esigere tante morti premature; il tasso di mortalità dovuto alle automobili, infatti, e' superiore a quello, insieme, delle morti per cadute, ustioni, annegamento, incidenti ferroviari, armi da fuoco e gas tossici, piu' altre duemila morti per cause varie.
E benche' le morti per incidenti automobilistici abbiano portato via negli ultimi quattro anni solo la meta' degli Americani morti nello stesso periodo durante la seconda guerra mondiale, i feriti sono stati, nelle stesse proporzioni, tre volte tanti.
L'attuale protesta contro l'uso iniquo del carro-senza-cavalli e' in incubazione da tempo. John Keats, con il suo "The Insolent Chariots", ha rotto il penoso silenzio fin dal 1958.
Solo la puerile petulanza dei fabbricanti di automobili e dei loro alleati li spinge ad attribuire la crescente insoddisfazione per il loro prodotto alle esplicite critiche di pochi maligni contestatori, senza tenere conto che questi ultimi, finora purtroppo ancora pochi, non hanno avuto a disposizione nessuno dei mezzi che l'industria automobilistica usa in abbondanza per richiamare l'attenzione della pubblica opinione e soffocare ogni dibattito.
Le radici dell'attuale rivolta si estendono e approfondiscono rapidamente, più di quanto possano immaginare anche i più appassionati avvocati che chiedono automobili più sicure.
Il tempio della Vacca Sacra si sbriciola perché tutto il modo di vivere basato su questo mezzo di trasporto si rivela in contrasto con i veri bisogni umani che l'automobile avrebbe dovuto servire ed esaltare.
Il grande sogno americano di un paese sulle ruote, cominciato con il carro coperto dei pionieri, e' arrivato ad una tetra fine. Il successo dell'industria automobilistica si e' portato dietro le condizioni meccaniche che hanno, ironicamente, trasformato tale sogno in un incubo.
Essenziale, nell'amore degli americani per l'automobile, era una felice eredita' dei giorni dei pionieri: l'affascinante mito della libertà individuale, nel senso di poter andare in qualsiasi posto uno volesse, nel momento in cui uno volesse spostarsi, a qualsiasi velocita', su e giu' per monti e valli per esplorare i grandi spazi aperti, per uscire dai ristretti confini dell'habitat familiare, dalla routine quotidiana, dalla monotonia.
In quella che e' stata recentemente chiamata, proprio adesso che la stiamo perdendo, "automobilita'" il possesso personale dell'"auto" era piu' importante della "mobilita'" meccanica.
Fino a circa il 1930 il sogno della mobilita' si era piu' o meno realizzato. Anche un'anima fastidiosa come Henry James apprezzava le gioie aristocratiche del viaggio in automobile che allargava il paesaggio e rinfrescava lo spirito; e anche gli abituali guai del tempo, come una gomma che si sgonfiava o una strada impantanata, se non erano troppo frequenti, aggiungevano altro sapore all'avventura.
Peraltro una delle condizioni per godere questa liberta' era l'esistenza di altri possibili modi di trasporto in grado di soddisfare il movimento di massa, come un'eccellente rete di ferrovie, di tram elettrici, di battelli, che una volta attraversavano il paese e non solo assorbivano una gran parte del traffico, ma erano in grado di soddisfare differenti bisogni umani di mobilita' a differenti velocita'.
Adesso le persone sono cadute nell'abitudine di pensare all'era antecedente l'automobile come quella dei carri a cavalli, come se i trasporti veloci fossero stati sconosciuti prima dell'avvento dell'automobile.
Invece i tram elettrici, nel New England e nel Middle West, viaggiavano sulle loro rotaie protette alla velocita' di 80 chilometri all'ora: ho conservato una cartolina, con una fotografia scattata intorno al 1910, che mostra un tale tram elettrico, gia' con una sagoma aerodinamica, in circolazione ad Indianapolis.
