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Scheletri della memoria

di Roberto Beretta - 28/09/2007

 

L’accusa colpisce i «gendarmi» che celano le colpe morali di tanti diventando anche «negazionisti» di fronte all’evidenza di fatti e numeri.



Ci sono il Parolaio, il Pelatone, il Cosacco, i Senzarimorso e il «professor Basta», l'«Uomo di Cuneo» detto pure «Il Grande Reduce», l'Anonimo Ignorante e la Pasionaria, il Signor Direttore e l'Esorcista... Tutti allineati in un teatrino di marionette tristi che purtroppo ci rappresenta; titolo dello spettacolo: I gendarmi della memoria, come il nuovo libro che Giampaolo Pansa dedica a «Chi imprigiona la verità sulla guerra civile» e che esce martedì prossimo per Sperling & Kupfer (pp. 504, euro 19; sotto anticipiamo alcuni brani del capitolo sugl'eccidi partigiani in Piemonte).
Stavolta il giornalista non s'accontenta - come era successo per le precedenti "puntate" di questa ormai annuale inchiesta sui guasti della Resistenza, da Il sangue dei vinti a Sopravvissuto 1945, a La grande bugia - di mettere la sua firma di peso sopra una meritoria opera divulgativa delle tante storie di vittime del post-fascismo, testimonianze finora rimaste negli archivi delle memorie familiari o nelle puntigliose ma snobbate opere di un'editoria minore. Stavolta Pansa risale, con amarezza civile, a nominare esplicitamente il male culturale ed ideologico che ancora oggi impedisce a tanti di guardare con dolorosa ma serena obiettività quelle vicende di 60 anni or sono, e dunque di fondare su tale necessario riconoscimento la pacificazione nazionale.
Sono proprio i «gendarmi della memoria», schierati di traverso sulle strade della verità storica, a impedire un'alternativa matura tra il bivio manicheo della rimozione del passato o della sua mitizzazione. Per Pansa ne fanno parte le sinistre «regressiste», quelle che «sono rimaste bambine e amano le favole dove i ruoli non cambiano mai»; l'Associazione nazionale partigiani (Anpi) con la sua «acidità estremista»; i giornalisti e gli storici che a furia di voler essere anti-revisionisti diventano «negazionisti», ovvero negano come il dopoguerra abbia avuto un fiume di vittime innocenti, per opera dei partigiani comunisti e per cause che spesso non avevano niente da spartire col fascismo...
«Squadristi di sinistra», li definisce pure lo scrittore piemontese, che li ha incontrati suo malgrado girando le città a presentare le precedenti opere: cominciando da Reggio Emilia, dove si sono presentati con un vergognoso lenzuolo scarlatto «Triangolo rosso? Nessun rimorso», e passando per le tante altre località in cui lo scrittore ha dovuto essere scortato dalla polizia per poter parlare, fino alla decisione di interrompere la tournée non per paura quanto per rispetto di quel servizio di protezione involontariamente sottratto a ben altre emergenze d'ordine pubblico.
«C'è una perversione totalitaria dietro questo modo di agire», conclude giustamente Pansa. E rievoca infine l'esempio di «Giacca», il comandante garibaldino responsabile dell'eccidio friulano di Porzus (partigiani "rossi" che uccisero colleghi "bianchi"), per il quale chi non era comunista doveva per forza essere un fascista. «Nell'Italia del 2007 c'è ancora qualcuno che la pensa come lui? - si chiede il saggista - Mi piacerebbe rispondere di no. Invece sono incline a dire di sì». Come affondano lontano, le radici dei nostri mali.