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Iran, Il Medio Oriente tifa per Ahmadinejad

di Jeffrey Fleishman - 28/09/2007

Il presidente iraniano, che ha deciso di sfidare l'Occidente e Israele, ha conquistato ammirazione anche fra i Paesi sunniti.




Il Presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, un inflessibile populista con una giacchetta chiusa da una lampo, la cui retorica caustica e l'aria di sfida a Washington sono spesso oggetto di caricatura nei media occidentali, has trasceso le divisioni nazionali e religiose, per diventare un eroe popolare in tutto il Medio Oriente.

Il presidente, piccolo e minuto, a volte imperscrutabile, è una fonte perenne di brevi dichiarazioni pungenti da mandare in onda e di spavalderie per i musulmani che si lamentano del fatto che i loro leader sono troppo obbligati verso l'amministrazione Bush, o ne sono troppo spaventati. Ahmadinejad, che domenica è arrivato a New York prima di una riunione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, è un prodotto facilmente smerciabile: un politico abile con ambizioni nucleari e un microfono aperto.

"Mi piace moltissimo", dice Mahmud Ali, studente di medicina al Cairo. "Sta cercando di proteggere se stesso e il suo Paese dai pericoli che lo circondano. Mi fa sentire orgoglioso. E' un simbolo dell'Islam. Sembra l'unica persona capace di prendere una posizione contro Israele e l'Occidente. Sfortunatamente, l'Egitto è diventato troppo rassicurante con Washington."

L'attrazione per Ahmadinejad è particolarmente forte in Egitto, dove viene paragonato allo scomparso presidente Gamal Abdel Nasser, la cui visione audace, anche se condannata al fallimento, del panarabismo negli anni '50 mirava anch'essa ad arginare l'influenza occidentale. Nelle menti di molti egiziani, il fatto che l'Iran stia cercando di espandere il suo programma nucleare nonostante le sanzioni delle Nazioni Unite è simile allo scontro di Nasser con i britannici e i francesi sulla nazionalizzazione del Canale di Suez.

Tuttavia, quello che è impressionante nel caso di Ahmadinejad, è che il leader di una nazione sciita non araba sia riuscito a ingraziarsi la popolazione del Medio Oriente, che è in prevalenza sunnita.

Nel lodare il presidente iraniano, gli arabi lasciano da parte rapidamente animosità religiose storiche e timori attuali per il fatto che l'Iran stia mettendo a repentaglio i sunniti in Iraq e altrove. Essi preferiscono parlare di come Ahmadinejad è una voce che chiama all'unità dell'Islam, in un momento in cui la regione è imbarazzata dalla propria impotenza a sistemare l'Iraq, il Libano, e il conflitto israelo-palestinese.

"E' un uomo coraggioso", dice Taysir Ibrahim, un dipendente del ministero dell'Istruzione egiziano, che l'altro giorno stava correndo verso la metropolitana. "Sta resistendo agli Usa. Avrebbe potuto sentirsi intimidito dopo quello che era successo a Saddam Hussein in Iraq, ma non lo è. Gli iraniani devono amarlo moltissimo. Si spera che i nostri leader arabi vedranno che si può sfidare l'Occidente senza che ti succeda niente".

Munther Farrah, che vende noci e cioccolata ad Amman, la capitale giordana, dice che lui e altri sunniti sono turbati dalla teocrazia sciita iraniana. "Ma Ahmadinejad è ancora benvoluto", aggiunge. "Siamo con lui finché sarà contro Israele e gli Usa".

Le passioni sono decisamente diverse a New York, dove Ahmadinejad deve parlare alle Nazioni Unite martedì, in un tentativo di bloccare un altro round di sanzioni riguardo al programma nucleare di Tehran. Alcuni politici americani hanno detto che al presidente iraniano si sarebbe dovuto rifiutare l'ingresso. Pressioni pubbliche lo hanno costretto ad annullare una visita a Ground Zero.

La sua apparizione alle Nazioni Unite arriva in un momento in cui l'Iran, che gli Usa considerano uno Stato che sostiene il terrorismo, si tiene in equilibrio fra due vie diplomatiche: si è mosso per ammorbidire le critiche internazionali al suo comportamento in materia di diritti umani, consentendo a tre accademici e scrittori iraniano-americani accusati di spionaggio di lasciare il Paese. D'altra parte, ha intensificato il suo atteggiamento di sfida verso gli Usa e l'Europa, dopo che il ministro degli Esteri francese aveva fatto intendere che il mondo si sta preparando alla possibilità di una guerra fra i Paesi dell'Occidente e l'Iran.