Con l'avvento del pendolarismo di massa dal centro urbano alle periferie, che e' coinciso con la produzione in serie dell'automobile, la tanto desiderata liberta' avrebbe potuto sopravvivere se si fosse creata una adatta rete di strade e parcheggi, se si fosse conservato e potenziato un sistema equilibrato di trasporti pubblici e se si fossero conservate le, e si fosse proceduto alla manutenzione delle, vecchie citta'.
Se questi fattori essenziali fossero stati compresi e rispettati, l'automobile avrebbe dato un contributo fondamentale ad una corretta distribuzione della popolazione e delle attivita' nel territorio.
Come avviene oggi in Olanda, questo avrebbe assicurato alle campagne i vantaggi delle citta', avrebbe fatto aumentare il numero di citta' razionalmente inserite nelle campagne, avrebbe permesso di evitare il violento pendolarismo e i relativi sprechi dovuti all'esplosione incontrollata del numero delle automobili.
Il grande successo dell'industria automobilistica, non solo nel moltiplicare il numero di automobili, ma nell'utilizzare le sue risorse finanziarie quasi monopolistiche per escludere e espellere le forme e i modi di trasporto e di locomozione, alternativi e concorrenti, ha trasformato il sogno della automobilita' in un incubo.
Da tale incubo sembra che gli Americani, finalmente, cerchino di svegliarsi: l'incubo dell'aria inquinata dai gas di scarico tossici e velenosi, compreso il mortale ossido di carbonio; l'incubo delle acque contaminate dal piombo, proveniente dalla combustione delle benzine, la cui concentrazione e' ormai la meta' di quella considerata mortale e la cui presenza si osserva perfino nei ghiacci dell'Artico; l'incubo del viaggio quotidiano di massa, lungo autostrade nelle quali si deve correre per forza, con costante tensione nella guida e conseguenmti, dimostrati aumenti della pressione sanguigna, dove una sola automobile, anche alla velocita' forzatamente limitata imposta dalle ore di punta, se si ferma in tempo per evitare un incidente, innesca una serie di incidenti ancora piu' gravi che coinvolgono la coda delle automobili che la seguono.
L'automobile, non c'e' bisogno di dirlo, ha portato con sé molti gradevoli vantaggi; e certi sottoprodotti come la bella Taconic Parkway di New York - a poco a poco privata delle sue curve spaziose e della vasta visuale in nome dell'aumento della velocità - rimangono tuttavia duraturi contributi alla vista e alla bellezza.
Ma nel complesso il quadro e' diventato sempre piu' sgradevole e l'aspetto piu' attraente del sogno americano, la liberta' di spostarsi e di fermarsi, si sta trasformando in una serie di comportamenti obbligati.
Come il vecchio Henry Ford aveva gentilmente spiegato, che ogni cliente avrebbe potuto acquistare un'automobile di qualsiasi colore purche' fosse nero, cosi' il viaggio automobilistico sta raggiungendo un punto in cui l'automobilista puo' andare ad alta velocita', dovunque voglia, purche' non cambi ne' la strada ne' la destinazione.
L'epigramma di G.K. Chesterton (1874-1936), "Niente declina come il successo" (Nothing fails like success) puo' sembrare l'epitaffio dell'industria automobilistica.
Anche se, a fare svegliare dall'incubo, il pericolo e la morte hanno avuto un ruolo importamnte, la frustrazione e la noia hanno forse avuto un ruolo ancora maggiore - anche se la sfida della morte in automobile si e' sfortunatamente rivelata uno dei modi cronici per sfuggire alla vita reale e per trovare un momentaneo sollievo dalla sua vuotezza e disperazione.
I segni della rivolta si stanno moltiplicando. Solo pochi anni fa (l'articolo e' stato scritto nel 1966) gli automobilisti della zona della Baia di San Francisco hanno votato una spesa di 750 milioni di dollari per ricostruire il sistema di trasporti pubblici veloci che i sacerdoti della Vacca Sacra avevano fatto smantellare solo venti anni prima.
Ma ancor piu' significative, nel momento in cui scrivo, sono le notizie provenienti ancora da San Francisco, secondo cui "una folla di cittadini ha applaudito rumorosamente in Consiglio Comunale ... quando l'ufficio di controllo ha votato contro due nuove autostrade per le quali il governo federale aveva deciso di investite 280 milioni di dollari".
Anche peggio: questi deliranti iconoclasti chiedono che la costruzione dell'autostrada di Embarcadero, completata a meta', sia sospesa.
Non e' tempo che Detroit cominci a prestare un po' di attenzione alle ricadute negative dei suoi prodotti ?
Se continua l'attuale disaffezione verso l'automobile, gli investimenti dell'industria automobilistica possono rivelarsi sempre meno fonti di profitto, a mano che i rappresentanti di Detroit nel Dipartimento della difesa non cerchino di coinvolgere il paese in altre aggressioni militari, anche piu' gravi di quella del Vietnam (1).
Ma torniamo al sogno americano. Negli anni venti, quando un gruppo di piccole societa' dava ancora l'impressione che esistesse una "libera iniziativa" nel settore dell'industria automobilistica, l'automobile era un veicolo grezzo, ma relativamente onesto: rozzo nel sistema di trasmissione e nel differenziale, capriccioso nell'avviamento, non sempre affidabile nelle frenate, decisamente poco efficiente nel suo motore a benzina, era ancora comunque, nella sua gioiosa adolescenza, una macchina funzionale per il trasporto e la vacanza.
Intorno al 1930, quando il "nuovo capitalismo" discese improvvisamente sulla terra, l'industria automobilistica si diede un nuovo volto sostituendo l'economia con la moda.
Comincio' la General Motors e anche la Ford fu costretta a seguirla. Nella nuova gerachia di valori, il godimento della vacanza, l'affidabilita', la sicurezza, l'efficienza e l'economia persero gradualmente importanza. Contavano solo la moda e la velocita'.
A questo punto l'ingegnere prendeva ordini dagli stilisti il cui fine era di dare all'automobile un nuovo volto ogni anno, per rendere il modello dell'anno precedente al piu' presto fuori moda, prematuramente invecchiato. Il sogno del carro del pioniere entrava nelle vetrine di Madison Avenue, il quartiere newyorkese dei negozi e dello sfarzo.
Nei due decenni successivi l'automobile e' diventata uno status symbol, un'icona religiosa, un feticcio erotico: insomma "qualcosa fuori dal mondo", sempre piu' grande, grasso e tumescente, come un membro nell'orgasmo.
Quali altre parole, al di fuori di quelle delle insegne di Madison Avenue, possono descrivere adeguatamente questi eccitanti oggetti, rilucenti di cromature, rigonfi di comodita', in cui potersi sdraiarsi come in un comodo letto, dotati di specchi, di accendini, di radio, di telefoni, di tappeti (i liquori e i registratori sono ancora opzionali).
Ma nel realizzare queste delizie i progettisti sono stati costretti a voltare le spalle alle volgari realta' della vita, al punto da far aumentare i pericoli dovuti a pulsanti sporgenti, a pannelli di strumenti spesso sottili come coltelli, ad ali assassine, a complicate leve del cambio, a sospensioni molto elastiche, a ruote sottodimensionate, a sottili capotte, a paraurti anteriori e posteriori inadeguati, a enormi carrozzerie che riducono la visibilita' del guidatore nel soprasso e nel parcheggio, per non citare le cromature che riflettono il sole ed abbagliano il guidatore del veicolo e dei veicoli che si avvicinano.
Per adeguarsi alla moda e attrarre gli acquirenti, i progettisti non solo hanno aumentato i pericoli ma hanno gratuitamente eliminato le caratteristiche positive che le vecchie automobili avevano. Abbassando il centro di gravita' hanno reso sempre piu' scomodo e difficile entrare nell'automobile, imponendo contorsioni quasi acrobatiche - e tutto questo in un'epoca in cui aumentano gli anziani e i malati di artrite.
Eliminando il sedile anteriore continuo hanno diminuito la portata di ciascun veicolo da sei a quattro persone.