Minacce e controminacce hanno aumentato il genere di populismo di Ahmadinejad, che contrasta marcatamente con lo stile distaccato del presidente egiziano Hosni Mubarak, di re Abdullah II di Giordania, e del re Abdullah dell'Arabia Saudita. Tutti e tre gli alleati degli Usa considerano l'Iran un nemico pericoloso, in modo particolare per il sostegno di Tehran ai gruppi militanti di Hezbollah in Libano, e Hamas nella Striscia di Gaza. Ma essi hanno anche preso in prestito qualcosa dal copione di Ahmadinejad, criticando le politiche dell'amministrazione Bush e lo spargimento di sangue in Iraq.

I governi di Egitto, Giordania, e Arabia Saudita hanno indebolito la libertà dei media e stroncato il dissenso politico, e sono considerati da parte delle loro popolazioni corrotti e incapaci di affrontare i problemi economici e sociali. L'Iran gestisce la sua versione dello Stato onnipresente, repressivo, ma la profonda diffidenza di Ahmadinejad verso gli Usa, e il suo odio per Israele lo hanno elevato a uno status mitico per il meccanico, il tassista, o l'avvocato arabo frustrato che cercano un messaggio puro, deciso.

Il sentimento è simile al rispetto conquistato da Hezbollah, che ha combattuto una guerra con Israele nel 2006, e da Hamas, il partito palestinese radicale che ha preso il controllo della Striscia di Gaza a giugno. A entrambi è stata riconosciuta la tenacia, e sono stati rappresentati come svantaggiati in partenza che combattono contro nemici più grandi di loro. Questo tipo di determinazione, assieme all'orgoglio dell'Iran come Stato sovrano, echeggia in tutti i discorsi e le enunciazioni di Ahmadinejad.

"E' più un urlo che riflette l'incapacità sia dei regimi che dei popoli arabi di realizzare qualcosa a livello regionale", dice Nabil Abdel Fattah, analista politico presso l'Al Ahram Center for Political and Strategic Studies del Cairo.

Ahmed Taher, un medico egiziano, attribuisce ad Ahmadinejad il merito di portare avanti la tecnologia nucleare, che Tehran dice è per uso civile, ma gli Usa sospettano sia per armamenti.

"E' fuor di dubbio che la popolarità di Ahmadinejad supera quella di qualunque altro leader in Medio Oriente", dice Taher. "Non dovremmo incolparlo perché sta cercando di avere armi nucleari. Israele le ha. Ci sarà più equilibrio per i musulmani se le avremo anche noi. Israele è molto più pericoloso per il mondo di Ahmadinejad".

Alcuni degli ammiratori del presidente iraniano, tuttavia, sono preoccupati per la sua natura provocatoria, i suoi commenti bellicosi, e la sua evasività riguardo alle intenzioni nucleari dell'Iran. I paragoni con i trionfi e le sconfitte di Nasser definiscono i contorni delle conversazioni sul leader iraniano: Nasser fu vittorioso nella crisi di Suez, ma dieci anni dopo i suoi calcoli sbagliati portarono all'umiliante sconfitta araba da parte di Israele nella guerra in Medio Oriente del 1967.

"E' troppo audace e questo lo danneggia", dice Reda Kheshein, un contabile che sta guardando i titoli dei giornali in un'edicola di piazza Tahrir, al Cairo. "Non ha il diritto di dire che vuole distruggere Israele. Deve essere ragionevole, non arrischiato. Sfortunatamente, abbiamo sofferto per l'arrischiatezza in passato. Guardate Nasser, prese una decisione molto rischiosa. Non abbiamo bisogno di altri martiri".

Altri arabi si interrogano sulla strategia di Ahmadinejad, in una regione in cui il teatro politico e l'iperbole spesso mascherano una diplomazia più tranquilla, dietro le quinte.Essi lasciano intendere che il presidente iraniano, che di rado mostra sfumature, e al quale l'establishment religioso iraniano al potere lascia ampia libertà, è imprevedibile quanto ispiratore.

"Ha una consapevolezza di appartenere al mondo musulmano. E' sempre a fianco dei Paesi musulmani", dice Hussein Ali, una guida che sta aspettando un autobus. "Ma non mi piace la sua incapacità di unificare il suo stesso popolo, e la sua insistenza sullo sviluppo di capacità nucleari che sarebbero pericolose per il mondo intero. Però abbiamo bisogno della sua forte voce islamica per proteggerci dall'Occidente".

Ibrahim Sufa, un negoziante giordano, dice che Ahmadinejad è astuto e calcolatore quando si tratta di manipolazione.

"E' bravo. Ho la sensazione che sia in realtà un moderato. Parla come un estremista, ma agisce in modo controllato", dice Sufa . "Se l'America lo colpirà, l'intera regione andrà a fuoco".


Hanno contribuito a questo articolo Noha el-Hennawy dell'ufficio di corrispondenza del Los Angeles Times al Cairo, e la corrispondente speciale [il termine con cui i media Usa definiscono i loro stringer locali NdT] Ranya Kadri dalla Giordania.

Los Angeles Times
 

(Traduzione di Ornella Sangiovanni)