Insomma, per farla breve, l'attuale automobile e' il risultato di una collaborazione segreta fra lo stilista e il becchino e, secondo le statistiche delle vendite e degli incidenti, entrambi possono essere soddisfatti.
Con tutte le grandi risorse che avrebbe potuto dedicare a ricerche ingegneristiche di base, l'industria automobilistica americana dal 1930 non e' stata capace di produrre una sola macchina innovativa, se si eccettua la Jeep per l'esercito: un onesto veicolo che pero' non e' stato progettato per la comodita' del viaggiatore.
L'industria americana non e' stata capace di anticipare, ne' come dimensione, ne' come novita' progettuale, nessun autoveicolo simile alla utilitaria Volkswagen o all'autobus VW.
I molti bravi ingegneri che lavorano nell'industria automobilistica hanno cercato di porre un freno ai capricci degli stilisti, per esempio progettando automobili compatte cone la Rover, ma se si azzardassero a qualche passo ancora piu' ardito verrebbero licenziati.
Fortunatamente nell'industria vi sono ancora uomini onesti, anche ai livelli piu' elevati, come il vicepresidente della Ford che nel 1964 ha ammesso pubblicamente che "il cambio automatico - introdotto di serie nel 1939 - e' stata l'ultima importante innovazione".
La trasformazione di macchine utili in saloni di bellezza rappresenta un simbolo della societa' opulenta e della sua economia in espansione: crescenti spese e crescenti sprechi. Sfortunatamente lo spreco si estende anche alle vite umane.
La deliberata indifferenza dell'industria automobilistica nei confronti della sicurezza, il cui aumento e' considerato un possibile freno alle vendite, ha prodotto finalmente una reazione pubblica - e puo' essere solo l'inizio.
Una convincente denuncia contro il regno dell'automobile, e in particolare contro la General Motors, e' stata presentata da due avvocati: Ralph Nader che e' stato consulente del sottocomitato del Senato che ha condotto un'inchiesta sui pericoli dell'automobile, e Jeffrey O'Connell, un professore di diritto della University of Illinois, e ancora prima vicedirettore del Gruppo per lo studio dei reclami contro l'industria automobilistica, nella Harvard Law School.
Molte delle testimonianze dell'accusa vengono da medici, attenti alla difesa degli interessi collettivi, che hanno toccato con mano le drammatiche conseguenze umane delle negligenze nella progettazione e costruzione delle automobili; e dalla attivita' di pochi zelanti legislatori, come Edward J. Speno, senatore dello Stato di New York, e come Ribicoff e Gaylord Nelson, senatori degli Stati Uniti, a cui va il merito di aver reso noto al pubblico lo sbalorditivo comportamento dell'industria automobilistica.
Oggi mettere in discussione la correttezza della grande industria automobilistica e' un'impresa audace come mettere in discussione i giudizi militari del Pentagono: e, per inciso, e' altrettanto indispensabile, se ci stanno a cuore le nostre vite.
Le "tre grandi" compagnie - General Motors, Ford e Chrysler - hanno praticamente il monopolio del mercato americano e orientano la domanda e i gusti degli acquirenti, per cui la Studebaker, l'American Motors e la Willis-Overland sono costrette, per sopravvivere, a seguire il loro cattivo esempio.
Le "tre grandi" non sono sole, ma hanno il sostegno di moltissime altre industrie, come quelle dell'acciaio, della gomma, del cemento, del petrolio, la cui esistenza dipende dall'industria automobilistica.
I tre giganti dell'auto diffondono il loro devastante fascino nei dipartimenti che decidono la costruzione di strade e autostrade e gestiscono grandi investimenti federali, e attraverso la pubblicita' che invade tutti i mezzi di comunicazione; nello stesso tempo, finanziando giudiziosamente le "ricerche", l'industria automobilistica riesce a sedurre le opinioni e a frenare l'obiettivita' degli istituti di ricerca e delle Universita' che accettano il suo non disinteressato contributo filantropico.
In vista dei massicci interessi in gioco, va ascritto a merito della sana struttura originale della vita americana, e dei padri della Costituzione, se e' possibile ancora qualche discussione aperta su questa apparentemente potentissima megamacchina.
Nonostante alcuni segnali premonitori, l'industria automobilistica era cosi' trincerata, cosi' sicura dell'approvazione e ammirazione pubblica per i suoi crescenti profitti, che e' stata colta impreparata dalle attuali critiche mosse ai suoi fini e comportamenti.
Se il regno dell'automobile sapesse come mettere a tacere la discussione che si e' aperta, non esiterebbe a farlo. La General Motors ha gia' dimostratro, con una stupidita' che rasenta il geniale, che e' pronta a far di tutto per impedire un esame pubblico approfondito dei cambiamenti che l'automobile americana deve subire per aumentare la sua sicurezza sulle strade.
Se la posizione della General Motors non fosse cosi' vulnerabile, la compagnia non avrebbe mobilitato degli investigatori privati nella speranza di scoprire qualche comportamento men che corretto nel giovane avvocato che ha scritto il libro: "Pericolosa a qualsiasi velocita'" (2).
Con questa sortita la General Motors non solo ha ammesso pubblicamente la sua colpevolezza, ma ha permesso all'accusa di aggiungere un'altra incriminazione, il tentativo di assassinare l'integrita' di una persona per continuare ad uccidere.
La reazione dell'industria automobilistica alla critica dei suoi prodotti mostra che coloro che sarebbero addetti ai controlli si comportano con la stessa superficialita' manifestata da un brillante e intelligente ufficiale come il generale Matthew Ridgway nell'orientare la politica del Pentagono verso la Cina e il Vietnam: i loro giudizi sono privi di qualsiasi comprensione della natura umana.
Non c'e' da meravigliarsi, perche' tali giudizi vengono dallo stesso tipo di mentalita', quella dei calcolatori elettronici, programmati soltanto per produrre soldi e potere.
Ma la discussione sui difetti dell'automobile e' comunque ormai aperta e nessuno puo' dire quando si fermera'; anche i calcolatori possono essere fermati da uno scheletro.
Il fatto che i due libri qui esaminati trattino soltanto uno stretto segmento del problema dell'automobile - i difetti e i pericoli di una cattiva progettazione e costruzione meccanica - rappresenta la loro forza e la loro debolezza.
Il loro valore positivo sta nell'avere raccolto vari suggerimenti, provenienti da ingegneri e medici, per ridurre il numero di incidenti dovuti a difetti meccanici e per diminuire i danni dovuti a normale errore umano e ad effetti imprevedibili, come un'ape che improvvisamente punge un guidatore.
Si tratta di questioni di vita e di morte e gli autori dei due libri le hanno utilizzate come la via piu' facile e rapida per aprire la discussione su problemi molto piu' importanti con cui presto o tardi si dovranno fare i conti.
Sull'intero problema della sicurezza le prove presentate nei due libri sono incontrovertibili. I fabhbricanti di automobili si sono opposti in tutti i modi per l'adozione di qualsiasi dispositivo che aumentasse la sicurezza, anche quando, come nel caso della chiusura di sicurezza delle portiere, alla fine sono stati costretti ad introdurli; invece lo sterzo, cioè la parte piu' pericolosa dell'automobile e la principale causa di morte in caso di incidente, ha ancora gravi difetti, oltre allo schiacciamento del guidatore.
Ancora peggio: non solo queste urgenti misure di sicurezza non sono state prese, ma quando, nelle fasi iniziali della progettazione, gli ingegneri le avevano suggerite non sono state accettate o per ridurre i costi, nel nome dell'offerta meretricia ad un prezzo piu' accattivante, o per eliminare dalla mente degli acquirenti qualsiasi preoccupazione per il pericolo.
Tutti e due i libri rivelano che le grandi societa' automobilistiche, con l'arroganza che gli deriva dal grande potere finanziario, non solo non hanno adottato gli accorgimenti essenziali per la sicurezza, ma sono state negligenti in maniera criminale, al punto da rendersi responsabili di omicidio.
Se questi fatti non fossero saldamente dimostrati, nessuno editore si sarebbe azzardato a pubblicare i due libri perche' ciascun capitolo avrebbe potuto provocare una causa per diffamazione.
I due libri contengono prove sicure che dimostrano che la vera fonte dei difetti strutturali delle automobili va cercata nell'unico pensiero che sta nella mente dei fabbricanti: in che modo posso venderne di piu' e meglio ? Risparmiando sulle cose essenziali, essi possono investire piu' denaro nella progettazione e pubblicita' delle cose non essenziali, di quei caratteri che colpiscono l'occhio, lusingano l'ego, soddisfano una nevrosi - e spingono ad aprire il portafoglio.
Questi libri dimostrano che la maggior parte delle automobili americane, anche delle ultime generazioni, sono veicoli ancora inadatti per far fronte ai normali incidenti della strada.
Se si considerano le grandi diversita' di competenza negli automobilisti, le differenti eta', la differente esperienza di guida e le grandi fluttuazioni quotidiane nelle condizioni di salute, nella vista, nella pressione, e' ovvio che il veicolo deve essere standardizzato e normalizzato rigorosamente al massimo livello di efficienza meccanica.
Garantire la sicurezza e' un dovere dell'industria automobilistica, non dei guidatori. E se il rispettare tale dovere fara' diminuire i profitti della General Motors da un miliardo e mezzo di dollari all'anno a mezzo miliardo, non si vede perche' il dovere della sicurezza non possa essere imposto - per legge, se necessario - come condizione irrinunciabile per ottenere comunque qualsiasi profitto.
Nel sottolineare la necessita' di introdurre ogni possibile accorgimento meccanico per rendere l'automobile e i suoi occupanti meno vulnerabili agli incidenti, i due libri traggono dalle loro rigorose accuse varie conclusioni.
Con le considerazioni che seguono non voglio diminuire la gravita' delle loro accuse, mettere in discussione le loro osservazioni o minimizzare il valore delle loro raccomandazioni: tutt'altro.
La maggior parte delle modifiche strutturali che essi suggeriscono sono desiderabili e alcune, come le cinture di sicurezza, sono cosi' semplici e poco costose che c'e' da meravigliarsi che si debba fare tanta fatica per ottenere che diventino attrezzature standard.
A riprova del loro disprezzo per tutto il problema della sicurezza, i fabbricanti di automobili hanno di recente adeguato le loro macchine e gli slogan pubblicitari per fare presa sul gruppo di guidatori piu' esposto ad incidenti: gli adolescenti che hanno appena ottenuto la patente e gli adolescenmti perpetui.
Le industrie hanno esasperato l'incitamento al disprezzo del pericolo dando alle automobili nomi appropriati, come Tuono, Gatto selvaggio, Tempesta, Furia, per esaltarne l'infernale potenza e aggressivita', mentre i petrolieri loro alleati, per sovramercato, garantiscono di mettere una "tigre nel serbatoio".
La velocità è la droga che i fabbricanti di automobili offrono ora per stordire gli adolescenti, e poiché i sacerdoti della Vacca Sacra considerano la potenza e la velocita' dei beni assoluti, dei mezzi sicuri per espandere l'industria e i suoi profitti, come si puo' pensare che qualche considerazione umana possa modificare questo incitamento omicida ?
La velocita', la marijuana, l'eroina e l'acido lisergico, sono tutti mezzi con cui una tecnologia scientifica propone di superare la nausea esistenziale che ha le sue radici proprio nello sviluppo squilibrato di questa stessa tecnologia.
Nader, O'Connell, Myers hanno tenuto conto della vasta opposizione irrazionale che le loro sensate e razionali considerazioni incontreranno ? La sicurezza trovera' ascolto in un pubblico che, nonostante le indiscutibili statistiche sulle cause di morte per tumore, consuma adesso piu' sigarette che mai ?
Ma supponiamo che gli argomenti razionali a favore di un'automobile piu' sicura comunque prevalgano.
Non so se gli autori dei due libri in esame si rendono conto di dove le loro proposte li porteranno: la domanda di sicurezza e il diritto di godere i vantaggi dell'automobile portano infatti a riesaminare l'intero problema del ruolo dell'automobile in uno schema razionale di trasporti.
Con quali strumenti di controllo possiamo rallentare l'esplosione delle automobili, intervento di cui c'e' disperato bisogno, come c'e' bisogno di un controllo delle nascite per evitare l'esplosione della popolazione ?
E quali azioni sono necessarie per restituire al trasporto e al viaggio - compreso il viaggio aereo - alcune delle qualita' umanamente indispensabili di cui sono stati derubati dall'esclusiva attenzione per la velocita' ?
Quanto alla possibilita' di godere dei vantaggi dell'automobile, alcuni dei dispositivi di sicurezza proposti - caschi di sicurezza, cinture di sicurezza, protezione delle gambe - possono purtroppo avere un effetto contrario a quello desiderato: sia riducendo il piacere della liberta', sia dando a coloro che intendono sottoporsi a questi vincoli, una specie di autorizzazione a correre impunemente, il che di fatto farebbe aumentare il numero degli incidenti.
Niente alla lunga puo' essere peggiore per l'industria che privare l'automobile dei caratteri che l'hanno, all'inizio, resa cosi' attraente: il senso di liberta' e di varieta' che il viaggiare in automobile una volta dava.
Nel nome della velocita' i progettisti delle autostrade hanno privato i viaggiatori del piacere di osservare il paesaggio e l'ambiente durante un lungo viaggio, e qualsiasi altro "perfezionamento" cospira alla omogeneita' e alla noia: la stessa alta velocita' obbligatoria, la stessa strada grande e monotona, con i suoi effetti ipnotici, la stessa aria condizionata all'interno dell'automobile, gli stessi cartelloni pubblicitari, lo stesso squallore dei parcheggi, gli stessi motel.
Indipendentemente dalla velocita' a cui viaggia o dal luogo in cui va, il guidatore non lascia mai la sua casa e il suo quartiere: viene fatto qualsiasi sforzo per eliminare la varieta' del paesaggio, per trasformare la bellezza delle montagne e delle rive del mare nell'equivalente delle zone commerciali.
In breve, la "automobilita'" si e' trasformata nella forma piu' statica di mobilita' che la mente umana potesse immaginare.
Se la velocita' e la sicurezza fossero gli unici fattori da considerare, non si capisce perche' l'industria automobilistica, una volta svegliata dalla sua narcosi, non dovrebbe aderire a questo movimento e far piu' profitti di prima, purche' sia rispettato l'ideale teorico dell'ingegnere dell'automobile e dell'ingegnere dell'autostrada: rendere la superficie del nostro pianeta inadatta a qualsiasi forma di vita organica proprio come la superficie della Luna.
Per minimizzare gli incidenti stradali, gli ingegneri delle autostrade hanno gia' raccomandato di tagliare tutti gli alberi e i pali telegrafici a una distanza di 50 metri da ciascuna parte della strada. E questo e' solo l'inizio.
Per assicurare la massima sicurezza a qualsiasi velocita', la guida dell'automobile deve essere tolta dalle mani del guidatore e posta sotto controllo automatico, secondo lo schema elaborato, sulla base di considerazioni puramente meccaniche, dai ricercatori del MIT; oppure l'automobile deve essere trasformata in un veicolo blindato, senza finestrini, con l'interno completamente imbottito, con strumenti che consentono di vedere, dall'interno, davanti e indietro, e un televisore per divertire i passeggeri, proprio come in un aereo a reazione.
Lungo queste direzioni, l'automobile e' destinata, fra poco, a diventare una capsula spaziale, una prigione mobile, e la Terra stessa un insignificante asteroide.
Con l'effetto di un ulteriore potenziamento della megamacchina, con una sola grande industria che produce automobili, aerei a reazione e razzi: i profitti di questo conglomerato supererebbro le piu' rosee aspettative perfino della General Motors.
Ma chi e' disposto ad accettare tale prezzo per ottenmere velocita' e sicurezza ? Buckminster Fuller e Jacques Ellul risponderebbero senza dubbio: Tutti.
Risposta scontata, ma non disarmante, perche' sono proprio questi principi arretrati, le scorie dell'idea Vittoriana di "progresso", che devono essere messi in discussione.
Al di la' del fine della sicurezza e della liberta' di movimento, c'e' bisogno di interrogarci su che cosa e' una vita umana decente e c'e' bisogno di riconoscere che gran parte della vita sparira' se continuiamo ad andare nell'attuale direzione.
Occorre mettere in discussione una economia basata non su bisogni organici, sull'esperienza storica, sulle attitudini umane, sulla complessita' e varieta' ecologica, ma su un sistema di vuote astrazioni: denaro, potere, velocita', quantita', progresso, avanguardia, espansione.
La sovravalutazione di queste astrazioni, prese come beni in se', ha prodotto l'esistenza squilibrata, senza scopo, malata e alla fine suicida con cui dobbiamo ora fare i conti.
In breve: i delitti e la malvagita' dei fabbricanti di automobili sono significativi non perche' sono delle eccezioni, ma perche' rappresentano la regola.
Questa denuncia dell'industria automobilistica riguarda gli stessi mali che furono esposti da Rachel Carson, nella sua indagine sulla proliferazione di pesticidi e erbicidi da parte dell'industria chimica, e dall'inchiesta del Senatore Kefauver sull'industria farmaceutica.
L'arroganza dei fabbricanti dei "carri di Detroit" e la masochistica sottomissione del consumatore americano sono sintomi di un piu' vasto disordine: di una societa' che non e' piu' radicata nelle complesse realta' del mondo organico e personale; di una societa' in cui ogni forma di delinquenza e criminalita' puo' essere praticata - dalle automobili progettate in maniera meretricia, ai medicinali sperimentati in modo insufficiente, alla distribuzione di narcotici e di stampa pornografica - purche' giustificata da adeguati profitti.
Se queste rimangono le premesse della Grande Societa', non saremo mai fuori dai pericoli - e non saremo mai davvero vivi.
(1) Puo' essere interessante ricordare la continua costante protesta di Mumford contro l'aggressione americana nel Vietnam. Il 28 febbraio 1965, un anno prima della pubblicazione di questo articolo, Mumford aveva scritto una "Lettera aperta" al presidente Johnson per protestare contro la minaccia di bombardare Hanoi. Sulle numerose prese di posizione di Mumford contro la politica estera aggressiva americana si veda, per es.: D.L. Miller, «Lewis Mumford: a Life», University of Pittsburgh Press, Pittsburgh, 1992 (NdT).
(2) R. Nader, "Unsafe at any speed", Grossman, New York 1965; traduzione italiana col titolo: "L'auto che uccide", Milano, Bompiani, 1967. Nuova edizione americana: R. Nader, "Updated: Unsafe at any speed", New York, Grossman, 1972. Su Ralph Nader, sulla sua azione in difesa dei consumatori, e sul tentativo di linciaggio morale messo in atto dalla General Motors, si veda, fra l'altro: G. Nebbia, introduzione a R. Nader, "Il cibo che uccide", traduzione italiana, Milano, Bompiani, 1974. La General Motors fu condannata a pagare 270.000 dollari di danni a Nader (NdT).
* Questo articolo, pubblicato sulla nostra rivista nel 1995 (anno V, fascicolo 13), era uscito sulla «New York Review of Books» nel 1966 (28 aprile) come recensione di due importanti libri sui guasti prodotti dall’uso improprio dell’automobile, uno dei quali - L’auto che uccide - scritto da un autore noto come Ralph Nader (cf. nota 2).
Serie “Il Giovedì di «CNS-Ecologia Politica», articolo n.2, 17 febbraio 2005